“La trappola di internet” è un saggio molto approfondito che prende in esame le multinazionali digitali, la nuova economia dell’attenzione delimitata e il grande mondo del giornalismo americano (Matthew Hindman, Einaudi, 2019, 237 pagine, euro 22, https://twitter.com/matthindman).
Oggi l’universo digitale è molto maturo e la forza del denaro compra l’attenzione limitata delle persone. Il libro di Hindman dimostra “come viene acquistato e venduto il pubblico” (p. 8). Alla nascita del Web non esistevano mega siti e oligopoli, ma nel 2016 “Google e Facebook insieme riunivano oltre il 73 per cento della pubblicità digitale negli Stati Uniti, un duopolio notevole su un settore da 60 miliardi di dollari”. Naturalmente per fare questo bisogna investire cifre da capogiro per attirare l’attenzione e trattenere il più a lungo possibile gli internauti. La velocità di accesso ai servizi è basilare e i nuovi algoritmi sono le formule segrete dell’eterna giovinezza commerciale.
L’asimmetria di Internet si realizza nel fatto che “le forze che disperdono l’attenzione digitale” sono facili da identificare, ma “quelle che la concentrano no” (p. 8). Il segreto risiede nello scoprire come personalizzare nel modo migliore i contenuti. Per fare questa calibrazione bisogna fare una profonda profilazione psicologica conscia e inconscia (https://www.agoravox.it/La-psicologia-che-ti-difende-dalla.html). Le migliori menti universitarie vengono foraggiate per trovare i modi più rapidi e coinvolgenti per adescare i cervelli dei futuri utenti e dei clienti in cerca di emozioni.
In effetti “i siti di grandi dimensioni si caricano più velocemente, hanno un aspetto e un’usabilità migliori, un numero maggiore di contenuti aggiornati più di frequente, si posizionano più in alto nei risultati di ricerca, hanno marchi riconoscibili e i visitatori sono più abituati a navigarci: sono piattaforme più efficienti per la pubblicità” (p. 11). Per avere successo servono tante risorse: “denaro, personale, dati, potenza di calcolo, proprietà intellettuale, un pubblico”. Per avere un grande successo digitale bisogna saper cavalcare e manipolare le grandi trasformazioni della mente adolescenziale (https://www.agoravox.it/Jean-Twenge-lo-smartphone-e-i.html).
La sopravvivenza degli ecosistemi con l’informazione libera per tutti, è fondamentale in ogni democrazia e in ogni società sana. Però tutti i siti di successo devono risultare coinvolgenti e “appiccicosi”. Anche se il costo della distribuzione dei contenuti digitali sembrano bassi, “è in realtà il costo totale della creazione di un pubblico digitale nel corso dei mesi e degli anni” a fare la differenza (p. 17). Le persone di talento saranno sempre poche e saranno solo i siti molto famosi e danarosi a potersele permettere. Comunque l’uso di Internet non ha incentivato le persone a ricercare più notizie: la quota “rimane stabile da circa vent’anni al 3 per cento circa” della popolazione” (p. 203; in effetti molte volte mi chiedo per quale motivo perdo il mio tempo per promuovere la conoscenza e la libertà personale e lo sviluppo sociale pubblico e privato).
Bisogna tenere presente che un minimo vantaggio in uno dei tanti fattori, favorisce le entità più grandi e professionali, con più capacità di fare investimenti. Bisogna creare cose nuove per attirare sempre nuova attenzione. In effetti “i siti di grandi dimensioni possono dominare persino se siti di minori dimensioni producono contenuti migliori che corrispondono perfettamente alle preferenze degli utenti” (p. 12). Altre volte le grandi multinazionali decidono di cambiare le regole del gioco per favorire i loro interessi pubblicitari (e politici). Nel 2018 “LittleThings, un sito dedicato alla condivisione di buone notizie sui social media, ha chiuso dopo aver visto il proprio traffico diminuire del 75 per cento in seguito alle modifiche agli algoritmi di Facebook” (p. 185).
Indubbiamente sono nati dei monopoli, dei duopoli, degli oligopoli. Infatti negli Stati Uniti la legge considera un monopolio un’impresa che ha “un potere di mercato significativo e duraturo, cioè la capacità a lungo termine di aumentare il prezzo o di escludere concorrenti” (p. 213). Così “Google, Facebook, Microsoft, Amazon e Apple hanno tutti una quota di mercato ben oltre le soglie stabilite per il potere di mercato nel loro settore principale. Tutte tranne Amazon hanno prodotto margini di profitto superiori al 30 per cento anno dopo anno, un evento impossibile in un mercato competitivo il cui accesso è libero”. Ma chi fa le leggi può essere influenzato in tanti modi, o in un solo modo, vecchio come il mondo, all’epoca del’invenzione della prima forma di moneta.
Per quanto riguarda la ricerca delle informazioni nel Web, molte attuali ricerche sono inficiate da interessi commerciali e censure più o meno accademiche (dirette e indirette). I siti delle aziende che comprano pubblicità vengono fatte apparire tra i primi risultati, mentre gli studi e le riflessioni che contrastano gli interessi accademici (legate ai finanziamenti pubblici o privati), vengono fatte apparire in terza o quarta pagina e vengono poi eliminati col tempo. Inoltre il sostanziale monopolio di Google nei motori di ricerca occidentali sta manipolando miliardi di menti in tutto il mondo (è usato dal 95 per cento degli europei e dal 75 per cento degli americani).
Per Matthew Hindman “l’economia dell’attenzione ha condannato la maggior parte delle nostre speranze civiche per il Web” (p.18). Oggi anche la rete è diventata un’arena dedicata al consumo, agli spettacoli e al divertimento, come la Tv. La natura umana è gregaria e la maggioranza delle persone segue la maggioranza delle persone. Ma ogni tanto nasce una pecora nera che trova nuovi pascoli da colonizzare, insieme alle pecore più avventurose e al pastore più intelligente.
Matthew Hindman insegna Media and Public Affairs alla George Washington University. Nel 2019 ha vinto il Goldsmith Book Prize (https://shorensteincenter.org/goldsmith-awards/goldsmith-book-prize/previous-winners). Per leggere la recensione molto approfondita di Gilberto Pierazzuoli: www.perunaltracitta.org/2020/01/06/matthew-hindman-la-trappola-di-internet.
Nota aforistica – “I media hanno bisogno di un pubblico prima di poter raggiungere un obiettivo” (James Webster, p. 8); “Le migliori menti della mia generazione si dedicano a come attirare clic sulle pubblicità. Che schifo” (Jeff Hammerbacher, www.linkedin.com/in/jhammerb); “Non sono i prodotti migliori a vincere. Vincono quelli usati da tutti. So che molti non vogliono sentirlo” (Andrew Bosworth, vicepresidente di Facebook, 18 giugno 2016, nota interna); “Concentrati sull’utente e il resto seguirà” (massima di Google); “Tutti i modelli sono sbagliati, ma alcuni sono utili” (George Box, statistico, https://it.linkfang.org/wiki/George_Edward_Pelham_Box); “A parità di offerta vince chi convince e arriva prima” (Amian Azzott); “Le strutture dell’architettura tecnica sono strutture di potere” (Laura DeNardis, https://www.youtube.com/watch?v=fpv9TjJQLSc); “La diffusione significa pubblicità, la pubblicità significa denaro e il denaro significa indipendenza” (Joseph Pulitzer, http://www.agoravox.it/?page=article&id_article=12327); “Internet siamo noi” (quello che pensano quelli che controllano Google, Facebook, Microsoft, Amazon, Apple).