Il titolo del nuovo testo di Jonathan Safran Foer – Possiamo salvare il mondo prima di cena, Guanda – si riferisce ad un consiglio: quello di non mangiare carne prima di cena. Un modo, come tanti altri, per diminuire il consumo di questo alimento e per evitare l’allevamento intensivo degli animali con i conseguenti danni sul clima. Perché sì, gli animali producono gas nocivi per l’ambiente e per la salute degli Uomini.
Lo scrittore americano torna ad affrontare un tema a lui molto caro: quello dell’emergenza ambientale. Ne aveva già parlato nel suo precedente libro: Se niente importa. Perché mangiamo gli animali, e la disanima sulla correlazione tra i cambiamenti climatici e il nostro modo di nutrirci – soprattutto nella parte occidentale del mondo – si arricchisce, nel nuovo lavoro, di dati più precisi sulla deforestazione, sugli allevamenti intensivi, sulle emissioni di gas serra, su tutti quei fattori che incidono sull’inquinamento del pianeta e sulle malattie per chi lo abita. Safran Foer è diventato vegetariano da adulto: la sua è una scelta razionale e consapevole a cui è arrivato proprio con lo studio dei materiali e dei documenti durante la scrittura dei propri libri, ma ancora oggi è difficile talvolta, per lui, rinunciare all’assunzione di prodotti di origine animale. Racconta il suo percorso, in prima persona, condividendo con i lettori – soprattutto i più scettici – i dubbi, gli ostacoli (psicologici) nel riportare il discorso sull’ambiente verso una dimensione individuale e quotidiana.
“Come posso da solo salvare il mondo”? Questo è il quesito che conduce molte persone a non prendersene ancora cura abbastanza. Eppure basterebbero alcune azioni, ma compiute da tutti, per iniziare a ottenere qualche risultato: ad esempio si può ridurre, oltre al consumo di carni, l’utilizzo di energia elettrica o di plastica; si può sostituire la propria auto con un’ibrida; si possono lavare i vestiti con acqua fredda. Piccole, ma importanti azioni che partono dal “basso”. Sono poi importanti le decisioni a livello istituzionale (con l’adozione di energie rinnovabili, con la piantumazione di alberi, con l’introduzione della carbon tax), ma la vera battaglia inizia con se stessi, con le proprie abitudini, con la cultura di appartenenza e con la mentalità.
“Crisi” deriva dal greco e significa “opportunità”, possibilità di cambiamento e, secondo i ricercatori di Project Drawdown (uno dei numerosi enti e delle numerose ricerche citate nel libro) alcune strategie vincenti sarebbero: ridurre lo spreco di cibo, favorire l’istruzione femminile e passare ad una pianificazione familiare, porre le basi per un’alimentazione vegetale; queste strategie consentirebbero di tutelare la salute pubblica e avrebbero una buona ricaduta anche sull’economia globale.
Rispetto a Se niente importa, Safran Foer, questa volta, si affida meno ai ricordi delle tradizioni ebraiche e ai consigli dell’amata nonna (detenuta in un lager durante la Seconda Guerra Mondiale), per fare più leva sulle ricerche scientifiche. Ha poi concluso il ragionamento con una disputa diretta con la propria anima e con una lettera rivolta ai propri figli (e, quindi, alle nuove generazioni): passaggi che suggeriscono un intento emotivo, una passione verace, ma finiscono con cadere nella retorica, un po’ troppo “americana, radical chic”, così’ come eccessivi sono i riferimenti a scrittori classici, pittori, e altri esponenti dell’Arte e della Cultura durante l’esposizione delle tesi, come se l’autore volesse rendere piacevolmente ancora letterario un libro che, in fondo, aveva già scritto qualche anno fa.