Intervista a Yousef Salman, medico palestinese, delegato per la Mezza Luna Rossa Palestinese in Italia, ideata e realizzata per L’AntiDiplomatico da Cristina Mirra.
Partiamo dal 29 novembre Giornata Mondiale di Solidarietà al Popolo Palestinese. Tu eri ad Assisi dove si è svolta una Conferenza Internazionale. Com’è andata e che impressione hai avuto? Esiste una volontà concreta da parte della politica e delle istituzioni di porre fine a questo capitolo orribile e interminabile che ha visto protagonista il popolo Palestinese?
Il 29 novembre 1947 è stato uno dei giorni più neri della storia Palestinese. Quel giorno l’ONU compie il più grande torto nei confronti di un popolo sulla Terra, vota il Piano di Spartizione della Palestina storica, in 2 Stati: quello ebraico sul 56% del territorio e quello arabo Palestinese sul 43,4% lasciando fuori dalla spartizione Gerusalemme dichiarata zona internazionale. Di fatto le Nazioni Unite favorirono la Nakba, cioè l’espulsione del 75% dei palestinesi dalle loro case.
A tal proposito ricordiamo il leader e guida del popolo Palestinese Yasser Arafat. Ci racconti un ricordo di lui che ne rappresenti l’essenza di politico e di uomo?
Nel novembre 1974, Yasser Arafat Presidente dell’OLP, leader riconosciuto della lotta di liberazione nazionale del popolo Palestinese, venne invitato a pronunciare un discorso dinanzi all’Assemblea Generale dell’ONU, in rappresentanza nelle sedi internazionali, delle legittime aspirazioni dei Palestinesi. Arafat propone la `questione palestinese’ come nodo cruciale di interesse mondiale, con una sua specifica autonomia nel mosaico delle nazioni arabe disegnato dall’equilibrio delle grandi potenze nell’era post-coloniale.
Arafat, in quell’occasione, dichiara: “Il diritto di tutte le parti coinvolte nel conflitto mediorientale a vivere in pace e sicurezza, compresi lo Stato di Palestina, Israele e tutti” e aggiungeva:
“Sono venuto con un ramoscello d’ulivo in una mano e il fucile del combattente per la libertà nell’altra. Non lasciate cadere il ramoscello d’ulivo dalla mia mano”.
Nel 1977 l’ONU, dopo quel famoso discorso e come segnale di riconoscimento del torto commesso nei confronti del popolo palestinese, approva la risoluzione 181 del 29 novembre “47, che riconosce l’ingiusto “Piano di Spartizione”, trasformando quella triste data in una giornata da celebrare e da festeggiare, dandole un diverso colore e una speranza per una giusta pace. È la Giornata che noi festeggiamo oggi. “Giornata Internazionale di Solidarietà con la lotta del Popolo Palestinese” e, per l’occasione, anche il Segretario Generale è solito fare un suo discorso invitando il mondo a manifestare in solidarietà con la giusta causa Palestinese.
Quest’anno ed in occasione della Giornata del 29 novembre, 18 delle più grandi realtà del sindacato, dell’Associazionismo e della società civile italiana, (CGIL, CISL, UIL, AGESCI, ACLI, ANPI, ARCI, ASSOCIAZIONE COMUNITA’ PAPA GIOVANNI XXIII, ASSOPACEPALESTINA, CENTRO INTERNAZIONALE STUDENTI GIORGIO LA PIRA, FONDAZIONE GIORGIO LA PIRA, FONDAZIONE LELIO E LESLI BASSO, LEGAMBIENTE, LIBERA, PAX CHRISTI, PIATTAFORMA ONG ITALIANE MEDITERRANEO E MEDIO ORIENTE, PRO CIVITATE CHRISTIANA CITTADELLA DI ASSISI, RETE ITALIANA PACE E DISARMO), insieme a noi si sono riunite idealmente ad Assisi per rilanciare la Campagna Nazionale per il riconoscimento ufficiale dello Stato di Palestina, riconosciuto dall’Europa, dall’Italia da altri 140 stati al mondo.
La raccolta delle olive in Palestina cosa rappresenta e quali difficoltà deve affrontare ogni anno il popolo Palestinese?
