Continuano a crescere a ritmo importante i numeri di coloro che in carcere, tra detenuti e personale, risultano positivi al Covid-19. Come riportato dal Garante nazionale per i diritti delle persone private della libertà personale, nell’arco di pochi giorni i contagiati hanno superato le 600 unità tra i detenuti (di cui 32 ospedalizzati) e sono oltre 800 tra il personale che, a vario titolo, opera nelle carceri. In 75 istituti su 190 si è verificato un qualche caso di contagio.
Da settembre l’osservatorio di Antigone è tornato a visitare gli istituti penali del paese, dopo lo stop alle attività che la prima fase dell’emergenza coronavirus aveva comportato. In molti casi ci si è trovati davanti a situazioni di sovraffollamento che non aiutano il contenimento del contagio, né favoriscono l’isolamento dei detenuti positivi o di coloro che, dopo un contatto con un positivo, hanno bisogno di osservare un periodo di quarantena. Su indicazione del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, alcune sezioni sono state sgomberate per fare posto a reparti Covid, questo ha però prodotto un ulteriore sovraffollamento in altre aree degli istituti. Inoltre, la necessità di far osservare il periodo previsto per la quarantena ai nuovi giunti, fa sì che spesso questi vengano trasferiti in carceri anche a centinaia di chilometri di distanza dalla loro città per l’arco di tempo previsto e, solo dopo, ricondotti negli istituti di compentenza.
“Ciò che occorre in questa fase – sottolinea Patrizio Gonnella, presidente di Antigone – è ridurre i numeri della popolazione detenuta. Dopo l’importante contrazione registrata durante la prima ondata, il dato dei detenuti si era stabilizzato e, dopo l’estate, era ricominciato a crescere. Attualmente ci sono oltre 54.000 persone per circa 47.000 posti realmente disponibili. Con questi numeri, nonostante i protocolli adottati, è difficile poter contenere il diffondersi del contagio. Occorre dunque intervenire attraverso la concessione di misure alternative al carcere, in primo luogo gli arresti domiciliari, per chi ha fine pena brevi o importanti patologie pregresse. Si deve inoltre, così come sollecitato dal Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, ridurre al minimo gli ingressi, utilizzando la custodia cautelare in carcere solo laddove è strettamente necessaria. Chi non potrà uscire – dichiara ancora Gonnella – ha bisogno di non sentirsi abbandonato. L’angoscia che si vive nel mondo libero è infatti amplificata quando ci si trova in spazi chiusi e con un’inevitabile contatto quotidiano con decine di persone. Per questo vanno potenziate le telefonate e le videotelefonate su cui alcuni istituti, dopo le concessioni della prima ondata, stavano tornando indietro. Va garantito inoltre il diritto allo studio, predisponendo la possibilità che i detenuti seguano le lezioni in dad. Questi riteniamo siano provvedimenti urgenti e necessari. Ci auguriamo che lo stesso Comitato Tecnico Scientifico possa concentrare la propria attenzione sul sistema penitenziario affinché, tanto la salute dei detenuti che quella degli operatori, sia salvaguardata”.