Oggi leader economico in Africa in termini di PIL, la Nigeria è anche lo Stato più popoloso del continente. La sua indipendenza è contemporanea a quella delle ex colonie francesi e dell’ex Congo belga. La sua storia è stata segnata da episodi di violenza politica, da un’alternanza tra regimi civili e militari, sullo sfondo dello sviluppo di un’economia petrolifera e di un forte aumento delle diseguaglianze sociali e territoriali.
Pressenza ha intervistato Amzat Boukari-Yabara, dottore in storia dell’EHESS (École des hautes études en sciences sociales) e attivista panafricanista, per fare il punto su questa evoluzione. Qui ci spiega il ruolo geopolitico del Paese.
La Nigeria è candidata a un seggio permanente nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Qual è il suo peso geopolitico nel continente e nel mondo?
La Nigeria è una delle potenze diplomatiche dell’Africa, insieme al Sudafrica, all’Algeria, all’Egitto e all’Etiopia, che sono i suoi principali rivali nella corsa a un seggio africano permanente nel Consiglio di sicurezza dell’ONU. La Nigeria è membro fondatore dell’Organizzazione dell’Unità Africana, della Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (CEDEAO) e di alcune strutture continentali e regionali, nonché membro di organizzazioni geostrategiche internazionali.
Oltre al classico campo delle relazioni internazionali bilaterali e multilaterali, la diplomazia nigeriana può contare attivamente su diverse leve. Abuja può aprire la diplomazia religiosa sia con il Vaticano, dove il cardinale nigeriano Francis Arinze è stato a lungo presentato come il primo possibile papa africano, sia con la Mecca nell’ambito dell’Organizzazione per la cooperazione islamica (OCI). Il Paese ha legami diplomatici culturali con l’enorme diaspora afro-brasiliana, che fa parte del culto degli orishas del Benin e della Nigeria. La diplomazia sportiva, musicale, scientifica, artistica e culturale viene utilizzata anche per interessi economici, politici e geostrategici.
Invitata alle riunioni del G20 e ai grandi eventi economici per motivi commerciali e politici, la Nigeria può anche contare su una diplomazia petrolifera, essendo membro dell’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (OPEC), e la carica di Ministro del petrolio nigeriano è molto ambita. Anche la carica di ministro delle finanze è molto ambita perché può servire da trampolino di lancio per una posizione di rilievo presso la Banca mondiale, il Fondo Monetario Internazionale (FMI) o l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC). In questo modo, molti dirigenti nigeriani ricoprono posizioni di alto livello in istituzioni internazionali o nei consigli di amministrazione di società multinazionali. L’egemonia nigeriana non piace a molti Paesi africani e questo si vede nel rifiuto di sostenere la candidatura dell’ex ministro delle Finanze Ngozi Okonjo-Iweala alla guida dell’OMC. La Nigeria è contestata nella stessa Africa, a volte da paesi che sono al servizio di potenze non africane che ne vogliono limitare l’influenza, come lo è la Francia in prima linea attraverso i paesi francofoni.
Sul fronte militare, anche se il Paese oggi sta affrontando l’insurrezione di Boko Haram, ha condotto delle missioni importanti e controverse in Liberia e Sierra Leone, soprattutto nel quadro di un intervento di intercessione e di cessate il fuoco, l’ECOMOG. La Nigeria forma ufficiali di alto livello che vengono spesso utilizzati per le loro competenze in diverse zone di conflitto. Il Paese è strategico anche per l’industria della sicurezza, degli armamenti e dell’energia per la presenza di grandi consorzi stranieri e per la necessità di combattere la pirateria nel Golfo di Guinea. Lagos, la seconda città più grande del continente, e Abuja, la capitale federale, – e, in misura minore, Port Harcourt e Kano – sono città che ospitano anche forum continentali o internazionali, con solide infrastrutture, comprese quelle aeroportuali e delle telecomunicazioni.
Sul fronte politico, il Paese fornisce mediazione, come quella condotta dall’ex presidente Jonathan in Mali, e cerca di promuovere il suo modello democratico di alternanza e di condivisione del potere, al fine di ispirare leadership e soft power. Tuttavia, la Nigeria manca di una visione politica veramente panafricana e di un’impostazione pro-africana negli affari internazionali per poterne assumere la leadership. Il Paese negozia direttamente con le grandi potenze – Stati Uniti e Cina – nonché con le potenze asiatiche emergenti. A volte fatica ad assumere il ruolo di locomotiva politica del continente africano in quanto, a differenza del Sudafrica, è riluttante verso investimenti pieni nell’Unione Africana e preferisce concentrarsi sulla CEDEAO. In realtà, la Nigeria ha probabilmente più opposizione all’interno del continente africano stesso piuttosto che fuori, il che purtroppo non è sorprendente.
A volte viene criticata per una certa arroganza, ma è soprattutto la sua egemonia basata sul peso demografico a preoccupare alcuni attori africani.
