Lo scrittore aveva 89 anni e non ha superato la polmonite che in pochissimi giorni lo ha portato via.
Forse John Le Carré, il cui vero nome era David Cornwell, è stato il più grande romanziere nel filone letterario dello spionaggio e, sicuramente, molto del suo successo era dovuto alle dirette esperienze di agente segreto dei servizi britannici da cui traeva ispirazione per i suoi romanzi. Tra questi ricordiamo il suo capolavoro “La spia che venne dal freddo”, tradotto in film di grande successo al pari de “La talpa” e di molti altri. Il suo primo romanzo, “Chiamata per il morto”, scritto nel 1961 quando ancora lavorava nei servizi segreti, fu un discreto successo e ad esso seguirono circa una trentina di lavori quasi tutti inseribili nello stesso filone.
Nel 1983 scrisse “La tamburina”, che solo un anno dopo divenne un film per la regia di George Roy Hill. Un libro e un film piuttosto istruttivi su come Israele uccideva (e uccide) i suoi avversari politici con attentati terroristici, declinati comunemente con la locuzione vincente di “omicidio mirato”, dove l’aggettivo “mirato” distrae dal reato di omicidio fino ad abituarne l’opinione pubblica al punto che i media, oggi, non ne danno neanche più notizia a meno che non riguardi una figura particolarmente significativa.
La trama de “La tamburina” è incentrata sulla figura e il ruolo di un’attricetta in cerca di notorietà, notata dai servizi segreti israeliani e da questi addestrata per farne un’infiltrata tra le fila della resistenza palestinese al fine di consentire al terrorismo israeliano di raggiungere il suo obiettivo.
La tamburina è una ragazza sciocca ed esibizionista ma non crudele e si trova in un gioco più grande di lei, semplice pedina destinata a far esplodere il corpo del giovane leader palestinese che se ne è innamorato.
Da molti anni pensavo di intervistare Le Carrè perché in questo romanzo – ed anche Roy Hill nella trasposizione cinematografica – ha preso in considerazione aspetti psicologici particolarmente interessanti per il tema specifico che tratta. Pensavo di farlo nei prossimi giorni ed avevo già acquistato il biglietto aereo per la Gran Bretagna, ma la lugubre falce mi ha preceduto. Quindi, non avendo le sue parole da offrire ai lettori per un approfondimento del tema che mi stava a cuore, mi limito a invitare alla rilettura, o alla lettura, dei romanzi di questo scrittore, in particolare de “La tamburina”, convinta che sarà un viaggio incredibilmente avvincente e anche molto istruttivo.
Sicuramente “La tamburina” non è il suo capolavoro, ma è altrettanto coinvolgente del pluripremiato “La spia che venne dal freddo”. Invito a leggerlo perché, a distanza di 37 anni dalla sua pubblicazione, il romanzo mostra a chi ancora avesse dei dubbi, che l’immorale spregiudicatezza di Israele e il disprezzo per la vita dei palestinesi non è appannaggio del solo Netanyahu, ma è una triste “abitudine” che data dalla nascita dello Stato ebraico e che non ha mai avuto interruzione.
È interessante questo lavoro perché Le Carré non era certo un filopalestinese, ma solo un grande scrittore di spionaggio che conosceva bene il mondo dei servizi segreti e che, con grande maestria, lo ha saputo raccontare anche quando ha preso in esame la sfera del Mossad e le sue azioni terroristiche.
La famiglia dello scrittore, nel comunicarne il decesso, ha ringraziato caldamente il personale del Royal Cornwall Hospital di Truro, cittadina inglese in cui viveva, definendolo meraviglioso “per la cura e la compassione che gli è stata mostrata durante il suo soggiorno.” Ai suoi lettori non resta che augurargli un sereno eterno riposo riprendendo in mano uno dei suoi tanti affascinanti libri e lasciandosi confondere tra finzione e realtà.