Domani, 4 novembre 2020, si terrà presso il Tribunale di Ragusa, l’udienza preliminare a carico di Marc Reig Creus e Ana Isabel Montes Mier, Comandante e Capo Missione della Open Arms, accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e violenza privata.
I fatti risalgono al 15 marzo del 2018, quando il nostro rimorchiatore, l’Open Arms, su esplicita richiesta delle autorità italiane, intervenne in soccorso di 218 persone che, dopo l’evacuazione urgente di una donna e di un neonato, vennero fatte sbarcare in seguito nel porto di Pozzallo.
Ricapitoliamo la vicenda: il 15 marzo 2018 la nostra nave ammiraglia, la Open Arms, viene contattata dalle autorità italiane che le segnalano un’imbarcazione in difficoltà e le chiedono di recarsi sul posto per valutare la situazione. Da quel momento tutte le fasi del soccorso vengono gestite dalla Open Arms “dietro costante interlocuzione con le autorità italiane). Dopo aver dunque tratto in salvo le 218 persone in difficoltà in acque internazionali, la Open Arms rimane in attesa di istruzioni da parte del centro di coordinamento italiano.
Nel frattempo viene richiesta e ottenuta dalle autorità maltesi l’evacuazione medica di una donna e della figlia neonata, mentre rimaniamo sempre in attesa dell’indicazione di un POS. Durante un secondo intervento, anch’esso sollecitato dalle autorità italiane, arriva la sorprendente indicazione da parte di queste ultime di fermare le operazioni e di permettere alla sedicente Guardia Costiera libica di terminare il soccorso in quanto, così ci viene comunicato, ha assunto il coordinamento dell’operazione SAR (è la prima volta che la sedicente Guardia Costiera libica viene formalmente indicata come referente di un soccorso).
La Open Arms rifiuta di farlo, spiegando che la Libia non può essere ritenuta un porto sicuro, come dimostrano le gravi violazioni dei diritti umani che avvengono nei suoi centri di detenzione. “Allo stato degli atti manca la prova della sussistenza di un place of safety in territorio libico in grado di accogliere i migranti soccorsi in acque SAR di competenza, nel rispetto dei diritti fondamentali”. (Ordinanza del 16 aprile del 2018). La Convenzione Sar, siglata ad Amburgo nel 1979, stabilisce d’altro canto “come le operazioni SAR di soccorso non si esauriscono nel mero recupero dei migranti, ma devono completarsi e concludersi con lo sbarco in un luogo sicuro”.
Per questo, in quell’occasione, chiediamo nuovamente alle autorità italiane che ci venga assegnato un porto di sbarco sicuro in Italia o in altro Stato, come previsto dalle linee guida IMO, che sanciscono “l’obbligo da parte dello stato cui appartiene MRCC che ha ricevuto per primo notizia dell’evento e dunque ha assunto il coordinamento delle operazioni di soccorso, di individuare sul suo territorio un luogo sicuro ove sbarcare le persone soccorse, qualora non vi sia la possibilità di raggiungere un accordo con uno Stato il cui territorio fosse eventualmente più prossimo alla zona dell’evento”.
Dopo ore di attesa e dopo non aver ricevuto alcuna indicazione su un possibile sbarco in un porto maltese, finalmente l’Italia comunica alla Open Arms di dirigersi verso il porto di Pozzallo. Dopo una prima inchiesta aperta dalla Procura distrettuale di Catania, venivano contestati dalla Procura di Ragusa, ritenuta competente per territorio, i reati di violenza privata e associazione per delinquere finalizzata all’immigrazione clandestina. Il GIP presso il Tribunale di Catania decideva di non ravvisare elementi idonei a fondare l’esistenza di quel legame associativo, ma stabiliva tuttavia che “non poteva essere consentito alle ONG di creare autonomi corridoi umanitari al di fuori del controllo statuale e internazionale, forieri di situazioni critiche all’interno dei singoli paesi sotto il profilo dell’ordine e della sicurezza”.
Veniva dunque contestato al comandante e alla capo missione il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e di violenza privata per aver disatteso le indicazioni delle autorità italiane, che dopo aver richiesto l’intervento della Open Arms, pretendevano la cessazione delle operazioni per consentire l’intervento della sedicente guardia costiera libica e per non aver richiesto l’indicazione di un POS a Malta, proseguendo la navigazione verso il porto di Pozzallo.
C’è da precisare che nel marzo del 2018, epoca a cui si riferiscono i fatti, il contesto geopolitico era molto differente da quello attuale. Fino a quel momento, tutte le navi umanitarie delle ONG avevano sempre operato in coordinamento con la Guardia Costiera italiana, che aveva sempre provveduto non solo a segnalare eventuali imbarcazioni in difficoltà, ma anche a indicare un place of safety (POS) nel quale poter far sbarcare le persone soccorse. Fu quella la prima occasione in cui questo coordinamento venne messo in discussione e fu anche la prima volta in cui ci fu comunicata l’esistenza di una cosiddetta Guardia Costiera libica, divenuta da quel momento referente attivo nel coordinamento del soccorso in mare.
Quella missione aprì dunque la strada a una serie di anomalie e violazioni delle Convenzioni internazionali e del Diritto del Mare, che negli ultimi tre anni hanno ostacolato e bloccato l’operatività delle navi umanitarie. Le stesse, però, hanno cercato nonostante tutto di continuare a difendere i diritti umani e la vita in mare.
Ribadiamo di aver agito in quell’occasione, come in tutte quelle precedenti e successive, nel rispetto delle principali Convenzioni internazionali che regolano il soccorso in mare (SAR, SOLAS, Linee Guida IMO) e che imponevano in quel caso, sin dai primi soccorsi, alle autorità italiane di assegnare un porto sicuro alla Open Arms, avendo assunto il coordinamento dell’evento SAR e indicato persino la posizione dell’imbarcazione con i naufraghi.
Ci auguriamo dunque che questa udienza preliminare sia un’ulteriore occasione per ribadire le nostre ragioni e per riaffermare l’insindacabilità del diritto e della legge, nonché l’inviolabilità della nostra Costituzione democratica fondata sul rispetto dei diritti e della vita.