Un racconto tratto dal libro “Abbi cura di me”: decine di piccole grandi storie di cura donata e ricevuta, all’interno delle nostre case, dei nostri condomini, dei nostri quartieri, delle nostre città. Piccole grandi storie rimaste sconosciute. Storie di cura, di dono, di sorrisi, di parole care, di gesti preziosi. Storie di speranza e umanità.
Mi chiamo Moner Hazhi e vengo dal Marocco. Ho quasi 30 anni e sto per raccontare la mia lunghissima storia di vita.
Sono nato in una cittadina vicino a Marrakesh, da sempre ho lavorato in agricoltura. Ogni giorno vedevo i miei paesani che tornavano dall’Italia diversi da prima, con i vestiti nuovi, le macchine belle…
Un giorno mi sono chiesto: “Perché non andare e vedere cosa succede?” Almeno potevo provarci. Così ho cambiato vita. Quando non ti trovi bene bisogna cercare qualcosa in più. Con questo pensiero sono partito all’inizio per la Turchia con l’aereo: sono stato lì solo una settimana, poi subito dopo in Grecia. Ho passato otto mesi terribili cercando di attraversare la frontiera e arrivare in Italia.
Non lavoravo, tentavo la sorte una volta nascondendomi sotto un camion, una volta sotto un pullman, aspettando il momento giusto per scappare, sperando di rimanere vivo. Non avevo una casa, nemmeno un posto dove dormire, i miei giorni li passavo in montagna. La mafia greca era molto cattiva. Loro ti rubavano ciò che portavi con te, ti picchiavano fino alla morte. I poliziotti se vedevano che eri uno straniero ti lasciavano per terra, se ne fregavano. Anche quando eri in casa non eri al sicuro, se sentivi un rumore dovevi scappare…
La prima volta ho passato il confine sotto un camion, però mi hanno beccato e rimandato indietro. Un giorno ho visto vicino a un bar un pullman che portava dei ragazzi in Italia. Io avevo sentito che i poliziotti greci non controllavano i pullman italiani, quindi sarebbe stato più facile “imbarcarsi” sul quel pullman. Quel giorno io e i miei amici eravamo sul lungomare, volevamo solo mangiare e riposare, ma non avevamo tempo per questo. Qualche volta ci capitava di stare davanti al mare e guardare, almeno lì ci sentivamo tranquilli.
Il pullman stava per partire, allora abbiamo iniziato a pensare come e dove potevamo nasconderci. Nel motore, vicino all’ammortizzatore c’è un buco dove possono stare 3 persone, ma senza muoversi. E così abbiamo fatto. Uno dopo l’altro ci siamo infilati nel buco.
Il mio amico è caduto e non poteva respirare. Dopo qualche ora siamo arrivati davanti al traghetto che ci doveva portare in Italia. Tutte le persone sono scese per fare i bisogni e per salire sul traghetto, tranne noi tre. Avevamo già fatto un patto, quello di rimanere lì fermi, zitti, sotto il fumo di motore che ti bruciava la faccia. Non potevamo né bere una goccia d’acqua né fare la pipì, né respirare. Stavamo giocando con la nostra vita, quello era il prezzo per passare la frontiera.
Fortunatamente il viaggio per mare è durato nove ore e noi finalmente ci trovavamo vivi in un’altra terra, questa volta quella italiana. Non vedevamo l’ora di scendere nel primo villaggio.
Abbiamo fatto un viaggio di cinque ore prima che scendesse una ragazza. Non potevamo scendere tutti e tre allo stesso tempo. Era pericoloso, qualcuno rischiava di spaccarsi le ossa sotto il pullman. Abbiamo deciso di scendere uno alla volta. Poi ci siamo sentiti per telefono.
Quando scendi non senti più le gambe, i piedi sono paralizzati, la faccia nera, non hai le forze di pensarci e lamentarti, ma solo le forze per correre più veloce possibile. Ci siamo fermati per un attimino accanto ad un albero, peccato che un lungo serpente nero ha interrotto il nostro momento di riposo e ci ha fatto fare un’altra corsa. Da lontano abbiamo visto una casa, almeno potevamo chiedere qualcosa di mangiare. Non ricordavo l’ultima volta che avevo mangiato un pezzo di pane…
Ma la sfortuna era presente anche lì. In quella casa abitava un carabiniere; non ci ha fatto niente, ci ha detto di proseguire per una strada che portava alla stazione ferroviaria. Non ci ha dato neanche un bicchiere d’acqua…
Comunque dopo qualche minuto i carabinieri sono arrivati e hanno iniziato a inseguirci con le loro macchine. I miei amici li hanno fermati, invece io sono scappato da solo. Non mi potevo fermare, non dovevo. Il cammino doveva andare avanti. Avevo pagato tanto per arrivare fin qui…
Sentivo il bisogno di riposarmi almeno per una notte, ma dove? Le zanzare erano dappertutto! Con me avevo 60 € per fare il biglietto e andare a Napoli. Io conoscevo solo Napoli. Ho preso dalla tasca tutti i miei risparmi e li ho dati alla guardia della ferrovia. “Aiutami, per favore, voglio solo un biglietto”. Questa volta potevo stare su un sedile vero. Ma lui mi ha detto che il treno passava la mattina dopo. E adesso? Avevo tanta fame, ho visto una casa vecchia, anche se la vista la stavo perdendo dalla stanchezza. Ho chiesto l’elemosina alla donna che abitava lì, ma lei spaventata ha chiuso la finestra e se n’è andata.
Non lo so come ero diventato. Un po’ di acqua l’ho trovata giusto per far passare la sete e lavarmi la faccia. Dietro di me l’uomo che avevo incontrato prima mi ha avvisato che il treno stava per passare; non ho capito bene perché all’inizio mi aveva mentito. Ho tirato ancora fuori i soldi, ma lui non ha accettato niente. “Vai e buona fortuna”, mi ha detto.
A Napoli ho incontrato un marocchino che mi ha detto di andare a cercare lavoro a Foggia. Ho fatto il biglietto per 10€, me ne erano rimasti 50€ per mangiare e comprare qualche vestito nuovo. Foggia era un paese agricolo e c’era lavoro per i migranti. Ho lavorato là per 2 anni e ho fatto anche i documenti. Poi sono andato a lavorare a Bari e adesso a Milano. Sto lavorando in una fabbrica che fa oggetti di plastica. Abito con i miei amici a Pioltello. Ho perso tanto tempo in questo viaggio, ma almeno il sogno di cambiare la mia vita non è morto sotto il fuoco del motore. Adesso devo passare l’esame di lingua italiana per rinnovare il permesso di soggiorno. Per questo vengo a scuola. Per imparare bene l’italiano. Sono grato per tutto quello che ho; per il resto questa ė la vita…