L’olivo per tutti è il simbolo della Pace, fra gli uomini e i popoli del mondo. Per i Palestinesi oltre a questo significato, rappresenta la vita, la terra, le radici. Inoltre è la prima e la più grande fonte di sostentamento a livello economico. L’economia Palestinese è basata sulla stagione della raccolta delle olive, che i Palestinesi accudiscono con amore, curano come figli. Non esiste vita e futuro per i Palestinesi senza gli olivi. Questo profonda verità la conoscono bene gli occupanti israeliani, motivo per cui caratterizzano la stagione della raccolta con le loro criminali incursioni: sradicano gli alberi, li bruciano, rubano gli olivi o il raccolto. Sono stati sradicati e bruciati milioni e milioni di alberi d’olivo Palestinesi, anche millenari, da parte dei coloni e dell’esercito d’occupazione, sotto gli occhi del mondo e particolarmente sotto gli occhi dei cosiddetti verdi europei ed internazionali. I difensori della natura e dell’ambiente quando si tratta dei criminali israeliani, si vergognano e si girano altrove, chiudono gli occhi e gli orecchi.
Ma quello Palestinese è un popolo costituito da donne e da uomini liberi ed onesti, determinato a difendere con la vita i loro olivi e il loro raccolto da israeliani ed occidentali.
Abbiamo negli occhi immagini di case demolite, bambini e ragazzi arrestati, appunto alberi tagliati e l’assedio di Gaza. Ci fai una panoramica dell’attuale situazione?
Purtroppo tutto il mondo sa che Israele che non vuole la pace, ma vuole appropriarsi di tutta la terra Palestinese e, per questo, può solo reprimere ed opprimere il popolo palestinese e cercare il consenso dei peggiori governi arabi mantenendo lo status de facto, né pace né guerra: reprimere, opprimere, umiliare, assassinare uomini, donne, giovani e ragazzi, distruggere e demolire case, scuole, chiese, moschee ed ospedali, ogni aspetto della vita e della speranza dei Palestinesi, in Cisgiordania, a Gerusalemme e nell’assediata Gaza, il più grande carcere a cielo aperto al mondo.
Fino a quando l’ONU e la Comunità internazionale potranno evitare di rispondere a questa domanda: per quanto tempo ancora saranno violati e negati i diritti umani del popolo Palestinese?
Situazioni carceri, ci parli della condizione dei detenuti Palestinesi?
Nelle carceri israeliane ci sono più di 5.700 prigionieri politici Palestinesi di cui 32 hanno superato i 25 anni di carcere, il decano dei prigionieri Nael Al Barghouti ha superato i 37 anni di prigionia. Fra questi vi sono 252 minorenni e 72 donne. La politica del sistema carcerario israeliano è uccidere prima a livello psicologico e poi a livello fisico, attraverso condanne che non danno speranza, centinaia di anni e diversi ergastoli. Il metodo applicato è il fermo amministrativo, condannare al carcere senza accusa e senza udienza per anni, di sei mesi in sei mesi. Quasi ogni anno i prigionieri politici palestinesi entrano in sciopero della fame a tempo indeterminato, in forma collettiva o individuale. L’ultimo è Al Akhras, che ha condotto un sciopero della fame per fermo amministrativo, per 103 giorni, costringendo alla fine il boia israeliano al rilascio. Questi scioperi spesso vengono condotti nelle prigioni di Negev, Nafha, Eshel, Ofer, Gilboa, Megiddo… Gli scioperi della fame hanno lo scopo di ottenere diritti elementari, come poter comunicare con il mondo esterno, con la famiglia i genitori, moglie, figli, attraverso la richiesta di fornire le carceri di sevizi telefonici, di togliere gli apparecchi disturbatori e pericolosi per la vita, ottenere permessi di visita dei familiari almeno 2 volte al mese, e la cessazione dei metodi di tortura e di abusi fisici e sessuali… Non parliamo dei difensori dei diritti umani e le loro istituzioni mondiali che intervengono, quando intervengono, a margine.
I Palestinesi hanno conservato un minimo di fiducia nell’Occidente?
