Desiderio per il passato e nostalgia di una terra lontana, due sentimenti non considerati patologici. L’origine degli ebrei algerini è molto antica e poco conosciuta. Come per tutto il Nord Africa, la presenza ebraica sul suolo algerino risale almeno al periodo romano (Mauretania Cesariense).
Di Rabah Arkam
Sin dai tempi antichi le terre berbere hanno accolto cristiani ed ebrei nell’Impero Romano. Ci furono movimenti migratori sin dall’antichità, tra Palestina, Roma, Egitto o Cirenaica. Il loro arrivo risale al I secolo dell’era cristiana e alla distruzione del secondo tempio di Gerusalemme da parte di Tito Cesare Vespasiano nel 70, che causò la dispersione degli ebrei nel bacino del Mediterraneo e la loro deportazione in Nord Africa come schiavi e prigionieri di guerra. A questo si aggiunsero i fenomeni di conversione al giudaismo di alcune tribù berbere. Tra gli ebrei berberi spiccavano i Djerawa, tribù che viveva ad Aurès e a cui apparteneva la regina Kahina, una donna uccisa dagli arabi durante le prime invasioni. Le altre tribù giudeo-berbere erano i Nefouça, i berberi di Ifrikia, i Fendelaoua, i Mediouna, i Behloula, i Rhyata e gli Izaïanes.
Dopo la conquista araba, e dopo un periodo iniziale relativamente tollerante, gli ebrei del Nord Africa nel XII secolo furono soggetti a una terribile persecuzione da parte degli Almohadi. Dal 1165 fu introdotta una politica di conversione forzata che prevedeva il divieto di sposare musulmani e di praticare il commercio su larga scala. Dovettero poi praticare clandestinamente, o andare in esilio in Egitto (come fece il filosofo, medico, talmudista Maimonide), in Palestina o in Italia. Inoltre, dovettero indossare un indumento particolare, giallo, sotto l’Almohade Al Mansur, dal 1198. Questa tendenza a contrassegnare gli ebrei con un colore o un distintivo, variabile a seconda del paese e dell’epoca, si ripete in Europa sin dal Medioevo.
Agli inizi del XVI secolo, negli anni successivi alle ultime espulsioni di ebrei dalla Penisola Iberica, l’Algeria era diventata un mosaico politico frammentato. Tra il 1505 e il 1510, i re cattolici lanciarono una nuova “crociata” e presero diversi porti in Algeria, Mers-El-Kébir, Oran e Bougie, dove istituirono guarnigioni fortificate. Di contro i corsari musulmani, i “raïs”, si organizzarono. Nel 1516 i raïs Arouj e Khaïr-ed-Dine noti come “Barbarossa” conquistarono Algeri e, nel 1518, Khaïr-ed-Dine si alleò con il sultano ottomano che lo nominò Beylerbey e lo fece ammiraglio della sua flotta.
Durante il periodo ottomano, gli ebrei algerini furono severamente soggetti allo status di “dhimmi”. Si poterono instaurare rapporti di buon vicinato e persino di amicizia, in particolare in occasione della celebrazione delle festività ebraiche. Nel 1830, in seguito alla colonizzazione francese dell’Algeria, gli ebrei furono liberati dallo status di dhimmi: inizialmente ricevettero la parità di diritti rispetto ai musulmani “autoctoni”, in applicazione dell’atto di capitolazione tra il generale de Bourmont e Dey d’Alger, che garantiva il rispetto per tutte le religioni.
Inoltre, dall’apertura delle prime scuole francesi nel 1831, gli ebrei poterono mandarvi i propri figli. Abbandonarono poi rapidamente i loro tribunali religiosi, a differenza dei musulmani, per sottomettersi alle corti francesi di common law, applicando la legge mosaica (con la competenza di un rabbino). Il governo francese concesse agli ebrei algerini la nazionalità francese con decreto Crémieux del 24 ottobre 1870. Un tale decreto non avrebbe potuto allora essere adottato a favore degli arabi musulmani, che non avrebbero sostenuto, come gli ebrei, il ritiro del loro status religioso e che avevano poca voglia di sottoporsi al servizio militare da cittadini francesi.
Il decreto Crémieux innescò molte reazioni antisemite. Queste reazioni, alimentate da Edouard Drumont e poi dall’affare Dreyfus, durarono fino all’inizio del XX secolo. Da questo periodo, gli ebrei furono in grado di condurre una vita normale. Dopo la sconfitta della Francia nel giugno 1940, ci fu una rinascita dell’antisemitismo in Algeria. Volantini, poster e graffiti apparvero in gran numero nelle città durante l’estate. Fu dichiarato il boicottaggio dei negozi ebraici. Circolarono calunnie a favore dell’abrogazione del decreto Crémieux e dell’espulsione degli ebrei algerini.
La maggior parte delle leggi discriminatorie che interessarono il giudaismo francese dal 3 ottobre 1940, data di promulgazione a Vichy della legge che stabiliva lo statuto degli ebrei, fu applicata in Algeria, con un ritardo che variava, a seconda dei casi, da diversi giorni a diversi mesi. Il governo di Vichy abrogò il decreto Crémieux il 7 ottobre 1940. Annullò la concessione dei diritti civili di cui gli ebrei algerini godevano da settant’anni. La legge del 2 giugno 1941 proibiva agli ebrei un gran numero di funzioni e li escludeva da diverse professioni.
