All’ultimo minuto, prima di inviare questo articolo, ho aggiunto al titolo un punto interrogativo. Non metterlo avrebbe significato dare ragione ad al-Sisi, a Macron e a Conte: al presidente egiziano, che nella sua visita ufficiale a Parigi ha detto che il suo è un paese che rispetta lo stato di diritto, ma al contempo deve difendere la propria sicurezza; a quello francese che – ponendo un epitaffio sulla tomba dell’impegno europeo per i diritti umani – ha commentato che le divergenze su questi ultimi non possono condizionare gli affari economici (soprattutto le forniture di armi); e al primo ministro italiano, che tace come se quella di Patrick fosse un’eventuale storia di malagiustizia tutta egiziana.
Teniamolo quel punto interrogativo, allora. Perché resta la speranza in un sussulto di dignità, in uno sprazzo di politica finalmente etica e non cinica. Li chiedono la passione e la generosità di milioni di persone che nel nostro paese ogni giorno continuano a ribadire che quella di Patrick è anche una storia italiana.
Patrick è un cristiano copto. La sua famiglia appartiene a una fede religiosa per la quale si sta avvicinando il periodo dell’anno più emotivo, più prezioso, più importante. L’idea che Patrick trascorra l’imminente periodo di festività nella sua cella della prigione di Tora e che vi passi anche il 7 gennaio, il Natale dei copti, è semplicemente aberrante.
Chiediamo al presidente del Consiglio Conte di agire!