Il conflitto mediorientale, che è il più lungo e il più duro conflitto della storia umana, praticamente è nato nel 1897 con la nascita del Movimento sionista di Theodor Herzl, giornalista ungherese e ufficialmente nel 1948 con la nascita dello stato d’Israele sulla terra Palestinese. E’ nato grazie all’impero coloniale occidentale, prima della seconda guerra mondiale di quello britannico e, dopo, di quello attuale USA. Le potenze coloniali occidentali avevano bisogno di una base avanzata, di un cane da guardia per difendere i loro interessi economici e strategici: il Canale di Suez, il petrolio, il dominio del Mediterraneo come cuore del mondo, la loro avidità di sfruttare, di controllare e di dominare. Sono più di 72 anni di conflitto, di aggressioni, di occupazione, di guerra, di distruzione e di morte e più di 27 anni di inutili e di sterili trattative fra Palestinesi ed israeliani. Dalla firma degli accordi di Oslo nel 1993, grazie all’intransigenza, all’arroganza israeliana, al silenzio e spesso alla complicità dei potenti della Terra, campioni di democrazia e dei diritti umani, come piace loro autodefinirsi in ogni occasione, siamo tornati indietro e siamo sotto zero.
Dopo il ripristino delle relazioni diplomatiche con Israele da parte di alcuni stati e il presunto accordo di Israele con Trump, quali prospettive per la causa Palestinese?
Oggi, se si chiede a qualunque uomo politico o a qualsiasi governo, quale è la soluzione del conflitto mediorientale, la risposta è “2 stati per 2 popoli” ma, quando il Presidente Palestinese Abu Mazen interviene all’ONU per rivendicare il riconoscimento dello Stato che non c’è e del popolo che non esiste, gli USA e la maggior parte dei paesi europei votano: NO. In realtà è Israele che non vuole la pace, non vuole ritirarsi e lasciare le terre Palestinesi, ma vuole appropriarsi di tutta la loro terra mirando alla realizzazione del vecchio e folle piano sionista, il Grande Israele rappresentato dalla bandiera israeliana con 2 righe blu e la stella di David al centro: “la tua terra Israele”, è dal Nilo (in Egitto), la prima riga blu, fino all’Eufrate (in Iraq), la seconda rivendicando così quasi tutto il mondo arabo.
Esistono centinaia e centinaia risoluzioni dell’ONU di condanna della politica aggressiva e criminale dei governanti israeliani che da 72 anni aspettano rispetto ed applicazione. L’Italia, sotto il Presidente Giulio Andreotti, ha riunito tutta l’Europa ed è stata autrice della Dichiarazione di Venezia del 1980 riconoscendo il diritto sacrosanto del popolo Palestinese all’Autodeterminazione e alla creazione del suo stato libero ed indipendente con Gerusalemme sua capitale. Passo importante ed essenziale per la realizzazione di una soluzione pacifica, giusta e durevole. E’ un atto di giustizia, di coraggio e di coerenza morale e politico che l’Occidente non ha ancora compiuto.
Quant’è ancora importante per tutti la causa Palestinese e cosa rappresenta ancora oggi?
Il problema Palestinese è il nocciolo del conflitto mediorientale e finché non ci sarà la giusta soluzione, non ci sarà mai pace e sicurezza in quella zona strategica del mondo. Sono stati firmati, in passato, sotto pressione USA accordi di pace fra Israele e la Giordania, poi con l’Egitto, oggi anche con gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrain e può darsi domani con il Sudan, l’Oman, l’Iraq… E’ stata raggiunta la pace? Solo un folle come Donald Trump, che ha dato tutto ad Israele e ha negato tutto ai Palestinesi, potrebbe rispondere di sì, ma in realtà è accaduto il contrario. Pace vuol dire giustizia e giustizia vuol dire la soddisfazione dei legittimi diritti del popolo Palestinese.
Arafat ha sempre gridato dinanzi al mondo intero: dalla Palestina nasce la guerra e dalla Palestina nasce la Pace. Marwan Al Barghouti, leader di Al Fatah in Cisgiordania e membro del Consiglio Legislativo Palestinese (il Parlamento) diceva ai suoi amici israeliani: “l’ultimo giorno di occupazione sarà il primo giorno della pace” e per ultimo non posso non ricordare le parole del grande leader Nelson Mandela: “la nostra libertà è incompleta senza la libertà dei Palestinesi”. E’ questo che rappresenta la Palestina oggi e domani.
Cosa dovranno raccontare i libri di storia dal ’47 ad oggi di quel che è accaduto a questo popolo?
