In questo articolo, ben sapendo che il dramma è complessivo ed investe l’intera società, si prendono in considerazione soltanto quelle categorie che sono state colpite dalla crisi epidemiologica che, sul piano meramente economico – dal punto di vista della struttura produttiva del nostro sistema paese -, sono classificate fra i segmenti imprenditoriali (artigianato, commercio e lavoro autonomo) caduti in sofferenza reddituale, avendo perso la loro unica fonte strumentale di sussistenza (attività aziendale) con il conseguente abbattimento del budget familiare che, in moltissimi casi, è caduto fino ai limiti della soglia di povertà.
Gli effetti della pandemia sull’economia sono già gravissimi e potrebbero essere ancora più devastanti nel prossimo futuro se la situazione sanitaria non dovesse migliorare.
Noi tuttavia continuiamo a sostenere che il problema più grave non è la perdita di ricchezza in termini assoluti, quanto piuttosto il fatto che questa colpisce in particolare alcune categorie (famiglie, lavoratori soprattutto autonomi e PMI) piuttosto che altre, determinando una diseguale distribuzione delle perdite e la possibilità di un accentuarsi delle differenze sociali, con la creazione di nuove sacche di povertà.
La situazione è particolarmente grave e difficile proprio nel nostro paese dove, almeno a detta di politici, economisti “accademici” e istituzioni europee, il nostro enorme debito pubblico impedirebbe un massiccio intervento di sostegno da parte dello Stato. Cosa che è effettivamente avvenuta. Basti guardare le recenti statistiche che ci dicono che le famiglie italiane hanno subito un impoverimento nettamente superiore a quelle francesi e tedesche, dove i contributi a fondo perduto sono stati di ben altra entità.
E senza neppure considerare la situazione canadese dove lo Stato ha elargito alle famiglie circa 1500 euro per sette mesi, creando addirittura un incremento della ricchezza media.
Va dato atto al presidente del parlamento europeo, Davide Sassoli, di avere avuto il coraggio di infrangere un tabù proponendo la cancellazione del debito europeo, contratto per fare fronte alla pandemia. La signora Lagarde, presidente della BCE, se ne è lavata le mani dicendo semplicemente che i trattati europei glielo impediscono. Il ministro Gualtieri è stato invece semplicemente vergognoso, ribadendo il ritornello che il debito si cancella con la crescita, di fatto condannando milioni di italiani alla povertà, senza neppure porsi almeno il problema di come ridistribuire le perdite a favore di chi in questo momento ne ha più bisogno.
Ribadiamo che non c’è altra soluzione se non un massiccio intervento da parte dello Stato con sostegni finanziari adeguati alle perdite, immediati e a fondo perduto. Qualcosa, per intenderci, di molto diverso dagli attuali piani progettati dalla UE, Recovery Fund innanzitutto, che invece di intervenire sull’emergenza, continuano a progettare (e immaginare) “fantasmagorici” piani (economia green, digitalizzazione ecc.) tutti proiettati verso una ripresa negli anni a venire, che appare tutt’altro che scontata, soprattutto se non si fa qualcosa subito. Insomma mettere liquidità nelle tasche di chi è in difficoltà dovrebbe essere il primo imperativo, senza limitarsi agli “interventini” messi in atto fino ad ora, soprattutto nel nostro paese.
A questo proposito, l’uso ricattatorio dello spettro del debito pubblico non è una semplice questione economica, ma una precisa scelta politica. Non c’è alcuno impedimento “oggettivo” ad ipotizzare un qualche possibile intervento sul debito provocato dagli interventi d’emergenza.
Lo strumento della sanatoria, proposto da Sassoli, avrebbe bisogno di alcune precisazioni,ma ha comunque il merito di aprire un dibattito sugli strumenti di politica economica, che nella logica dei trattati europei e nel funzionamento concreto dei mercati finanziari, da come scontati ed immodificabili i meccanismi della economia del debito, che sono invece il prodotto di precise scelte neoliberiste che hanno ridotto lo spazio comune dell’Europa a semplice luogo di competizione capitalista e di accumulazione della ricchezza a danno di lavoratori e moltitudini, di cui vengono sempre di più negati i fondamentali diritti sociali (reddito, salute, istruzione ecc.).
