Prima va fatta un po’ di storia, soprattutto per chi non è di Milano:
SAN CARLO: Ideato già negli anni ’50, nella periferia Ovest di Milano, entrò in funzione il 30 giugno 1966, pur venendo formalmente inaugurato il 14 ottobre 1967 da Aldo Moro. Nel 2017 viene annunciato dalla Regione il progetto di fusione dei due principali plessi ospedalieri: San Carlo e San Paolo. Ne dovrà nascere un nuovo ospedale, detto “dei Santi”, nell’area dei Navigli, che affiancherà e sostituirà in larga parte i due plessi esistenti.
SAN PAOLO: Venne costruito nel quartiere Barona (periferia Sud di Milano) tra il 1964 e il 1978 su progetto dell’architetto Carlo Casati, con l’obiettivo di avere 650 posti letto, ampliabili sino a 1.200 in caso di necessità. Dal 1987 è anche sede di un polo universitario.
Benissimo: due colossi, dove sono passati quasi tutti i milanesi, chi per andare al pronto soccorso, chi per essere ricoverato, chi per una visita o per partorire, chi per andare a trovare un amico o un parente.
Due giganti.
Qualche anno fa l’annuncio: “Signore e signori, è con grande gioia che vi comunichiamo che non abbiamo più bisogno di questi due colossi oramai fatiscenti, faremo un NUOVO ospedale come si deve, bello, attrezzato… Certo non avrà lo stesso numero di posti letti dei due precedenti, ma la qualità signori compenserà la quantità!! Non preoccupatevi, non siamo forse riusciti in fondo a mandarvi a casa ancora con la flebo attaccata e l’anestesia che sta passando??”
Un anno fa quasi nelle catacombe si riunivano dipendenti e simpatizzanti dei due ospedali, vecchi del quartiere e di tante battaglie, per raccogliere firme, denunciare la possibile chiusura dei due ospedali, simboli di una sanità pubblica che a suo tempo funzionava (meglio di ora…).
Avevano già scelto il terreno per il nuovo ospedale, un altro bel parco agricolo che saltava, ma sì, tanto di verde abbondiamo… Certo c’era da fare la bonifica, certo c’erano un po’ di problemi… Insomma, non hanno fatto a tempo a iniziare a scavare le fondamenta che è scoppiato il COVID.
Apriti cielo!! Quei due ospedali vecchiotti con tutti i loro dipendenti si sono fatti forza, hanno forse aperto anche qualche zona che era già mezza chiusa e questi ospedali, come il “settimo cavalleggeri” sono stati ESSENZIALI in questo periodo. C’era l’emergenza, c’era l’urgenza e come sappiamo in questi casi la sanità privata fischietta guardando da un’altra parte, la sanità pubblica riscopre il suo spirito “quasi materno” e apre le braccia. In fondo non sono intitolati a due santi?
Bene: guarda caso di chiusura dei due ospedali non se ne parla più. Ma i loro dipendenti non hanno MAI smesso di lavorare, di tirare la carretta. La prima ondata COVID ha visto l’adrenalina scorrere tra i lavoratori, dall’ultimo inserviente al primario. Applausi, applausi, braviiii, braveeeee. “Va riconosciuto il lavoro encomiabile di questi eroi!! Incentivi, premi, i grazie non bastano!!”
Invece: ecco che arriva il nuovo contratto e localmente nei due ospedali per lavoratrici e lavoratori va anche peggio di quello nazionale. Già sono pagati all’osso, già i turni incalzano, le sostituzioni mancano, i rapporti numerici si alzano, et etc.
Ecco qua che oggi, 14 dicembre chi lavora in questi due ospedali alza la testa: “Basta!” Gridano. Basta essere presi in giro, basta silenzio, basta omertà, basta repressione a chi scrive e denuncia le situazioni.
Erano almeno 150 le persone oggi all’ingresso del vecchio San Paolo, che sembrava ringiovanito.
Decine di striscioni, cartelli, scritti a mano, volantini, interventi, rabbia sotto le mascherine.
E, dobbiamo dirlo, sono stati i sindacati di base, a partire dall’USI che ha convocato lo sciopero, una lunga tradizione all’interno degli ospedali milanesi, a scoperchiare il pentolone, a far luce sul “dietro la scena”. I sindacati grossi sonnecchiano.
Come è possibile che con tutti i soldi che sembra possano essere spesi per la sanità si sia di nuovo a “tirare il collo” a coloro che sono già stremati? Come è possibile non dare un cambio a questi della “prima linea” e, se alzano la testa, chiamare subito “le guardie”??
La sanità italiana va riformata, non c’è bisogno di fare nuove costruzioni avveniristiche, bisogna riaprire quelle chiuse, riformare quelle esistenti e soprattutto trattare bene i lavoratori e le lavoratici, solo così – come diceva oggi un’ostetrica in piazza – “Ci potremo prendere cura nel miglior modo dei nostri pazienti.”
Nel primo pomeriggio il presidio si è spostato sotto la Regione, e dove sennò? A dare la sveglia.