Il 6 dicembre 2020, come previsto dalla sua Costituzione, i cittadini venezuelani sono chiamati ad eleggere nuovi rappresentanti all’Assemblea Nazionale.
Nel corso del 2020, i dibattiti tra governo e opposizione determinati a tornare sulla via costituzionale hanno portato all’istituzione di nuove garanzie elettorali, unanimemente accettate da tutte le tendenze politiche coinvolte in questo processo elettorale. Si presenteranno 107 partiti in lizza e 14.400 candidati per i 277 seggi parlamentari. Il 40% dei candidati è composto da giovani, la maggior parte di loro è la prima volta che si presenta e la partecipazione delle donne è del 50%.
Si tratta della venticinquesima elezione dal 1998 con Chavez ad oggi ed è ritenuta tra le più importanti degli ultimi 20 anni poiché segnerà la messa in pratica di riforme strutturali. Dall’inizio della Rivoluzione Bolivariana, le elezioni in Venezuela hanno avuto la funzione di far crescere la coscienza politica delle masse per accrescere la “democrazia partecipata e protagonista”, come viene denominata, e la ricerca costante della dialettica conflitto-consenso, cifra caratteristica del socialismo del XXI secolo. Non dimentichiamoci infatti che, a differenza di quelle novecentesche volte a mettere fuori legge la borghesia, la Rivoluzione Bolivariana fonda il suo processo attraverso tornate elettorali, convivendo con la borghesia e scommettendo di toglierle terreno, depotenziando da dentro lo Stato borghese e cercando di conquistare più consensi verso il progressismo sociale. Questo però lascia libera azione alla “coercizione rivoluzionaria” da parte dell’oligarchia in Venezuela che, dopo le guarimbas, i sabotaggi e gli innumerevoli tentati golpe e incursioni mercenaria, non possiamo dire che non sia attiva. Proprio per questi motivi si può bene intendere come siano assurde le accuse di autoritarismo rivolte al governo Maduro: l’amnistia a 110 terroristi di estrema destra, la presenza massiccia di partiti d’opposizione e l’abbondante diversità di proposte politiche a queste elezioni. Ad oggi non si può dire che sia una “dittatura”, come i media mainstream occidentali affermano, poiché la “filosofia del dialogo”, come ha affermato Geraldina Colotti, è una costante in Venezuela per quanto riguarda sia i rapporti internazionali con la diplomazia di pace sia i rapporti interni con vivacissimi scontri democratici all’interno del Grande Polo Patriottico.
La vittoria della destra alle elezioni parlamentari del 2015, ha avuto conseguenze sull’attività legislativa, con conseguenze in tutti i settori della vita civile ed economica, e purtroppo anche su quello della giustizia. Con la maggioranza al parlamento, la destra ha fatto leva sulle debolezze interne alla dirigenza bolivariana, dopo la morte di Chavez, e sulle contraddizioni rimaste scoperte, cercando di spostare la lancetta dell’orologio al periodo della democrazia liberale, avvenuta in Venezuela tra il 1958 e il 1998, che già Chavez aveva fortemente criticato sottolineandone le debolezze e i forti limiti. La destra ha usato il potere legislativo per destabilizzare lo Stato, a causa della presenza di leader come Juan Guaidò totalmente dediti ad attività eversive e al sostegno del bloqueo economico voluto dagli USA; ma, fortunatamente, la democrazia socialista diretta e il potere popolare organizzato hanno fatto da deterrente agli innumerevoli episodi di violenza politica.
Tutto questo mentre la propaganda coloniale occidentale ci faceva credere che Maduro volesse chiudere il Parlamento.
Ecco perché dalle elezioni del 6 dicembre ci si attende un Parlamento che possa invece legiferare per colmare questi ritardi e garantire la certezza del diritto.
