Tradizione vuole che ogni anno ci sia intorno alle feste di Natale e Capodanno una fabbrica occupata o un presidio da sostenere. Anche quest’anno c’è, con l’aggravante che anche le lotte si sono complicate in questo periodo, ma forse anche la solidarietà è aumentata. Soprattutto quella di “prossimità” ed è così che un paese, una comunità, si stringe intorno a questo gruppo di operai e operaie che da 15 giorni presidiano giorno e notte la fabbrica con l’obiettivo di non far uscire i macchinari.
Questo articolo nasce da una lunga conversazione con Alessandra Crippa, operaia dell’azienda da 13 anni, rappresentante sindacale. Mi racconta: “La ditta si chiamava LARGA (Lavorazione Artigianale Raccorderia Giuseppe Arlati), fondata da Giuseppe Arlati nel 1954. Abbiamo prodotto per anni i raccordi olio dinamici che fanno funzionare i bracci meccanici, delle ruspe per esempio. Le materie prime arrivano dalla zona (Brianza), la barra viene tornita, poi c’è il lavaggio, la ricottura al forno, la zincatura. Successivamente il padrone diventa Cazzaniga, ma è nel 2016 che la ditta viene acquisita dalla multinazionale tedesca VOSS. Certo al sapere che si è nelle mani di una multinazionale le preoccupazioni erano nate, ma anche in precedenza c’era stata la crisi del 2009, ne eravamo usciti, ce l’avremmo fatta anche questa volta. Negli ultimi anni viene chiesto agli operai di fare anche i turni di notte a volte i sabati e le domeniche, non si erano mai fatti. Gli operai sono disponibili, fanno tutto quello che viene loro chiesto. E’ quindi un fulmine a ciel sereno: il 4 dicembre scorso comunicano a noi due delegati, alla presenza dei sindacati, che SI CHIUDE. Per 6 giorni ci teniamo questo groppone in gola; durante il ponte dell’Immacolata, dalla direzione comunicano a tutti i 70 dipendenti, via mail o telefono, che da subito si va tutti e tutte in cassa integrazione fino a fine anno. Segue una convocazione per il 10, tutti sono invitati ad un’assemblea”.
Faccio una parentesi: a questo punto dovete immaginare la scena, perché neanche nei film di Ken Loach si raggiunge questo livello di crudeltà. I due delegati devono riunire tutti i colleghi, cercare lo spazio più grande, mascherine, distanze, in mezzo al capannone e divisi in due turni per non creare assembramenti.
I due delegati, sostenuti dalle organizzazioni sindacali, comunicano a tutti i colleghi e colleghe che sono tutti licenziati, che la ditta chiude. Riusciamo a immaginare i volti? Le espressioni? Le reazioni? Pare sia stato più lo sgomento e la disperazione, meno la rabbia. Forse non siamo più abituati ad arrabbiarci, non sta bene, poi siamo in un periodo difficile…
Sono stati invece bravi e brave. Dopo un primo momento, in cui un sacco di pugni avrebbero fatto meno male, si sono rialzati.
“Alla fine di quelle assemblee del 10 abbiamo raccolto i contatti di tutti i colleghi e colleghe; neanche ce li avevamo. Dopo due giorni abbiamo rifatto l’assemblea e questa volta abbiamo deciso di reagire: avremmo bloccato l’ingresso, ci saremmo divisi in turni, avremmo difeso il nostro lavoro con le unghie e i denti. Così abbiamo fatto, ed è stato un crescendo di solidarietà da parte delle istituzioni locali, delle associazioni di zona, dell’Arci, ma anche di semplici cittadini; persino i pensionati ci lasciavano il numero di cellulare se c’era bisogno di fare i turni. Da allora ci sono costantemente almeno 20 persone, ci sono si i turni, ma tutti e tutte ci fermiamo di più. C’è più unione ora che non quando lavoravamo. Ci portano da mangiare, il Comune ci ha dato uno spazio tipo container dove possiamo ripararci da freddo e pioggia, tenere le nostre cose e, se c’è bisogno, appoggiarci a un tavolo. Noi siamo uniti, le donne sono ancora più presenti e combattive: saranno i loro 50 anni e la minore professionalità, dovuta all’assenza di formazione che veniva fatta invece ai colleghi uomini, che le fanno reagire e non mollare.
Noi andremo avanti, l’amministratore delegato, italiano, rifiuta ogni tavolo di trattativa; ci siamo visti una volta in Prefettura a Lecco e ha detto No a tutto. Hanno cercato più volte di arrivare coi furgoni, ma li abbiamo sempre fermati; non devono portare via i macchinari, sono il nostro appiglio. Senza quelli, non è più una fabbrica, ma una scatola vuota e se vale ancora qualcosa e può essere “appetibile” per qualcuno che voglia ancora produrre, lo è solo con le macchine dentro. Hanno cercato di entrare anche con le auto e le vicende sono state incredibili. Noi resistiamo, fa freddo e ce ne sarà ancora di più, ma noi siamo e saremo qua.”
Avevo già visto il video che ho trovato online, lo riguardo, guardatelo. E’ segno dei nostri tempi. La compostezza degli operai è impressionante. La rabbia del padrone incredibile, come se fosse lui a restare per strada.
Fino a quando? Fino a quando un padrone potrà fare gesti del genere, aggredire, gridare insulti pazzeschi come “parassiti di merda” a degli operai che lo hanno fatto arricchire fino a quel momento? Gli hanno permesso di comprarsi un’auto che vale come metà della casa che gli operai stanno ancora pagando. Fino a quando?
Mandiamo, mandate messaggi di solidarietà e supporto a questa lotta scrivendo a info@arcilaloco.org