Oggi a Milano di nuovo in piazza la comunità tigrina per chiedere il cessate il fuoco, perché finisca la guerra, perché si fermi il massacro che sta generando conseguenze tremende per il popolo tigrino e non solo.
Da un mese e mezzo il governo centrale etiope sta “facendola pagare” al popolo della regione del Tigray. Sette milioni di persone che da allora vivono scollegate dal mondo e con una crescente mancanza di acqua, alimenti, farmaci, il tutto in mezzo a una pandemia. Quella pandemia che, come gridavano oggi in piazza, aveva fatto sì che fossero sospese le elezioni nella zona.
Questo fu una delle pietre dello scandalo; nei mesi scorsi il governo tigrino sfidando il governo centrale le realizzò. Ora gli uomini e le donne in piazza a Milano dicevano: “Ma è possibile che una pandemia dovesse impedire un voto e invece in mezzo a questa crisi sanitaria si possa bombardare?” Molte le contraddizioni, tanti i misteri, ma alcuni numeri ci sono: “Più di 50.000 tigrini scappati verso il Sudan in cerca di rifugio, blocchi dell’esercito etiope perché questa fuga sia limitata, quasi un milione di persone sfollate all’interno della loro stessa regione, centinaia o forse migliaia di eritrei presenti nei campi profughi nel Tigray rimandati in Eritrea, dove rischiano la vita.”
Oggi alle due del pomeriggio almeno cento persone si sono ritrovate in una piazzetta a Milano nei pressi del consolato degli Emirati Arabi, perché pare che i droni usati per colpire la popolazione siano finanziati da questo paese. Moltissimi gli slogan gridati, in italiano, tigrino, inglese. Troppo silenzio su questa vicenda. Nessun giornalista presente, molta la rabbia.
Lo diceva chiaramente al microfono una donna: “Italia, Europa! Come potete pensare che una popolazione che cerca di sfuggire a fame e guerre poi non si riversi nel vostro continente? Come potete continuare a essere così miopi o ipocriti?”
Telefono a padre Filo, direttore di Nigrizia e mi conferma: “La situazione è sempre più difficile, le informazioni sono scarse e la tensione cresce in tutta la regione. Ci sono stati conflitti anche nei pressi del Sudan, la città di Mekele è stata presa, ma ora c’è la guerriglia nel resto della regione, Pare che il governo centrale abbia messo una taglia sui leader della guerriglia tigrina. La situazione rischia di precipitare.”
Non basteranno le grida di questa comunità qui immigrata a fermare una guerra. La comunità internazionale deve svegliarsi.
E sì che l’Italia non è proprio estranea alla regione: qualcosa potrebbe dire e fare. Non è che a furia di lavarci le mani abbiamo imparato a lavarcele troppo e sempre?
Oggi al presidio, tutto composto dalla comunità tigrina, c’erano anche un paio di bandiere italiane. Facevano tenerezza.