Lo abbordano alla fila della cassa e lo invitano ad allontanarsi dal supermercato. Escono dalla visione delle telecamere di sicurezza. Nella nuova inquadratura, mentre viene tenuto per il collo, è colpito al volto e alla testa da decine di pugni. È possibile ascoltare la sua voce chiedere aiuto. Una dipendente del supermercato, sempre di fianco ai vigilanti filma tutto, cerca la migliore inquadratura come se voglia avere un registro non solo fortuito e personale, ma tecnico e professionale. Filma quando João Alberto viene scaraventato per terra, filma la serie infinita dei colpi precisi al volto, filma quando viene preso per il collo da dietro per immobilizzarlo meglio, quando gli montano a ginocchioni sulla schiena, filma il suo sangue sparpagliato sul pavimento lucido, filma le sue urla, filma l’arrivo della morte. Cinque minuti, non di più, cinque minuti. Nel supermercato pieno di gente, tutti hanno visto.
Oggi, 20 novembre, è il giorno in cui si commemora la morte di Zumbi dos Palmares, il leader della più grande e importante comunità di schiavi ribellati che, rifugiatisi nelle montagne diedero vita a una vero e proprio territorio indipendente, abitato da migliaia di persone. L’esperienza di libertà e autonomia durò quasi cento anni fino a che il territorio libero venne invaso e distrutto. Oggi, 20 novembre è il Dia da Consciência Negra, Il Giorno della Coscienza Negra. João Alberto muore davanti al portone di un supermercato, la sua morte filmata e divulgata immediatamente in ogni social. Il vice presidente della repubblica parla per lui, per il suo capo, per il governo intero: In Brasile il razzismo non esiste.
Negano, la gravità e la stessa esistenza della pandemia, negano l’utilità e l’efficacia del vaccino, negano la devastazione ambientale, gli incendi in amazzonia, negano il cambiamento climatico, negano le evidenze scientifiche, negano la sfericità della terra, negano tutto. Adesso negano il razzismo. Affermano che “la sinistra vuole importarlo con lo scopo di dividere il paese”. Non sono opinioni personali, ma azioni deliberate di una politica governativa che, negando l’esistenza del problema, può eliminare definitivamente ogni azione per combattere la struttura perversa generata dalla disuguaglianza profonda, e retro alimentata dallo stesso razzismo quotidiano, quel razzismo che diventa statistica nei freddi dati su cui passo lo sguardo: in certe zone del Brasile o della nostra città è molto più facile morire ammazzato prima dei vent’anni che riuscire ad entrare all’università e laurearsi. I freddi dati mi parlano della di disoccupazione, di abitazioni precarie, analfabetismo e popolazione carceraria. I dati che spiattellano numeri come l’aumento dei morti uccisi dalla polizia in quei determinati quartieri di cui sopra. E il presidente: Il razzismo non esiste.
Da anni ascoltiamo Bolsonaro e il suo governo offendere e insultare le minoranze etniche, da anni lo ascoltiamo inneggiare ad ogni tipo di violenza contro chi osa opporsi al suo disegno perverso. Oggi negano il razzismo, non stanno negando il problema, ma l’umanità stessa di milioni di persone che ogni giorno soffrono sulla loro carne la segregazione, l’emarginazione, e ogni tipo di difficoltà. I vigilanti sono addestrati, considerano ogni persona come João Alberto un potenziale delinquente da seguire e sorvegliare e caso sia necessario da sopprimere in ogni modo. Il Carrefour non può permettere a certa gente di entrare e disturbare il normale andamento degli affari. João Alberto va seguito, sorvegliato: deve essere fermato, ad ogni costo, deve essere massacrato distrutto pestato e soffocato, deve morire. Una moglie e quattro figli, João Alberto Silveira Freitas, 40 anni, brasiliano.