Nel noto saggio del 1929, Il disagio della civiltà, uno scritto che percorre in breve la sua teoria, Sigmund Freud ci racconta come noi esseri umani siamo diventati civili assoggettandoci alle Leggi ossia “barattando la nostra libertà per un po’ di sicurezza”. Una perfetta analisi del passaggio dallo stato di natura in cui vige la legge del più forte allo stato civile dove le persone dovrebbero essere protette.
Tutti noi consideriamo ciò un ottimo scambio: la civiltà ci mette al riparo dai pericoli naturali con interventi sul territorio quando imperversano uragani, tempeste, incendi; ci protegge da furti e rapine con il supporto delle Forze dell’Ordine; fino a curare le malattie con gli ospedali. Le regole di convivenza, secondo Freud, creano un disagio che si trasforma in nevrosi a causa della pressione della legge interiore (il Super Io) e di quella dello Stato. In questo modo la nostra felicità viene duramente compromessa, non siamo liberi e questo è un problema. Viceversa, prima di Freud, nel ‘700, Jean. J. Rousseau raccontava di un modello di educazione per i bambini da riportare allo stato di natura; il suo Emile, emblema dell’alunno da educare, deve vivere a contatto della natura e lontano da ogni forma di civilizzazione per imparare a compiere le proprie esperienze in autonomia e ad apprendere solo quando ne avverta il bisogno. Ciò che salta all’occhio, al di là della bontà della sua pedagogia, è l’importanza della scelta individuale e libera da insegnare a quei bambini tenuti lontani dalle regole stringenti della civiltà.
In definitiva, è meglio lo stato di natura controllato da un adulto, o la civiltà regolamentata come la conosciamo? Quale delle due situazioni è più fertile non solo per la crescita, ma anche per la nostra vita adulta? Siamo sicuri che la vita associata sia ancora la strada migliore?
La pandemia ci sta insegnando che la vita associata è fonte di contagio mentre vivere più distanziati potrebbe essere la nostra salvezza; chi può vivere in campagna, ad esempio, è fortunato per la condizione ottimale in cui la sua esistenza prosegue senza restrizioni. Freud ci ha fatto notare come la civiltà in cambio dei suoi benefici soccorsi sia fonte di malessere, di nevrosi dovuta alla repressione pulsionale. Se è vero che la vita associata ci permette di accendere la luce solo premendo un pulsante e di fare una doccia calda con l’unica fatica di azionare un rubinetto, è anche innegabile che attualmente ancor più ci limita nella nostra libertà. Il covid, paradossalmente, rende migliore la giornata di un piccolo coltivatore che guadagna pochi soldi rispetto a quella di un commerciante costretto al rischio di contagio dovuto alla moltitudine di persone con cui è costretto a relazionarsi quotidianamente. Quanta ansia accumula il povero cittadino costretto a fare i conti con il distanziamento!
Fuori da ogni bizzarra interpretazione del virus, inoltre non è mio oggetto di studio e farei solo ipotesi bislacche e non scientifiche, questo maledetto esserino patogeno ci può far riflettere e magari decidere di non cementificare ulteriormente le nostri grandi città: appena si libera un buco viene subito riempito da mattoni e finestre per la golosità del guadagno. Quante centinaia di migliaia di euro costa un appartamento a Milano? Quanto ci si può mettere in tasca vendendolo? Il virus, nella sua inconsapevole saggezza, ci insegna: “Fuggi dalla massa e vai a vivere nelle aree a bassa densità demografica”. Chissà non sia questa la vera cura. Tornare allo stato di natura, e non alla legge della giungla dove chi è più debole soccombe senza pietà, con intelligenza e rispetto per l’ambiente sarebbe un importante passo verso la salvezza con buona pace di Freud.