In una manciata d’anni, meno di quanti ne entrino stretti in una mano, ci hanno lasciato delle figure immense. Alcune conosciutissime, altre meno, ma tutte immense.
Il capodanno 2017 ci ha portato via monsignor Capucci, pochi mesi dopo lo avrebbero seguito Stefano Rodotà , Alberto Terracina, Bianca Bracci Torsi, dom Franzoni, Ettore Masina e Anissa Manca, solo per ricordare i grandi vecchi che ho conosciuto da vicino e con alcuni dei quali ho avuto un rapporto di calda amicizia.
Poi, dopo l’annus horribilis 2017, altre grandi figure ultra ottuagenarie e nonagenarie hanno seguitato ad andarsene lasciandoci grandi vuoti, ma anche grandi eredità. Tutte eredità di quel pensiero “di sinistra” inteso sia come lotta per un’umanità migliore, sia come sistema valoriale che, sebbene con sfumature diverse, ha caratterizzato tutte le nostre e i nostri “grandi vecchi”.
Quelle e quelli che erano stati giovani partigiani e che, ora, rappresentavano la memoria vivente della Resistenza, sono stati portati via dalla legge ineluttabile che ci rende mortali.
Gli ultimi a lasciarci sono stati Tina Costa, il “comandante Eros”, Marino Fronti e da ultimo Rossana Rossanda, fondatrice del Manifesto di cui altra cofondatrice fu Lidia Menapace, spentasi oggi. Entrambe quasi centenarie, ma entrambe con una mente ancora lucida come fossero ventenni, e arricchita di cultura e di esperienze maturate in anni lontani e vicini, che sono il loro grande lascito.
Lidia, al contrario di tutti gli altri “grandi vecchi” si è spenta presa dalla covid-19. Ricoverata alcuni giorni fa in un ospedale di Bolzano, si è temuto subito che date le sue condizioni non ce l’avrebbe fatta, ma chiunque la conoscesse ha sperato di vederla uscire, magari ancora con i suoi colori canzonatori che sfidavano il mondo del “buon gusto di serie” e che indossava con allegra sfrontatezza. Invece no, Lidia purtroppo non ce l’ha fatta, in cinque giorni si è spenta.
Non voglio unirmi alla retorica cantilenante del momento che ripete come un loop “ce l’ha portata via la covid”. Credo che Lidia, ironica e sagace come pochi, ci riderebbe su perché ben consapevole che ogni organismo, arrivato a un certo numero di anni, e arrivatoci con qualche più o meno grave défaillance fisica, è costretto a chiudere la sua storia terrena.
Lidia ci lascia scritti e azioni che non le consentiranno di essere dimenticata e che seguiteranno ad occupare quegli spazi che guai a lasciar vuoti. Così come, in modo diverso, gli altri grandi vecchi citati sopra. Chi l’ha conosciuta personalmente non può dimenticare la sua capacità di volgere in una sorta di filosofia politica ogni frase che le capitasse di dire come, ad esempio, il giorno in cui raccontò che da bambina aveva chiesto a sua madre perché in Italia chiamassimo portinaia con un leggero senso di superiorità quella che in Francia, con rispetto, si chiamava “madame la concierge” e sua madre le rispose “perché lì c’è stata la Rivoluzione francese e almeno formalmente non ci sono sudditi ma cittadini tutti di pari dignità”. E da qui partiva magari un discorso sull’oggi.
Lidia non fu una partigiana comunista ma una partigiana cattolica. Nella sua prima gioventù dopo la guerra fece parte della Democrazia Cristiana e, anche quando fece la scelta marxista non abbandonò mai la sua formazione cattolica, fu infatti una delle promotrici del movimento Cristiani per il Socialismo e ci teneva in più occasioni a ricordare che la famosa frase marxista “la religione è l’oppio dei popoli” faceva seguito a “la religione è il sospiro delle creature oppresse” che solo poi diviene l’oppio dei popoli.
Quando, da senatrice eletta nelle liste della Sinistra Europea si trovò ad affrontare il dibattito sul voler riconoscere le radici cristiane dell’Europa, Lidia disse a chiare note che la pretesa del Vaticano, e non solo del Vaticano, era un falso storico e argomentò la sua posizione richiamandosi alla Grecia precristiana e al diritto romano, anch’esso precristiano.
Era scomoda questa donna, già ultraottantenne disturbava molto e disturbava in ogni campo in cui il suo pensiero si faceva pratica politica, compreso il femminismo, l’ecologia e il pacifismo.
Lidia rifuggiva dal senso comune e proprio per questo, ad esempio rispetto all’ecologia, metteva in guardia da forme inconsapevolmente reazionarie basate “sulla conservazione di antichi equilibri e tradizioni” ma affermava la necessità di “una ecologia scientifica e razionale, che metta sotto il controllo della ragione pubblica anche la ricerca scientifica e la sua non neutralità.”
Rispetto alla nonviolenza, che l’aveva caratterizzata anche durante la Resistenza, Lidia non accettava un pacifismo di parole o rassegnatario, ma invitava a tener presente la necessità di una “politica di pace” da definirsi e imporsi anche a livello istituzionale, ricordando che “non esiste neanche una definizione giuridica positiva” che la riguardi.
Questi ricordi sono solo schizzi per tratteggiare la figura di Lidia Menapace, la stessa che quando sedeva in Senato fu verbalmente aggredita da un rozzo parlamentare fascista che cercò di tacitarla dicendo che una vecchina come lei doveva solo badare ai nipotini. Lidia rise di tanta rozzezza e quando alcune compagne, temendo che se ne sentisse offesa, provarono a parlarle con tono di affettuosa comprensione lei, lucida e ironica come sempre, disse: “vecchina a me? Semmai vecchiaccia, questo sì, ma che volete che ne capisca un povero fascista!”
Ecco, anche Lidia, vecchiaccia indomita, è andata via come gli altri, come purtroppo è legge di natura: un virus, un batterio, un embolo, una caduta, tutti mezzi che l’infame morte utilizza per falciare la vita. E ricordarci che siamo mortali.
Ma mi piace dedicare anche a lei, la cui eredità resta con noi, quel verso del grande Darwish che irride alla morte dicendole “O morte, ti hanno sconfitto tutte le arti … ed è sfuggita a te l’eternità”.