A questo proposito va detto che, accanto a forme di sanatoria del debito pregresso, si possono pensare interventi simili ed equivalenti, che possiamo definire di “monetizzazione delle spese”.
Nell’immediatezza dell’attuale crisi, e giusto per capirci facendo un esempio di soluzione “tecnica”, basterebbe che la BCE fosse autorizzata, in deroga ai trattati, ad acquistare sul mercato primario titoli di stato di tutti i paesi della UE (tutti senza eccezione), senza scadenza e a interessi zero, per importi rigorosamente prestabiliti, pari, o comunque in proporzione, alla perdita del PIL, con un vincolo di utilizzo legato al far fronte alle reali perdite economiche.
In buona sostanza si tratterebbe di un intervento che permetterebbe di produrre liquidità senza fare debito, che oltretutto finirebbe pure col favorire ulteriori e successivi piani di ripresa (Recovery Fund o quant’altro), e che non creerebbe alcuna interferenza con le attuali politiche di acquisti di titoli da parte della BCE.
Quali potrebbero essere le possibili controindicazioni? Qualcuno afferma che gli Stati non possono usare le banche centrali come bancomat. In linea generale pensiamo che, pur essendo necessaria una regolamentazione dei rapporti tra governo ed istituto centrale, è giusto mettere in questione quale debba essere il ruolo delle banche centrali, ed in sostanza se esse debbano rispondere alle esigenze della speculazione finanziaria o ai bisogni della gente. In ogni caso l’obiezione è del tutto fuori luogo visto che la proposta che formuliamo qui è al momento chiaramente pensata come risposta immediata alla attuale emergenza.
Resta poi lo spettro dell’inflazione che ormai viene agitato come un vero e proprio ricatto. Precisiamo allora, che a fronte di un limite, imposto alla BCE dai trattati europei, di mantenere l’inflazione vicina ma non oltre il 3%, l’attuale previsione per il 2020 è dello 0,3%, e per una eventuale ripresa al 2022 solo dello 1,3%. Come si vede, al momento il vero spettro è quello della deflazione.
In ogni caso una (molto improbabile) inflazione anche di poco superiore al 3%, non farebbe altro che erodere (di non molto) il potere d’acquisto di chi oggi non ha subito, o ha subito molto poco, gli effetti della crisi e non toccherebbe certo tutti coloro che sarebbero i beneficiari degli interventi pubblici.
D’altra parte la stessa BCE, pur tra le strettoie dei trattati europei, sta intervenendo massicciamente sui mercati attraversol’acquisto di titoli e obbligazioni, fino alla cifra prevista entro marzo 2021 di 1350 miliardi. A beneficiarne sono soprattutto paesi come l’Italia, con il 21,6% degli acquisti totali, e addirittura il 29,6 degli acquisti di titoli di Stato, molto più di quanto ci spetterebbe secondo la regola del Capital Key (in pratica intorno al 17%). E con la prospettiva, molto positiva e già decisa, di un riacquisto dei titoli in scadenza.
Queste misure tuttavia non sono decisive poiché non intervengono sul dato strutturale del debito, che viene soltanto tenuto sotto controllo, ma che riesploderà quando inevitabilmente la BCE dovrà, prima o dopo, sospendere le attuali misure straordinarie.
Perché non intervenire allora con misure più strategiche e decisive, come quella da noi proposta di una monetizzazione anche parziale delle perdite, che è oltretutto più chiara e più semplice, ed ha anche il pregio della universalità, essendo a vantaggio di tutti, e senza dare quindi l’impressione che si voglia aiutare i paesi mediterranei più indebitati?
Io una risposta ce l’avrei: mai sentito parlare della macchina di dominio della finanza mondiale? Un dato è comunque certo: Il meccanismo del ricatto del debito deve sopravvivere a qualunque costo all’epoca del covid.
Un’ultima precisazione: Da più parti viene proposta una tassa sui grandi patrimoni superiori, per esempio, al milione di euro. Si tratta di una idea condivisibile innanzitutto sul piano etico e politico e che non interferisce su quanto si sostiene in questo articolo, anche in considerazione del fatto che è stato calcolato che porterebbe nelle casse dello Stato circa 10 miliardi, il che ne fa, accanto alle altre forme di produzione di moneta non a debito, una proposta di sicuro di valore “strategico” e con un alto impatto simbolico, ma che da sola non può essere considerata risolutiva.
Antonio Minaldi