Grazie a Vittorio Agnoletto e alla sua trasmissione 37 e 2 vengo a sapere di questa storia. Lo spazio che ho a disposizione non è molto. Se volete saperne di più sotto vi indico come fare; se riuscite fatelo, ci sono dei testi e dei video che meritano, molto.
12 aprile 1974, provincia di Napoli: Fortunato, un uomo di una certa età, finisce la sua esistenza terrena. I parenti lo piangono. Proprio il giorno successivo nasce un suo nipote: grande gioia, la vita continua, siamo o non siamo a Napoli? Quando scelgono il nome i genitori hanno pochi dubbi: Fortunato.
Un bimbo, un ragazzino che cresce a Napoli, vivace, impegnato, si fidanza molto giovane, a 18 anni e più tardi si sposano. Lui diventa pompiere, lei maestra elementare, precaria. Il lavoro li porta a Milano, nascono due figli, belli e sani. Una famiglia felice, per quanto Milano non sia Napoli e le relazioni siano poche, il freddo è fuori e anche un po’ dentro. Ma si accontentano, non si può avere tutto.
Cinque anni fa la prima sorpresa: quando meno se l’aspettavano “Annunciaziò, annunciaziò…. Tu Marì, Marì….” I primi due figli hanno già 12 e 13 anni: “Ragazzi, arriverà una sorellina…” Bene dai, ce la manda il Signore…
Nasce Roberta. Una piccola complicazione…. palatoschisi. Risolvibile… No, veramente, c’è dell’altro e poi ancora.. Va avanti così per un anno intero, trascorso più in ospedale che a casa. Uno probabilmente si chiede che cosa ha fatto nella vita precedente….
Corse tra Milano e Firenze, ospedali, visite, fino a scoprire che è una rarità mondiale, come una di quelle orchidee che crescono chissà in quale foresta vergine.
La prima vera diagnosi arriva dopo circa 5 mesi di vita, “displasia campomelica acampomelica”, malattia genetica così rara da essere il primo caso conosciuto e diagnosticato in Italia.
La famiglia ribaltata come un guanto, i due primi figli che passano da tutte le attenzioni a nessuna, aspettando che il papà o la mamma tornino dall’ospedale, dalla tal visita, dalla nuova operazione.
E poi piano piano prende forma una nuova vita. Rassetta l’appartamento, sposta quello, fai spazio… Comincia e poi cresce, in casa, il via vai di specialisti di vario tipo, macchine a cui attaccare la piccina la quale comunque vuole vivere, con una forza straordinaria. I genitori stessi non capiscono da dove la prenda, ma sono i suoi occhi che comunicano continuamente e poi le mani e poi il volto. Quando dorme sembra ringraziare tutti coloro che intorno a lei si sono “sbattuti”, hanno corso e sudato, si sono alternati, non l’hanno persa di vista e se c’era da intervenire non hanno fatto passare quei cinque minuti che sarebbero stati fatali.
Avete presente quei film girati dentro un sommergibile che ha avuto un’avaria e l’equipaggio rimane bloccato sott’acqua? Così succede alla famiglia del nostro Fortunato. O, come si dice a Venezia, “Duri i banchi!!”, https://www.youtube.com/watch?v=nV_1Di-9sMI classico grido per i rematori di una galera prima dello scontro con una nave nemica.
Maria e Fortunato ce l’hanno fatta; come dicono gli spagnoli sono riusciti a voltare la tortilla, a trasformare un incubo in un quasi sogno.
Che ora succeda quello che succeda, a me sembra che loro ce l’abbiano già fatta. Hanno messo in piedi prima un blog, poi un comitato, quindi un’associazione, hanno scritto un libro, l’hanno pure messo in mano a un paio di ministri. Hanno scoperto il mondo delle famiglie disabili, “Sì, perché – mi dice Fortunato – sono le famiglie che diventano disabili, perché non si può più fare quello e quell’altro e quella cosa ancora. Nessuno ci pensa, nessuno lo immagina, ma è così e va detto e raccontato. La vita normale salta per tutta la famiglia, non ci sono quasi più spazi privati, si deve riuscire a non impazzire, a non piangere tutti i giorni. L’estate scorsa siamo riusciti ad andare via dieci giorni, ma non succedeva da anni… E’ stato bellissimo…”
Più tardi racconta degli altri due figli, quasi tra le lacrime. Sa bene che hanno sofferto tanto e che i riflettori sono, bene che vada, puntati sul soggetto più debole, ma è tutta la famiglia a soffrire, a rischiare crisi profonde, separazioni, a convivere con la morte che sta dietro l’angolo, dietro una manovra sbagliata, dietro una distrazione.
Ma hanno stretto i denti e hanno lottato. L’accelerazione “pubblica” c’è stata quest’anno, quando a gennaio dalla Regione Lombardia sono arrivati dei tagli al sostegno alle famiglie diversamente abili. Si sa, queste condizioni richiedono anche spese e quindi alla solitudine si uniscono la rabbia e la disperazione.
Fortunato ha detto: “Mo’ basta!!” Ha iniziato a scrivere, ad assessori e al Presidente della Regione, poi al Presidente del Consiglio; le lettere rimbalzavano, qualcuno le pubblicava, fino al classico “muovere le acque”… Verso un lento colmare, su questi temi, incompetenze enormi, gigantesche.
Il Covid si è sovrapposto come un’ulteriore stretta intorno a queste famiglie che invece di crollare si sono unite a testuggine e hanno sfondato il muro di silenzio, di indifferenza, di ignoranza. A giugno lo hanno anche gridato in piazza, in un flash mob davanti alla sede della Regione Lombardia: “Ci siamo e non vi lasceremo in pace!”
Una goccia continua che scava, un martello che batte, giorno dopo giorno, parlando e facendo parlare di disabilità. Per rimuovere le barriere culturali, ben più radicate di quelle architettoniche. Con l’appoggio di molte famiglie o di piccole associazioni, ma senza il sostegno delle associazioni più grandi che spesso si annacquano o burocratizzano…
Come una rivoluzione copernicana, Roberta non è una scheggia impazzita di questo mondo, ma è un sole intorno alla quale ruotano migliaia di persone.
Un simbolo, con i suoi occhi in copertina. La sua storia, come tante altre, colpisce, ma Fortunato vuole uscire dalla dinamica da “storia struggente”. “La disabilità – dice – va raccontata diversamente, attraverso una quotidianità, una progettualità, una visione di futuro”.
E così tra comitato e associazione alternano un lavoro politico che sostiene i diritti di tutti e mette in gioco una serie di conoscenze, specialisti, prestazioni che forniscono un aiuto concreto a centinaia di famiglie, soprattutto a Milano e dintorni, ma non si danno confini.
Questa la sintesi di una fitta conversazione online con Fortunato. Due ore, interrotte per precedenti impegni. Due ore in cui, dandomi rigorosamente del lei, risponde ad ogni domanda, con la gioia di essere ascoltato, col bisogno di raggiungere nuove orecchie.
Verso la fine gli domando se si sono chiesti come sarebbe andata se fossero rimasti a Napoli: “Sarebbe stata ancora più dura” mi risponde a malincuore.
Per approfondire o cercare il libro basta andare al link https://www.nessuno-escluso.it/ o sulla pagina Facebook.
Come chiudevano ogni post e come si chiude il libro di Fortunato Nicoletti: “Noi non molliamo, to be continued.”