Al centro dell’asse strategico che collega l’Algeria al Sudafrica, la Nigeria mostra una certa ambizione nazionalista e panafricanista, almeno a parole. Tuttavia, le sue relazioni con Algeri, basate in particolare sul petrolio e sulla vicinanza ideologica, sono soggette alla pressione del Marocco, che vuole entrare a far parte della CEDEAO ed emarginare l’Algeria dal quadro della diplomazia economica, commerciale e di sicurezza. I presidenti Bouteflika e Obasanjo si sono entrambi impegnati, al momento della fondazione dell’Unione africana nel 2002, nel portare avanti il progetto della Nuova associazione per lo sviluppo dell’Africa (NEPAD), supportato anche dal presidente sudafricano Thabo Mbeki e dal presidente senegalese Abdoulaye Wade. Avevano anche realizzato un riavvicinamento strategico nell’ambito del progetto di un gasdotto transahariano che doveva collegare il Delta del Niger all’Algeria attraverso il Niger, prima di dividersi per rifornire Spagna e Italia.
Oltre alle offensive del Marocco per la costruzione di un gasdotto alternativo lungo la costa occidentale dell’Africa, l’insicurezza causata da Boko Haram nella regione del Sahel e del Sahara ha bloccato il progetto. Algeri e Abuja hanno molti scambi sulla questione della sicurezza, ma non stanno creando un vero e proprio partenariato strategico, anche se hanno i mezzi per farlo. Algeri è molto preoccupata per la spinta diplomatica marocchina sulla Nigeria, con la visita del re Mohammed VI ad Abuja nel dicembre 2016 e il ritorno di Rabat nell’Unione Africana nel gennaio 2017, e le conseguenze che comportano un possibile ritiro del sostegno nigeriano alla Repubblica Democratica Araba dei Sahrawi (RADS).
D’altra parte, la Nigeria è stata un attore chiave nella lotta contro il regime sudafricano dell’apartheid. Tuttavia, il ritorno del Sudafrica nella diplomazia continentale, e soprattutto le lezioni impartite da Nelson Mandela alla giunta del generale Abacha, possono aver offeso l’ego nigeriano. A cavallo degli anni 2000, Obasanjo e Mbeki hanno rafforzato le relazioni economiche e diplomatiche tra i loro Paesi: è stato aperto un asse commerciale, per una maggiore integrazione continentale. Tuttavia, gli atti di violenza contro i cittadini nigeriani in Sudafrica offuscano regolarmente i buoni rapporti tra i due governi, mostrando al contempo la strada che deve ancora essere intrapresa per vedere l’emergere di una vera coscienza panafricana.
Boko Haram
Negli ultimi dieci anni circa, il paese è stato regolarmente al centro delle notizie per le efferatezze del gruppo jihadista Boko Haram. Come si spiega questa situazione?
La rivolta di Boko Haram che ha devastato la Nigeria nord-orientale e le zone di confine tra Niger, Ciad e Camerun negli ultimi dieci anni è un caso particolare. Tuttavia, nella storia della Nigeria, non è un caso senza precedenti. Il Paese aveva sperimentato in passato dei moti di insurrezione. La Nigeria è sopravvissuta alla terribile guerra del Biafra, è sopravvissuta ai massacri, prevalentemente interni ai gruppi musulmani, dei primi anni Ottanta con i fedeli di Maitatsine nelle regioni di Kano e Maiduguri. Ha poi vissuto periodi di forte xenofobia, in particolare nei confronti dei lavoratori ghanesi espulsi.
La Nigeria è sempre stata una polveriera, con una mescolanza di povertà, violenza e religione. Quando i civili sono tornati al potere, dal 2000 hanno introdotto il principio della Sharia nei dodici stati del nord, che ha permesso di adattare la giustizia ai costumi del popolo. È importante ricordare che la Sharia è un codice giuridico e religioso che fa parte della storia regionale e della logica delle teocrazie del XIX secolo, una logica che è stata sostenuta dalle popolazioni. Non è una minaccia o una battuta d’arresto per i diritti e le libertà pubbliche, perché la Sharia non si stabilisce in uno spazio in cui l’autorità dello Stato è scomparsa. La Nigeria non è uno “Stato fallito” che darebbe il potere a una potenza islamista. Il contesto politico-religioso e di sicurezza non è quindi quello del Mali o della Somalia.
Ciò che rende speciale il caso di Boko Haram sono le circostanze della sua nascita e il modo in cui si inserisce nella geopolitica del jihadismo. Il movimento si estende in una rete di scuole e moschee di lingua e cultura Kanuri, nel nord-est della Nigeria, lungo i confini con Niger, Ciad e Camerun. Inizialmente considerata una setta, Boko Haram è stata creata nel 2002 da un giovane predicatore, Mohamed Yusuf, allora trentenne. Figura carismatica, con una ricchezza finanziaria data dalla posizione di imam della moschea di un’importante personalità nigeriana, legata all’Arabia Saudita, Yusuf è di origine wahhabita. Tuttavia, non va più d’accordo con i suoi maestri, che gli rivendicano una sua mancanza di legittimità dovuta al fatto che non ha studiato all’Università islamica di Medina. Yusuf decide di emanciparsi e di dare il via alla propria linea ideologica. Per segnare la sua rottura, egli combatte per la prima volta contro i musulmani ritenuti corrotti o collegati al sistema.
