Mentre l’UE sta finalmente decidendo di produrre gas rinnovabile, la politica energetica italiana insiste nel potenziamento della struttura del gas fossile, importato, legato ad interessi di guerra, micidiale per mantenere il livello dei consumi e delle emissioni ben lontane dalla neutralità zero al 2050 e far dipendere i territori da forniture centralizzate, la cui stabilità e profittabilità viene garantita dal prelievo sui contribuenti.
Vale la pena di confutare da subito le motivazioni con cui Enel prova a giustificare la riconversione a gas della centrale a carbone di Torrevaldaliga Nord a Civitavecchia, di cui ci occupiamo in questa nota: 1) inquina meno del carbone; 2) è l’unico combustibile in grado di consentire la transizione energetica fin quando le nuove tecnologie, ad esempio l’idrogeno, saranno competitive e in grado di garantire la stessa potenza installata; 3) la riconversione viene fatta in ottemperanza alle disposizioni del Piano Nazionale Italiano Energia e Clima (PNIEC), varato dal Parlamento italiano nel gennaio 2020.
Una grossolana articolazione di un ragionamento che l’emergenza climatica e le risposte che cominciano a pervenire anche sul piano europeo ed internazionale smentisce fino a lasciare isolato il nostro Paese all’interno dei piani e della programmazione assunta nell’ultimo anno, non da qualche ambientalista cocciuto, ma dai Paesi e dalle economie industriali meno imprevidenti al di fuori dei nostri confini. L’Europa francese, tedesca, olandese e del nord si prenderà la grande fetta dei 1.000 miliardi del piano Green Deal per disinteresse italiano e interesse al gas, spinto nei mastodontici tubi dei gasdotti.
Va subito affermato che bruciare metano anziché carbone a livelli di potenza elevatissimi significa per almeno altri 20 anni emettere CO2 ben oltre i limiti fissati dal parlamento europeo e sforati già nel 2030, cioè domani. Le tecnologie rinnovabili sono già più che competitive e lo stoccaggio in idrogeno lo diverrà assai prima del tempo di ammortamento e di esercizio per cui è prevista una nuova centrale. Infine, è risaputo che, dopo le decisioni assunte dal parlamento europeo, il PNIEC andrà completamente rivisto e il nodo di Civitavecchia diventerà estremamente esposto e tra i primi da riconsiderare.
La soluzione è a portata di mano ed è adattabile ai singoli territori che puntano ad una riconversione non solo delle fonti energetiche, ma di tutto il tessuto occupazionale e manifatturiero in armonia con l’ambiente naturale e con un approccio sociale ed anche culturale che sostituisce la cura della Terra alla sua predazione, spinta ormai fino all’estinzione del vivente. Si tratta di un’opzione matura anche se chiaramente alternativa in cui qualsiasi finanziamento per il gas verrebbe completamente eliminato per concentrarsi invece sull’elettricità e sulle reti intelligenti, con una produzione esclusiva da rinnovabili assistite da stoccaggio in loco in idrogeno verde o attraverso pompaggi.
Attorno a questa proposta si sta muovendo nell’Alto Lazio un autentico movimento, che ha saputo convertire la forza di un diniego netto al progetto fossile in una proposta che rende autosufficiente il territorio, decentrando così la fornitura da grandi impianti che da 70 anni vulnerano la popolazione della città ed il suo mare.
Un movimento che si sta rafforzando: è partito dai comitati locali, si è esteso a personalità di riconosciuto prestigio attorno cui si è organizzata una raccolta firme, si sono mobilitati studenti, forze politiche e le istituzioni locali e regionali, si è creata una coalizione di parlamentari. Insomma: la situazione è scossa e nell’ultimo mese sono entrati in campo anche il sindacato e le associazioni degli imprenditori e degli artigiani. Ora occorre andare al sodo, mentre Enel, Eni e Terna cercano di guadagnare tempo in una disgustosa prospettiva di crisi di governo che potrebbe dar loro spazio per una deriva burocratica entro cui infilare l’approvazione del loro progetto. Sarebbe un colpo duro, ma credo che quella che è in corso non sia una contesa ordinaria e tantomeno fuori dalla drammaticità e dal senso di un futuro da riscrivere, che tocca al tempo presente. Per questo bisogna parlarne, farne oggetto di priorità politica anche sul piano nazionale e non lasciare isolato questo tentativo molto realistico, concreto, lungimirante.
Non sarà facile nemmeno giocare a carte coperte. Il Primo Cittadino, dopo la presa di posizione contro il gas del Consiglio Comunale, definisce quella della riconversione “una emergenza nell’emergenza” e di voler conoscere esattamente quali sono le progettualità vere proposte, mettendo nero su bianco cosa rappresentano sia dal punto di vista ambientale che da quello occupazionale”. Per fare un passo avanti il Sindaco ha convocato a Gennaio una riunione di tutti i Sindaci del comprensorio per valutare prospettive che non possono restringersi a circoli decisionali ristretti. Se il Sindaco mettesse in fuga dubbi e perplessità e decidesse di chiamare alla mobilitazione, assolutamente pacifica, i cittadini per ribadire con forza il diritto alla tutela della salute pubblica; la difesa di un luogo meritevole del massimo rispetto e di non soggiacere a soprusi; la salvaguardia dei posti lavoro senza innescare l’odiosa guerra tra poveri, utile esclusivamente ai poteri forti che vogliono disporne a proprio piacimento, sarebbe il protagonista di un evento epocale: darebbe il segnale straordinario che con la forza della determinazione, dell’appartenenza e della coesione anche le lobby (multinazionali e politiche) che si sentono giganti invincibili potrebbero scoprire, improvvisamente e incredibilmente, che i tempi sono mutati e che il bene comune è oggi ben rappresentato solo da uno sguardo oltre il presente.
Ovviamente, si tratta di una partita alle sue prime battute e tutt’altro che nelle mani solo degli attori locali. Quando però si pongono problemi come questi, è bene che i movimenti, i cittadini, le associazioni, anche a livello il più ampio possibile, non guardino da un’altra parte, continuando a sentirsi tagliata l’erba di sotto ai piedi. Anche a Civitavecchia vale che locale è globale e viceversa.
Si tratta, in definitiva, di una vertenza nuova, giocata in alleanze non tradizionali, ma con un profondo senso del legame tra giustizia climatica e sociale. Una battaglia che, comunque, verrà ricordata come emblematica di una fase storica da cui è impossibile cancellare con un colpo di spugna le emergenze che si sono accumulate e si stanno accumulando, non solo per le generazioni ora in gioco, ma anche per quelle di là da venire. Una battaglia che può anche andare persa, ma, in questo caso, gli eventuali vincitori vanterebbero un successo inutile o effimero, dove il vincitore formale ne esce sostanzialmente con un vantaggio temporaneo per sé, ma senza benefici duraturi che ricadano sulla comunità.
Mario Agostinelli