I libri di storia dovranno raccontare la Nakba (la Catastrofe) del popolo palestinese: 15 Maggio 1948 quando i palestinesi subirono la più grande tragedia della loro storia, la cacciata e l’espulsione, con la forza delle armi da parte delle bande terroristiche sioniste, addestrate, equipaggiate, armate e finanziate dall’impero britannico, che invasero villaggi e città attaccando e sterminando parte della popolazione locale e inducendo alla fuga più di 800.000 Palestinesi. Le bande sioniste presero il controllo dei 774 tra città e villaggi, distruggendone 531 e commettendo oltre 70 stragi e massacri degli autoctoni Palestinesi come Deir Yassin, Kofr Qassem, Qebbya e molti altri. Come conseguenza di tali crimini, oltre 15 mila Palestinesi perirono durante la Nakba. Dei Palestinesi cacciati molti di loro divennero profughi in diverse località della Cisgiordania, di Gerusalemme e della Striscia di Gaza, altri lo divennero in alcuni paesi arabi confinanti tra cui Siria, Libano, Giordania, Iraq, ecc… Essi subirono il furto della propria storia, cultura, del proprio destino individuale, familiare e collettivo, il saccheggio della propria terra, di ogni proprietà e ricchezza, furono massacrati e sottoposti a pulizia etnica sistematica tutt’ora in corso. Studi mostrano come l’89% dei Palestinesi sfollati furono costretti a fuggire dalla macchina bellica sionista, il10% dal terrorismo psicologico e dalla minaccia diretta e indiretta, e meno dell’1% se ne andò di propria spontanea volontà, contrariamente all’opinione diffusa che “i Palestinesi hanno venduto la loro terra”. Dalla tragedia della Nakba si instaurò lo stato sionista di Israele sul 78% della Palestina storica.
In questo modo i Palestinesi pagano il prezzo di un crimine che non hanno commesso, del quale non sono responsabili e che continuano a pagare ancora oggi: tutto il complesso del senso di colpa europeo, diventando nello stesso tempo vittime delle vittime. Come diceva il grande Primo Levi: “Ognuno è ebreo di qualcuno”. Oggi i Palestinesi sono gli ebrei di Israele.
I significati delle parole cambiano con il tempo e a seconda del contesto: quali utilizza la retorica israeliana per giustificare gli orrori che compie?
Israele attraverso la sua gigante macchina propagandistica fondata sulla base del detto: una bugia ripetuta 40 volte diventa verità, è riuscito quasi a fare un sistemico lavaggio collettivo del cervello a livello globale e fare passare dei messaggi falsi e pericolosi, tipo: la Palestina è la terra dei loro avi, quando e come? Se loro stessi dicono che sono discendenti di Abramo e di Mosè, ma ne Abramo, nato ad Our in Iraq, ne Mosè, nato in Egitto, sono nati in Palestina. Dicono che 3 mila anni fa, vivevano in quelle terre. Ma se questo concetto deve valere per loro, allora perché non deve valere per gli altri? I Romani dove stavano 2 mila anni fa? Gli arabi non hanno occupato la Spagna e la Sicilia per centinaia di anni? Dicono che la Palestina era un deserto che hanno fatto fiorire loro? Come può un paese che ha più di 700 km di costa, 3 fiumi e 2 laghi ad essere un deserto? Nella Bibbia stessa, quando si parla di Palestina, viene descritta come la terra del “latte e del miele”. Dicono che la lotta di Liberazione Nazionale dei Palestinesi è terrorismo, ma l’Italia non ha fatto la sua guerra di liberazione quando è stata sotto l’occupazione nazi-fascista? Anche la minima critica alla politica criminale dei governanti israeliani è considerata antisemitismo. Tutti i politici e i governi del mondo sono soggetti di studio e di critica. Si può criticare tutti e tutto, ma Israele no, chi lo decide e perché? C’è stata un’appropriazione di taluni termini e concetti, come a rivendicarne l’origine semita senza tenere conto che gli arabi e i palestinesi sono anch’essi discendenti di Abramo. Tra le vittime della bestia nazi-fascista non vengono quasi mai menzionati i milioni di russi, i comunisti, i rom, gli omosessuali…Tutto questo nasce dalla psicologia sionista basata sulla superiorità della razza ebraica su tutte le altre razze: la Palestina è la terra promessa da Dio solo al suo “popolo eletto”: esiste razzismo più di questo? Dismond Tuto disse che il sistema Apartheid che abbiamo subito in Sud Africa era proprio niente rispetto quello israeliano contro i Palestinesi, qui la questione è senza mezzi termini.