Sabato 14 novembre 2020 si celebra il 76° anniversario della morte di Genoeffa Cocconi la forza della famiglia Cervi.
Della famiglia Cervi abbiamo già scritto in occasione del cinquantenario della morte di Alcide Cervi, Genoeffa Cocconi era sua moglie.
Era ancora giovane, 68 anni ed era stata la forza di Casa Cervi: ha fatto in modo che i suoi sette figli e due figlie imparassero a leggere, come amava fare lei stessa, la sera nella stalla, dopo le fatiche del giorno…» .
Avevano ambizioni agricole moderne, erano curiosi e pieni di voglia di vivere i Cervi: studiano, sperimentano, falliscono, ritentano, riescono.
Aldo è il primo a dichiararsi antifascista, “era già partigiano prima ancora di toccare un’arma. Partigiano perché di parte, di quella parte che lui sentiva giusta .
La parte della pace, della giustizia, dell’uguaglianza. La parte dei fratelli Cervi” (“Io che conosco il tuo cuore” di Adelmo Cervi). La loro casa è un laboratorio di sperimentazione di novità e una roccaforte antifascista.
Quando il 25 luglio 1943 arrestano Benito Mussolini, son Genoeffa e le altre donne a impastare 380 chili di pasta da servire in piazza, il bollore che suonava come una sinfonia.
Tutti i sette figli Cervi – Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio ed Ettore – prendono le armi dopo l’8 settembre, ma all’alba del 25 novembre 1943 vengono sorpresi in casa assieme ad alcuni componenti del loro gruppo di partigiani. La stalla piena di mucche e il fienile vengono incendiati. In casa ci sono donne e bambini, la resa è inevitabile.
Li arrestano: portano via suo marito, i suoi amatissimi sette figli maschi, 3 compagni e 3 soldati alleati unitisi al gruppo partigiano. Trentatrè giorni li separano dalla fucilazione: muoiono assieme Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio ed Ettore e Quarto Camurri. Muoiono le loro sette storie, lasciano vedove, lasciano orfani.
Torna Alcide, ignaro, dopo la prigionia ed è ancora lei a tacere e fingere per attendere che si sia ripreso prima di rivelargli la tragedia.
Muore, infine, Genoeffa, dopo pochi mesi, distrutta da tanto dolore: le restavano il marito, le due figlie, le nuore, 11 nipotini. Ma fa male solo immaginarlo il vuoto di quelle mura senza sette giovani uomini presi dal lavoro, dalle famiglie, dalle letture, dal voler un’Italia antifascista e libera.
E possiamo a malapena intuire il suo rammarico per averli istruiti, per aver coltivato in loro la voglia di giustizia e democrazia.
Per lei Piero Calamandrei scrive l’epigrafe:
Quando la sera tornavano dai campi
sette figli ed otto col padre
il suo sorriso attendeva sull’uscio
per annunciare che il desco era pronto.
Ma quando in un unico sparo
caddero in sette dinanzi a quel muro
la madre disse:
“Non vi rimprovero o figli
d’avermi dato tanto dolore
l’avete fatto per un’idea
perché mai più nel mondo altre madri
debban soffrire la stessa mia pena.
Ma che ci faccio qui sulla soglia
se più la sera non tornerete.
Il padre è forte e rincuora i nipoti
dopo un raccolto ne viene un altro
ma io sono soltanto una mamma
o figli cari
vengo con voi”.
Alla morte di suo marito Alcide, la casa è trasformata in museo e proprio la fondazione organizza un evento on-line, “Nel nome della madre” per sabato 14 novembre 2020: letture, proiezioni, interventi di studiosi e altro ancora, per capire meglio la figura di Genoeffa.
Sarà possibile visionare una serie di materiali video e fotografici e scritti per ricordare questa donna che era consapevole del tempo che si stava vivendo e della tragedia che si stava annunciando, della necessità di operare una scelta; attiva e forte nel sostenere le prese di posizione dei figli.
Genoeffa è un archetipo delle madri che devono sopportare la sottrazione dei figli, ma è anche saldamente e ‘umanamente’ dentro al suo tempo, consapevole del rischio che si corre quando ci si espone per la libertà, per la libertà di tutti. (Fondazione Cervi)
Il messaggio di Albertina Soliani, Presidente dell’Istituto Cervi