Boko Haram non appare inizialmente in una logica di “scontro di civiltà”, che contrappone banalmente i musulmani ai cristiani o anche il nord al sud, ma in una logica di giustizia sociale. D’altra parte, il discorso si è rapidamente radicalizzato intorno all’idea che “l’educazione occidentale è peccato” e ha riunito un gran numero di giovani, spesso inattivi e non scolarizzati, ma anche una piccola élite locale. Da Maiduguri in poi, Yusuf è cresciuto di importanza e ha chiesto la creazione di uno Stato islamico nella Nigeria settentrionale per far rispettare la Sharia. In altre parole, per Yusuf, la Sharia già applicata nei dodici stati settentrionali dal 2000 non corrisponde alla sua definizione di Sharia. Arriva a spingersi oltre, minacciando di rovesciare il governo centrale e lo Stato federale nigeriano per instaurare un regime islamico in tutto il Paese. Il conflitto scoppia nel 2009, quando il già consolidato movimento viene decapitato in seguito all’assassinio di Yusuf da parte della polizia nigeriana.
In effetti, il suo successore non vanta lo stesso bagaglio intellettuale e sembra molto più facile da manipolare per le agende esogene. Illuminato, Abubakar Shekau fa prediche incomprensibili che producono spaccature interne a Boko Haram. Nel 2013 decide di passare a un’altra fase, attaccando le popolazioni civili che collaboravano con le autorità nell’intelligence. È l’inizio di un’escalation, che vede l’esercito commettere atrocità di rappresaglia sulle popolazioni e massicci arresti preventivi di persone che, una volta rilasciate, a volte si uniscono ai ranghi degli insorti per desiderio di vendetta. Boko Haram pratica la politica della terra bruciata e scatena una vera e propria crisi umanitaria e di sicurezza intorno al bacino del lago Ciad.
Nell’aprile 2014, Boko Haram infligge un duro colpo rapendo 276 ragazze delle scuole superiori di Chibok e trasmettendo un video agghiacciante, che mostra il gruppo intento a utilizzare strategie di comunicazione specifiche di altri gruppi jihadisti che operano in Africa e in Medio Oriente. Il mese successivo, Boko Haram viene stata inserita dagli Stati Uniti nell’elenco delle organizzazioni terroristiche, e la campagna internazionale per chiedere il rilascio delle Chibok Girls costringe il governo di Goodluck Jonathan ad accettare la costituzione di varie coalizioni africane e internazionali, che da allora si sono tutte dimostrate impotenti e inefficaci.
Nel marzo 2015, Boko Haram diventa una macchina da guerra, arrivando allo status di Stato islamico dell’Africa occidentale. Questa fedeltà è spesso interpretata come il canto del cigno da parte di un leader come Shekau, annunciato morto in diverse occasioni, e che cerca di salvarsi attraverso uomini, armi e risorse. Infatti, dalla sua roccaforte nella foresta di Sambisa, Boko Haram ha armi moderne e mezzi potenti che sfidano tutti gli osservatori sul supporto. Chi sostiene Boko Haram? Politici del nord della Nigeria, agenti della Francia o delle potenze del Golfo? Il web è pieno di voci a riguardo.
Nel frattempo, i ripetuti attacchi della setta non impediscono le elezioni presidenziali dell’aprile 2015, vinte poi dall’ex generale Mohammadu Buhari, impegnato a rafforzare la lotta contro Boko Haram. Tuttavia, come in ogni guerra asimmetrica, l’esercito nigeriano non riesce a combinare intelligence, anticipazione e sradicamento dell’epidemia di Boko Haram.
Infine, da una decina di anni, l’insurrezione di Boko Haram ha anche sconvolto l’economia e il settore agricolo in diversi stati del nord, mentre nel sud i gruppi ribelli indipendentisti continuano a sabotare gli impianti petroliferi nello stato del Delta. Oltre a un problema legato ai rifugiati e agli sfollati, i due pilastri economici del Paese sono dunque minacciati e la sua storia lo obbliga a destinare gran parte del suo reddito al settore militare e della sicurezza.
Traduzione dal francese di Chiara De Mauro. Revisione: Raffaella Forzati
Vedi serie completa:
Sessant’anni fa l’indipendenza di un gigante africano, la Nigeria – Parte I
Sessant’anni fa l’indipendenza di un gigante africano, la Nigeria – Parte II
Sessant’anni fa l’indipendenza di un gigante africano, la Nigeria – Parte III
Sessant’anni fa l’indipendenza di un gigante africano, la Nigeria – Parte IV