In una lunga intervista rilasciata lo scorso 16 novembre al think tank Le Grand Continent e ripresa da diverse testate italiane Emmanuel Macron articola la sua dottrina “europeista”.
Le virgolette sono d’obbligo perché passando al setaccio le affermazioni, analisi e visioni che il presidente francese mette in fila, una su tutte risulta essere quella realmente trainante ossia il lancio di un “Paris consensus” da contrapporre al vecchio e superato, secondo Macron, “Washington consensus” basato notoriamente sulle ricette di stabilizzazione macroeconomica, liberalizzazione (dei commerci, degli investimenti e dei mercati finanziari), privatizzazione e deregolamentazione. Ci si aspetterebbe finalmente una messa in discussione radicale dei trattati di Maastricht e Lisbona come pilastri costituenti della Ue, una redistribuzione della ricchezza (Spagna e Belgio hanno recentemente introdotto una patrimoniale), una ripubblicizzazione dei settori strategici, una seria battaglia ai paradisi fiscali e al dumping fiscale intra-europeo, una revisione della matrice neocolonialista… Niente di tutto ciò o quanto meno qualcosa che si avvicini ad una “dottrina”: secondo Macron alla crisi “Non vi si risponde attraverso la tassazione, vi si risponde costruendo in modo diverso i percorsi di vita (…) attraverso un diverso funzionamento dei movimenti finanziari ed economici, cioè integrando nel cuore della matrice l’obiettivo del clima, l’obiettivo dell’inclusione e degli elementi di stabilità del sistema”. Ma mentre rimane estremamente generico e vago nel delineare la sua idea “alternativa” di Europa e di come mettere la museruola al grande capitale, con la repressione furibonda dei movimenti sociali di casa propria è stato molto chiaro nel dimostrare la sua idea di “inclusione” e “stabilità”.
Sul versante degli assetti geopolitici ed internazionali il presidente francese rispolvera il cavallo di battaglia della difesa europea che viene posto, di fatto, come unico perno “unitario” da contrapporre ad una palese divergenza di interessi con gli Stati uniti: “ci eravamo dimenticati di pensare, perché pensavamo le nostre relazioni geopolitiche attraverso la Nato (…) siamo proiettati in un altro immaginario, legato all’Africa, al Vicino e Medio Oriente, e abbiamo un’altra geografia, che può disallineare i nostri interessi. È quindi insostenibile che la nostra politica internazionale dipenda da loro o che segua le loro orme (…) Meno di dieci anni fa” – chiarisce Macron – “varie aziende francesi sono state penalizzate per diversi miliardi di euro perché avevano operato in paesi vietati dal diritto statunitense: è una privazione della sovranità…”.
Anche in questo caso più che di “immaginario”, “politica di vicinato” e “valori comuni” è la politica del governo francese a definire concretamente i termini della questione: con la sua Legge di programmazione militare da 295 miliardi di euro in cinque anni (sommergibili nucleari, fregate, droni, satelliti, aerei ed elicotteri) Parigi intende consolidare la presenza militare in Africa dalla Costa Atlantica fino all’Oceano Indiano, dal Senegal a Gibuti, passando per il Sahel e quindi ricongiungersi con altre basi e avamposti già presenti nei due oceani. Questa visione strategica espansionista e molto ambiziosa richiede un concorso negli “oneri per la sicurezza” da parte degli alleati europei.
Mentre la crescente capacità di proiezione globale (“condivisa” come piattaforma con gli alleati, tra cui l’Italia) offre all’industria bellica francese prospettive senza fine, il governo francese persegue l’intenzione di dirigere lo scomposto neocolonialismo europeo con il ruolo di capofila militare-industriale e nucleare. Per il momento, sempre all’ombra della Nato.
Secondo Macron la stessa Africa deve diventare un pilastro della “sovranità europea” naturalmente “riuscendo a dimostrare che l’universalismo che proponiamo non è un universalismo di dominio ma di amicizia e partenariato…” e a patto che si mantenga la fermezza rispetto “ad un uso profondamente indebito del diritto d’asilo, che perturba tutto il resto”…
Nella visione della grandeur francese, vestita d’Europa, il Mediterraneo deve rimanere il cimitero che è diventato.