La cittadinanza francese fu ufficialmente restituita agli ebrei algerini il 20 ottobre 1943, quasi un anno dopo gli sbarchi alleati. Dal 1943 al 1945 molti ebrei presero parte ai combattimenti in Tunisia, Italia, Francia e Germania. Alla fine della guerra, gli ebrei algerini sentirono di aver recuperato il loro bene più prezioso: la loro identità francese.
Quando iniziò la Guerra d’Indipendenza, gli ebrei furono chiamati da ogni parte. Vissero il conflitto in subbuglio, a volte anche con la coscienza sporca. Il 22 giugno 1961, il cantante e musicista Raymond Leyris, noto come “Cheikh Raymond”, uno dei grandi maestri della musica arabo-andalusa, fu ucciso a colpi d’arma da fuoco nel quartiere ebraico di Costantino.
Dopo l’indipendenza dell’Algeria, il governo dell’epoca adottò il Codice di nazionalità del 1963, concedendo la cittadinanza solo ai musulmani. Questa legge estendeva la cittadinanza solo alle persone il cui padre e nonno paterno erano musulmani. L’ottantacinque per cento dei 140.000 ebrei indigeni del paese andò in esilio dopo l’approvazione della legge. Circa 130.000 ebrei lasciarono l’Algeria. Ebrei marocchini che vivevano in Algeria ed ebrei della Valle dello M’zab nel Sahara algerino, che non avevano nazionalità francese, così come un piccolo numero di ebrei algerini da Costantino, emigrarono in Israele in questo periodo.
L’ascesa al potere del dittatore Mohamed Boukharouba, noto come Houari Boumediene coincise con l’insediamento finale dei militari al potere. Il colpo di stato del 19 giugno 1965 inaugurò un regime autoritario in cui il potere statale si perpetuava esclusivamente dall’alto, per cooptazione, all’interno di un gruppo che deteneva la forza armata, decretando l’inizio dell’eliminazione a poco a poco degli oppositori e di tutti coloro che erano fuggiti o che vivevano in esilio, arrestati o giustiziati. Ebrei algerini e berberi furono perseguitati in Algeria. Vennero introdotte discriminazioni sociali e politiche e tasse pesanti. Nel 1967-1968, il governo sequestrò la maggior parte delle sinagoghe del paese convertendole in moschee. Nel 1969, meno di 1.000 ebrei vivevano ancora in Algeria.
Non c’è dubbio che la storia dell’Algeria a partire dalla sua indipendenza sia soprattutto la storia dell’emergere di una “identità algerina”, che prende in prestito allo stesso tempo i modelli federale, repubblicano, islamico e nazionalista. Avendo a che fare con contraddizioni e dubbi, si può capire come per il regime autoritario sia difficile cedere il potere.
Dopo cinquantotto anni di questa dittatura di governo, l’attuale crisi è ancora testimone del suo fallimento. Basandosi sulla menzogna di un “popolo unanime” e rivendicando l’eredità esclusiva della lotta per l’indipendenza, il regime autoritario algerino non riuscirà a compensare questa mancanza di legittimità democratica e nemmeno a nascondere l’ombra tutelare e onnipresente dei suoi membri.
Tenendo conto dell’idea di nazione e del modello politico di “stato-nazione”, la questione della definizione di nazione, oggetto di ricorrenti controversie, non ha mai dato luogo a un vero e proprio dibattito sostanziale a causa della rigidità dottrinale e organizzativa del regime autoritario algerino.
Questo è il motivo per cui questo regime continua a dominare e a strumentalizzare il “popolo” non costituito in nazioni per raggiungere gli obiettivi che conosciamo.
Perché senza essere una nazione, il popolo non ha peso politico e non è una forza. Insomma, non è una “entità politica”.
Al giorno d’oggi, quasi tutti gli ebrei algerini hanno lasciato la loro patria, con ferite al cuore e all’anima mai rimarginate. Molti esprimono ancora il loro attaccamento all’Algeria, alla loro patria, hanno un sentimento familiare molto profondo. Coloro che sono rimasti vivono nascosti, spesso con uno pseudo soprannome, per paura di essere perseguitati dal regime dittatoriale.
Quindi la “democrazia” deve, per abbracciare le realtà dell’Algeria senza nazioni, essere rivista etimologicamente per riferirsi alla “nazione” e non al popolo al fine di costruire una nuova visione sul futuro del paese, che consentirà a tutti i figli dell’Algeria, ai Berberi (Kabyle, Chawis, Targui, Mzabi, Chelhi) delle popolazioni indigene, nonché a Ebrei, Arabi e Pieds-Noirs di vivere in questo stato libero dove ognuno rispetta se stesso. Ciò renderebbe l’Algeria un paese forte.
Traduzione dall’inglese di Ilaria Cuppone. Revisione : Silvia Nocera