In molte parti del mondo, compreso in Italia, hanno creato le stanze degli abbracci per questo periodo di pandemia che sembra aver cambiato le nostre vite, le nostre emozioni e le modalità con cui le comunichiamo, ammesso che ancora riusciamo a farlo.
Il Covid19 ci ha costretto all’isolamento, ci ha impedito di stare vicini se non a distanza di sicurezza tanto che, a distanza di quasi di un anno dall’inizio della pandemia, ci sembra quasi normale non toccarci ed EVITARE I CONTATTI.
Siamo quasi a Natale, il momento dell’anno forse maggiormente connotato da questi contatti e dagli abbracci, ma quest’anno purtroppo dovranno essere spezzati. Distanze che sembrano insormontabili tra chi non potrà ricongiungersi con la propria famiglia a causa delle restrizioni e i divieti di spostarsi tra le regioni e (forse) di ritornare alla propria residenza.
Sarà un Natale diverso, continuano a ripetercelo dalla televisione, da chi decide le nostre sorti, da chi ha pensato che ad agosto non fosse poi così grave riaprire le discoteche ma prontamente ha chiuso i teatri; da chi non vuole farci fare il cenone di Natale ma permette alle squadre di professionisti di calcio di continuare a spostarsi liberamente e impunemente tra città, regioni e nazioni.
Come se non fosse impossibile abbracciarsi e baciarsi, vediamo giocatori e allenatori sugli schermi che si abbracciano e si baciano senza nessuna paura, nessun pericolo. Perché loro sono immuni? Perché sono controllati, perché sono privilegiati. Ma è ingiusto per chi, di contro, in questo momento vive uno scenario completamente diverso.
Ci sono persone, però, a cui un abbraccio può cambiare la giornata, o magari sollevare un po’ la vita. Ci sono malati che hanno bisogno di un abbraccio per ricordare gli affetti, per ricordarsi chi sono. Per questo motivo, sono state create queste stanze con una parete in plastica trasparente elastica con delle maniche di plastica da indossare con cui i visitatori possono stringere e abbracciare i propri cari cercando di mantenere un minimo quel contatto fisico che manca a tutti, ma forse a qualcuno più di altri.
Il Comune di Reggio Emilia ha promosso questa iniziativa, così come molte strutture per anziani dove vi sono persone affette da Alzheimer o demenza per cui la visita e il contatto con un parente possono essere fondamentali e in questo periodo forse vitali.
Le stanze degli abbracci sono creazioni fisiche che permettono, per quanto possibile, il contatto diretto limitando al minimo il contagio, ma sono pur sempre pareti di plastica che rendono comunque quell’abbraccio spezzato da una distanza, seppur minima.
Due immagini di abbracci, una che ritrae calciatori che si abbracciano e si “assembrano” per esultare per un gol, dall’altra parte una famiglia separata da un telo protettivo di plastica.
Sappiamo bene quanta disparità ci sia, quante diseguaglianze regnino nel nostro paese – e non solo – ma questa tragedia che ha colpito il mondo, questa pandemia avrebbe dovuto cambiarci in positivo, avrebbe dovuto sensibilizzarci riguardo alle nostre priorità e ai reali valori.
Un abbraccio ha un peso, come questa pandemia ci ha mostrato, un abbraccio negato e mancato pesa ancora di più. Non dovremmo mai più darlo per scontato, e soprattutto non dovremmo mai sbeffeggiare chi non può farlo. Quelle immagini, poco educative e – tra l’altro – poco empatiche, sembrano prendersi gioco di chi per un abbraccio e per cercare di sentire un minimo di contatto deve indossare una parete di plastica.