Un anno fa, a ottobre 2019, nel cielo di Santiago riecheggiava la canzone di uno dei più importanti gruppi rock del Cile, Los Prisioneros: “El baile de los que sobran”. In mezzo alla mobilitazione la gente alzava le braccia e cantava per le strade mentre la collettività si riconosceva in una sintonia intergenerazionale. La danza di quelli che non contano, di quelli che sono di troppo e che, a un certo punto si risvegliano e si rendono conto di essere depositari di un immenso potere, di un potere reale, concreto. Il potere di cambiare.
La stampa mainstream europea ha cercato di mostrare solo gli aspetti dei momenti di perdita di controllo e di vandalismo, senza dare la meritata visibilità a un simile fenomeno psicosociale e, appena possibile, si è tuffata nella guerra al virus, altro fenomeno psicosociale, ma certamente di segno inverso. Se il risveglio cileno spingeva all’espansione, all’apertura verso gli altri, a una nuova vicinanza umana e una nuova sensibilità, alla sfida dei grandi poteri superando la paura, l’horror-movie del Covid ha riportato rapidamente a un violento senso di chiusura: chiusura dei corpi nelle case e chiusura delle menti.
Ma il fenomeno celebrato nelle “avenidas” di Santiago è ancora attivo nella specie umana di questa congiuntura epocale. Lo era prima dell’esplosione sociale cilena e lo è tuttora, alla ricerca di una nuova espressione e una maggior visibilità che superi l’oscuramento “virale” mondiale.
L’unione di quelli che non contano è stato anche il segno che ha marcato l’avventura antinuclearista di ICAN, la Campagna Internazionale per la Proibizione delle Armi Nucleari. Dal racconto vivo dei protagonisti che hanno scritto il Trattato (TPAN) a Ginevra, si coglie l’emozione di vivere un momento in cui un paradigma sta cambiando. Qualcosa di incredibile è accaduto in quella Assemblea mondiale. I paesi potenti, quelli abituati a fare il bello e il cattivo tempo sulle decisioni, sono stati circondati dai piccoli ma numerosi paesi che si sono uniti in un risveglio, hanno finalmente guardato il fenomeno del nucleare per quello che è stato, è e continua a essere. Distruzione, autodistruzione e dolore senza alcun senso. Ormai mancano pochissime firme alla ratifica e messa in vigore dell’accordo e sappiamo bene che non sarà sufficiente la carta firmata: quel risveglio dovrà continuare a celebrarsi tra le popolazioni fino a generare un cambiamento culturale e di coscienza.
“Poiché i nostri leader si comportano come bambini, dovremo assumerci le responsabilità che avrebbero dovuto assumersi loro da tempo (…). Non siamo venuti qui per chiedere ai leader mondiali di prendersi cura del nostro futuro”, ha dichiarato Greta nel 2018 al Cop24 in Polonia. “Ci hanno ignorato in passato e ci ignoreranno di nuovo. Siamo venuti qui per fargli sapere che il cambiamento sta arrivando, che la cosa gli piaccia o no. La gente sarà all’altezza della sfida”. Greta Thumberg e i ragazzini che non vanno a scuola per difendere il loro futuro e quello del pianeta. Ecco un altro esempio di sintonizzazione sociale delle fasce di quelli che, di solito in questa società, non contano: i bambini. Un esempio contagioso che rompe le barriere generazionali e mette tutti d’accordo. Di nuovo uniti in un sentimento profondo che va oltre gli egoismi e la meschinità, uniti da un affetto comune, da una preoccupazione ma anche dal sogno di una diversa umanità.
Senza entrare in analisi sociologiche o politiche, anche l’inondazione delle Sardine nelle piazze ricorda questo tipo di fenomeno. Tutti uniti nella danza di quelli che sono di troppo. Unisciti anche tu in quella danza! Non so se siamo d’accordo su tutto, anzi sicuramente non lo siamo. Ma è certo che vogliamo stare bene e che vogliamo che anche gli altri stiano bene. Sentiamo che noi non veniamo “prima” di qualcun altro, nessuno deve restare indietro, noi siamo quelli che dormivano e che, forse, si sono svegliati. Siamo quelli che non volevano svegliarsi “il giorno dopo”…
Che dire! Non è certo un discorso di tipo politico, ma esprime un’emozione, un’emozione comune e una speranza. Una realtà esistenziale che non è possibile far finta di non vedere.
E forse è così, il futuro è fatto di comunità affettive, di sguardi che si incontrano e si riconoscono, di riconciliazione per gli errori commessi e di voglia di rinascita, non solo di una giustizia che probabilmente sarebbe ben difficile ottenere. Comunità silenziose che coltivano una speranza che a volte si concretizza in una protesta o in una richiesta o in un’azione comune, perché quell’unione di sentimenti difficili da descrivere le rende possibili. Si moltiplicano le comunità affettive, sono quelle a cui si può restare legati perché non c’è giudizio dall’alto, quelle che nascono per un’aspirazione che va oltre noi come individui, sono quelle dove non c’è un pensiero unico, dove si cerca di aumentare la consapevolezza, dove c’è confusione, ma anche rispetto delle differenze e allegria.