Durante l’incontro delle Forze Rivoluzionarie dello Stato, Diosdado Cabello, Vice Presidente del Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV), ha affermato che l’Assemblea Nazionale (AN) dovrà fare giustizia per i cinque anni di maltrattamenti e danni arrecati alle persone in modo che la pace possa prevalere. Il Venezuela Bolivariano in questi anni è stato a tutti gli effetti un esempio di resistenza antimperialista e le elezioni del 6 dicembre saranno un’occasione di svolta strutturale per la Rivoluzione Bolivariana, avviando un profondo processo di cambiamento in Parlamento.
Il capo regionale del Comando della Campagna “Darío Vivas”, Justo Noguera Pietri, durante la chiusura della campagna elettorale regionale dello stato, ha esortato la popolazione a stare attenta al sabotaggio della destra nelle prossime elezioni del 6 dicembre.
Nel frattempo dal 1 dicembre, diversi membri della Rete Europea di Solidarietà con il Venezuela e le organizzazioni che la compongono hanno consegnato al Servizio Europeo per l’Azione Esterna (SEAE) la petizione dal titolo: “L’Unione europea deve rispettare il risultato delle elezioni legislativo in Venezuela”.
Nonostante i suoi ripetuti appelli al dialogo in Venezuela, l’Unione Europea ha rifiutato di accettare questo nuovo consenso democratico. Infine, ha deciso di respingere l’invito dello Stato venezuelano a inviare osservatori per garantire il regolare svolgimento degli scrutini. In tutti questi anni l’Unione Europea non ha sanzionato paesi europei che non rispettano i diritti umani, ma ha sanzionato proprio il Venezuela che considera i diritti umani, i diritti civili, le istanze femministe, i diritti sociali come diritti politici volti al benessere di tutti. D’altronde casa, lavoro, sanità ed educazione sono pienamente garantiti in Venezuela e ne abbiamo visto l’efficacia nel modo di affrontare la crisi sanitaria da Covid-19 con il Programma Barrio Adentro, i tamponi di massa, l’aiuto internazionalista di Cuba e la metodologia di prevenzione 7+7 che sta portando all’annientamento del virus. Parallelamente alla gestione dell’emergenza sanitaria si sono moltiplicate anche le esperienze di autorganizzazione all’interno del potere popolare come la formazione dell’Ejercito Operativo Obrero1 (EPO) e il potenziamento dei Comitati Locali di Autosostentamento e Produzione (CLAP) per supportare le popolazioni.
Alla luce di ciò quindi la politica dell’Unione Europea è il prodotto della pressione permanente dell’amministrazione statunitense, immersa in un’operazione la cui priorità non è il rispetto della democrazia o dei processi elettorali, ma piuttosto il “cambio di regime”, a qualunque costo. Questo allineamento con la politica dei falchi di Washington è un serio segno di abdicazione di una politica estera indipendente che era stata esibita in numerosi discorsi d’intenzione.
Questa petizione è stata firmata da più di 3.500 persone, da 30 paesi, che chiedono che l’Unione Europea rispetti i risultati elettorali in Venezuela. Tra i firmatari anche personalità di fama internazionale come Adolfo Pérez Esquivel (vincitore del Premio Nobel per la pace), Rafael Correa (ex presidente dell’Ecuador), Roger Waters (co-fondatore della band Pink Floyd) e Jean Luc Mélenchon (vice e candidato alla presidenza francese). Anche diverse organizzazioni politiche e movimenti sociali dell’Europa e dell’America Latina si sono uniti a questa richiesta.
I firmatari chiedono che l’Unione europea cessi di sostenere il settore più radicale dell’opposizione venezuelana e che rispetti la volontà democratica del popolo venezuelano di porre fine alla spirale di violenza politica iniziata con l’auto-proclamazione illegale di Juan Guaidó come “presidente ad interim”.
Per firmare la petizione:
https://www.les2rives.info/petition6d_ita
di Lorenzo Poli – 2 dicembre 2020