È di ieri il secondo bollettino ufficiale del Consiglio Nazionale Elettorale che offre un quadro finalmente chiaro e tendenzialmente completo del risultato delle importanti elezioni parlamentari che si sono svolte nella Repubblica Bolivariana del Venezuela lo scorso 6 dicembre.
Sono oltre 6 milioni e 250 mila i voti validi, per una partecipazione al voto che, con ormai quasi il 99% dei voti scrutinati, porta l’affluenza al 31% del corpo elettorale. Nel dettaglio, per quanto concerne il risultato dei singoli schieramenti, quanto emerge dalle urne indica una nitida vittoria delle forze bolivariane e socialiste, dal momento che l’alleanza costituita dal Gran Polo Patriottico, avente come baricentro politico il PSUV, il Partito Socialista Unito del Venezuela, fondato da Hugo Chavez e principale forza propulsiva del processo bolivariano, conquista quasi 4.3 milioni di voti, pari al 68% delle preferenze; laddove la principale tra le aggregazioni elettorali dell’opposizione, vale a dire l’alleanza costituita, tra le altre, dalle maggiori formazioni politiche del vecchio sistema, quelle del Patto di Puntofijo e della IV Repubblica, in particolare l’Azione Democratica e il COPEI, conquista appena 1.1 milioni di voti, circa il 17% delle preferenze.
Questa tornata non ha espresso, tuttavia, solo la sfida politica tra queste due principali compagini, bensì ha visto confrontarsi alle urne anche altre aggregazioni, tra le quali, in particolare, l’alleanza, anche questa all’opposizione, guidata da Voluntad Popular, che supera di poco il 4% dei suffragi, e l’alleanza denominata «Alternativa Popolare Rivoluzionaria», intorno al PCV, il Partito Comunista del Venezuela, che, per quanto a sostegno, sin dall’inizio, del processo rivoluzionario e della lunga trasformazione bolivariana e socialista del Venezuela, per alcuni dissensi di linea, legati soprattutto ad alcuni provvedimenti recenti, tra cui alcuni aspetti della legge anti-bloqueo, ha deciso di correre da solo, conquistando il consenso di poco più del 2% dell’elettorato.
Inoltre – anche questo, fatto di grande rilevanza – è in corso il processo che porterà alla elezione delle rappresentanze dei popoli originari in Parlamento: domani, mercoledì 9 dicembre, si terranno infatti le elezioni per scegliere i tre deputati dei gruppi indigeni che faranno parte della nuova Assemblea Nazionale. Nel processo elettorale inaugurato domenica, infatti, sono stati espressi 274 seggi, mentre le popolazioni indigene dovranno esprimere altri tre seggi, in virtù di un processo elettorale dedicato che, in base alla Costituzione Bolivariana, consentirà alle popolazioni indigene di votare e di eleggere nel rispetto delle loro culture e dei loro costumi: si sono, sino a questo momento, tenute più di 3.500 assemblee comunitarie in 10 stati venezuelani finalizzate proprio alla elezione di questi deputati. Il tutto nel quadro di un processo che, soprattutto se confrontato con altri modelli elettorali, ma a maggior ragione se letto sullo sfondo del caos, delle incertezze e delle polemiche che hanno caratterizzato e continuano a caratterizzare il processo elettorale statunitense (tanto per fare un esempio), si segnala per le sue caratteristiche di trasparenza, affidabilità e sicurezza.
Intanto, la legge elettorale è stata modificata nel senso di garantire più ampia rappresentanza e più estesa rappresentatività all’assemblea legislativa. Da un lato, sono aumentati i seggi, da 165 a 277 deputati, come accennato, in modo da adeguare la platea legislativa all’aumento della popolazione (un elemento su cui riflettere, quando altri Paesi, tra cui il nostro, si cimentano in “tagli” dei parlamentari e riduzioni della rappresentanza democratica); dall’altro, è aumentata la quota proporzionale, per cui i deputati da eleggere con metodo proporzionale passano dal 30% al 52%, più della metà del totale, proprio al fine di garantire una meglio bilanciata rappresentanza delle forze politiche in Parlamento (anche qui un elemento di riflessione si imporrebbe, in epoca di torsione ultra-maggioritaria in non poche tra le cosiddette “democrazie liberali” occidentali).
Come la stampa occidentale mainstream ha ampiamente e deliberatamente taciuto, per di più, il processo di voto, in Venezuela, è completamente digitalizzato e consente un riscontro incrociato diretto tra il voto, espresso nella postazione elettorale, sul panel digitale, e il tagliando, associato univocamente al voto espresso ed emesso automaticamente dalla macchina digitale, che viene depositato nell’urna. Il che significa che non solo il voto è elettronico, univoco e semplice, il che riduce praticamente a zero le possibilità di brogli, ma che, per di più, è conforme ai protocolli di sicurezza imposti dalle misure di contenimento della pandemia. A questo voto ha partecipato il 90% delle organizzazioni politiche registrate al Consiglio Nazionale Elettorale, per un totale di 107 partiti (di cui 98 appartenenti agli schieramenti dell’opposizione) e oltre 14 mila candidati. Se è vero dunque che il dato dell’affluenza al voto, pari al 31% del corpo elettorale, nonostante le condizioni durissime legate al boicottaggio sistematico e alle pesanti misure coercitive di blocco economico, finanziario e commerciale, imposte dagli Stati Uniti al Venezuela, non può essere considerato soddisfacente, è non meno vero che proprio l’ampia partecipazione al voto di quasi tutte le forze politiche del Venezuela, insieme con il risultato conseguito dal Gran Polo Patriottico, pari al 68%, costituiscono un risultato indubbiamente positivo per le forze bolivariane e le masse popolari venezuelane. In queste che, come è stato ricordato, sono state le 25 esime elezioni dal 1999 ad oggi, da quando è stato inaugurato il processo bolivariano. Un esito che tuttavia, proprio per il rispetto dovuto alla auto-determinazione del popolo venezuelano, va difeso: settori eversivi dell’ultra-destra venezuelana, che non hanno partecipato al voto, hanno deciso di promuovere una sorta di “consultazione parallela”, nuovo, potenziale, pretesto per i piani statunitensi di boicottaggio e di sovversione.