Vengo a sapere che la comunità Etiope qui a Milano sta cercando di organizzare un presidio per denunciare quello che sta succedendo nel loro Paese. Non ne sapevo nulla, mi sento molto ignorante. Ho sempre fatto fatica a capire cosa succede nel corno d’Africa, comincio quindi a chiedere. Mi mandano degli articoli in inglese. Provo a descrivere il nodo: il presidente dell’Etiopia ha dato un ultimatum alla regione settentrionale del Tigray (uno degli stati federali dell’Etiopia), o “cambiano registro” o sarà un massacro. Il punto sta tutto lì: cosa vorrà dire che devono cambiare registro? Devono sottomettersi al governo centrale? Devono smettere di provocare anche militarmente? Devono rinunciare una volta per tutte a quel potere che seppur minoranza hanno comunque avuto in Etiopia per 30 anni? Devono smettere di fare quello che vogliono, come per esempio convocare comunque le elezioni quando il governo centrale le ha vietate causa Covid?
Ma il presidente etiope non era premio Nobel per la pace? Ha detto davvero domenica scorsa che se non si consegnano in 72 ore massacrerà la capitale del Tigray, Mekelè, con i suoi 500mila abitanti? Ma quando era salito al potere non aveva parlato di “riconciliazione, perdono e amore”??
Si sa poco, anche perché il governo di Addis Abeba ha da qualche giorno spento le luci. Ha chiuso i collegamenti telefonici, internet, voli. Una brutta situazione. Ma c’è bisogno di capire di più. Chiedo aiuto al vecchio Alex Zanotelli che mi passa il contatto di padre “Filo”, attuale direttore di Nigrizia, Filippo Ivardi Ganapini. Gli scrivo, in meno di due ore, dopo cena, stanchi tutti e due, siamo in videochiamata, una disponibilità e una semplicità che lo fanno degno erede di padre Alex. Lo ringrazio.
Si avverte subito la sua preoccupazione. Era al telefono poco prima con Addis Abeba, nella zona del Tigray qualcuno riesce ancora a comunicare con telefoni satellitari, la confusione è tanta, ma di più l’angoscia. Ci sono già profughi e profughi, a carrettate, come se in Africa non ce ne fossero abbastanza. E poi gli equilibri delicati che mi descrive, l’effetto domino è dietro l’angolo. Come in un castello di carte ne togli una e viene giù tutto. L’Eritrea che sta oltre la zona del Tigray e non vede probabilmente l’ora di partecipare alla spartizione della preda, che può approfittare degli scontri per chiudere qualche conto in sospeso con il vicino scomodo. Lì le armi le hanno usate tanto, forse non hanno mai smesso di oliarle.
Profughi che scappano, dove? In Sudan, si parla di 40mila. Possiamo solo immaginare la disperazione che si somma, che si stratifica. Gironi infernali. Mi racconta che i soldati Tigrini scappano nelle campagne per organizzare probabilmente la guerriglia. Il terreno lo conoscono bene, se il presidente dell’Etiopia crede di risolvere la cosa in quattro e quattr’otto, si sbaglia. Vengono i sudori freddi. C’è chi parla di “balcanizzazione” dell’Etiopia.
E poi, sempre questo famigerato presidente etiope che ritira i suoi soldati dalla Somalia, dove aiutano il fragile governo somalo a resistere al terrorismo del gruppo Al Shabaab. Altro focolaio che può partire. E poi la diga sul Nilo, la più grande, Grand Ethiopian Renaissance Dam (GERD), in territorio etiope, ma che coinvolge sia il Sudan che l’Egitto. E poi le locuste…
Ce ne sarebbe abbastanza perché la comunità internazionale urli compatta “Fermi tutti!”. Invece troppo poco: Usa e Francia dicono qualcosa, l’Unione Africana chiede il cessate il fuoco, così come i vescovi di Etiopia ed Eritrea. Ancora troppo poco. Le voci devono essere autorevoli ed alzarsi. Se poi riuscissero a farlo le popolazioni sarebbe meglio ancora.
Forse ci sarà questo presidio a Milano, vi andrò eccome, per cercare di capire, nella speranza che non sia una replica in miniatura delle tensioni fortissime tra quelle etnie, ma perché un occhio esterno, uno sguardo dei civili faccia dire: “Alto al fuego!” Lo pagheranno le popolazioni. Lo pagheranno in primis donne, vecchi e bambini che raccoglieranno il loro fagotto e vivranno di paura e di terrore.
Non so quanto spazio ci sarà per questa sciagura sui media mondiali. So solo che per delle sacrosante manifestazioni ad Honk Kong sapevamo se gli studenti rischiavano una carica della polizia e se il politecnico era circondato. Qui si rischia un massacro, con aerei, elicotteri, carri armati, cannoni e chi ne ha più ne metta. A proposito: “Ma chi le mette le armi? Chi le vende?” Silenzio, hanno staccato la comunicazione, così si lavora meglio…
Se volete seguire meglio la vicenda consigliamo di seguire l’ottima rivista Nigrizia e il suo sito, www.nigrizia.it
PS. nel nostro piccolo, sempre a Milano, continuano le flebili voci su frequenti rivolte nel CPR (centro di detenzione per immigrati, altrimenti detto centro per il rimpatrio): ma dove vogliamo rimpatriarli???? Quanta vergogna.