Cinquant’anni fa venne finalmente introdotto nell’ordinamento giuridico italiano il divorzio, dopo una lunga battaglia di civiltà e libertà che aveva spaccato in due il Paese. Accadeva per la prima in Europa che l’istituto giuridico del divorzio venisse accompagnato da una fase di ‘separazione’, costituendone presupposto e condizione per lo scioglimento definitivo del matrimonio. Anche dopo la sua introduzione le resistenze e le avversioni, soprattutto del mondo cattolico, fecero sì che il 12 maggio 1974 gli italiani fossero chiamati alle urne attraverso un referendum. Il popolo sancì che la possibilità di sciogliere un matrimonio che non funzionava, era un diritto da salvaguardare. Così gli italiani salvarono una legge in vigore da appena quattro anni osteggiata dai movimenti di opinione. La legge quindi restò nel sistema nazionale ed intorno ad essa si riuscirono a costruire altre riforme.
Alla legge sul divorzio n. 898 del 1970 sono seguiti gli interventi normativi che hanno modificato l’assetto complessivo del diritto di famiglia: con la legge 54/2006, per esempio, si è messo mano all’istituto dell’affido dei figli.
Divenuto ‘condiviso’ in via ordinaria, la nuova legge ha previsto che entrambi i genitori ex-coniugi mantenessero l’esercizio della responsabilità genitoriale – che prima spettava al solo genitore affidatario – e che entrambi fossero tenuti a provvedere direttamente al sostentamento economico dei figli, in misura proporzionale al reddito.
Il divorzio breve arriverà solo dopo 9 anni dall’affido condiviso con la legge 55/2015, che ha comportato in prima battuta una crescita considerevole del numero dei divorzi nell’anno, con un’inversione di tendenza della curva solo a partire dal 2017.
L’evoluzione della disciplina ha riguardato anche l’assegno divorzile.
Il «tenore di vita» dei coniugi che andava mantenuto, assunto a criterio per anni dalla giurisprudenza di merito e di legittimità, è stato superato attraverso le pronunce emesse dalla Corte di Cassazione a partire dal 2017. I giudici di legittimità riformano i precedenti orientamenti e stabiliscono che la concessione dell’assegno possa avvenire solo nel caso in cui il coniuge non abbia mezzi di sostentamento propri, né possa conseguirli. Nel 2018 la stessa Corte corregge il tiro e ammette che in merito al riconoscimento dell’assegno non vale solo il criterio di natura assistenziale, ma anche quello di compensazione. Assume così importanza, nella valutazione, se il coniuge abbia sacrificato la sua carriera professionale di lavoro per dedicarsi alla famiglia».
Certamente il divorzio fu una conquista soprattutto delle donne che furono il vero motore del cambiamento di una società inchiodata su vecchi retaggi culturali.
Secondo la precedente normativa la moglie non poteva donare, alienare beni, immobili, sottoporli ad ipoteca, contrarre mutui, cedere o riscuotere capitali senza autorizzazione del marito. Si affermava nelle vecchie norme che regolavano gli affari di famiglia che era indiscutibile come il danno che dall’adulterio della donna ricadesse sul marito in modo infinitamente più grave rispetto a quanto l’adulterio del marito ricadesse sulla moglie. Non era ammessa l’azione di separazione per l’adulterio del marito, se non quando fosse risultato provato che il marito avesse la concubina in casa o notoriamente in altro luogo. Ed in ogni caso si stabiliva che, anche in seguito alla separazione, alla donna non spettasse la facoltà di assumere cittadinanza diversa da quella del marito.
È proprio nella relazione tra passato e presente che assume maggior valore l’anniversario odierno dei cinquant’anni del divorzio.