Ma la baldanza di quelle vittorie sta originando una vera distopia poiché quasi nessuno, nemmeno fra gli ambientalisti più impegnati, sembra far caso alla riscossa della lobby nucleare che cerca di spacciare l’energia nucleare come carbon free.
Disgraziatamente sembra che fra le vittime di questo inganno ci sano anche i movimenti dei giovani per il clima! Che non sappiano nulla sull’energia nucleare è comprensibile, dal momento che ai tempi delle lotte antinucleari non erano neanche nati e che in nessuna scuola secondaria, anche “scientifica”, si arriva a studiare la fisica del nucleo. Greta in persona è stata più che ambigua su questo, anche se so per la mia esperienza diretta con i FFF che altre/i mantengono forti riserve, quando non un aperto rifiuto. C’è semmai da chiedersi chi consigli Greta su cose che evidentemente non può sapere: ma qui è obbligatorio dire che gli “scienziati”, alla cui autorità i movimenti si appellano, sono in grande maggioranza pro-nucleari! Un bel problema.
Questa situazione ci riporta comunque indietro di decenni. Che fare dunque?
Personalmente, come tanti altri, ho scritto valanghe di cose, più o meno dettagliate ma sempre accessibili a tutti, e ho sostenuto dalla fine degli anni ‘70 centinaia di incontri con specialisti e con la popolazione: ma – ed è un grosso “ma” – allora non c’era internet! Non si può realisticamente pretendere che i giovani trovino e leggano addirittura libri, come L’Italia Torna al Nucleare (Jaca Book 2008), o addirittura il più sistematico, scritto con Giorgio Ferrari, SCRAM1, Ovvero la Fine del Nucleare (Jaca Book 2011).
E allora riprendo da un approccio soft, con un sintetico “breviario” di temi sul nucleare (in)civile più vicino alla moda attuale di whatsapp o facebook: ovviamente gli statements che seguono non vengono sviluppati con il dettaglio che necessiterebbero per venire sostanziati, ma forse possono avere un’immediatezza che possa fissarsi nella mente, e stimolare una riflessione.
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► L‘energia nucleare non è solo un’energia “più grande”, ma ha un’origine completamente diversa dai processi che avvengono sulla Terra. Il nucleo dell’atomo contiene energie milioni di volte maggiori di quelle degli elettroni esterni responsabili dei processi chimici. Ne segue (ma viene di solito occultato) che se si attivano processi nucleari, essi producono inevitabilmente prodotti artificali radioattivi inesistenti sulla Terra (vedi per dettagli il mio: Antropocene-Capitalocene-Nucleocene: l’eredità dell’Era Nucleare è incompatibile con l’ambiente terrestre (e umano), 11.09.2018).
► È ovvio, con conoscenze elementari sui fenomeni nucleari, che il processo di fissione nucleare (cioè non chimico) all’interno di un reattore non produce CO2, ma si occulta intenzionalmente l’intero ciclo nucleare.
► L’estrazione del minerale, la sua lavorazione, la fabbricazione del combustibile, sono processi che anche senza essere esperti producono CO2! Se l’energia nucleare venisse rilanciata, si dovrebbero sfruttare miniere e minerali meno ricchi di uranio, ed è elementare capire che il processo produrrebbe emissioni crescenti di CO2.
► Anche l’uranio è una risorsa esauribile!
► La costruzione delle centrali (i cui costi e tempi di costruzione sono aumentati moltissimo, ad esempio per le norme di sicurezza sempre più stringenti) produce chiaramente CO2. Nuove centrali nucleari arriverebbero comunque troppo tardi a fronte dell’emergenza climatica sempre più incalzante: costi e tempi sono enormemente superiori a progetti di energie rinnovabili!
► Rilasci radioattivi e conseguenze sanitarie? Ovviamente ci assicurano che le nuove centrali sono assolutamente sicure e non producono rilasci radioattivi. Sarà! Lo hanno da sempre assicurato, tanto lo si vede dopo molti anni: come chiedere all’oste se il suo vino è buono. Si deve insistere, le radiazioni nucleari non sono come gli altri inquinanti. Istruttiva l’inchiesta di Presadiretta del 2010.
► Ma come tutti gli artefatti, anche le centrali nucleari hanno una vita limitata, al termine della quale devono essere smantellate. Si sono accumulate nel mondo più di 400 centrali nucleari che aspettano il decommissioning: processo, sempre rinviato, che si sta rivelando molto più lungo, complesso e costoso di quanto si fosse previsto (il costo del decommissioning del sito nucleare britannico di Sellafield lievita di continuo, le valutazioni superano 100 miliardi di Sterline!). In Italia vi erano solo 4 centrali attive, di piccola o media taglia: il decommissioning è attorno al 40%.
► La “coda” del ciclo nucleare non è affatto meno complessa, e ancor meno carbon free. I residui radioattivi (non solo “scorie”, la fissione produce plutonio, “prezioso” materiale militare!) costituiscono un problema non meno grave della CO2. Solo negli USA si sono accumulate 70.000 tonnellate di combustibile esausto, che è un materiale che deve rimanere isolato da qualsiasi contatto umano per migliaia di anni. Nessun paese ha ancora realizzato un deposito nazionale per i residui radioattivi. In Italia questi residui sono immagazzinati in una ventina di depositi “provvisori” che si deteriorano sempre più (Rai Report, “L’eredità”, mentre il progetto del deposito nazionale langue da anni.
► Last but absolutely not least – anche se l’Italia sembra non coinvolta – l’intrinseco dual-use, civile militare, della tecnologia nucleare.
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Anche se per il momento sembra remota la possibilità che l’Italia possa riprendere programmi costruzione di centrali nucleari a fissione, continua a finanziare programmi di fusione nucleare. Non solo partecipa al programma internazionale di costruzione di ITER, International Thermonuclear Experimental Reactor, in Francia (lievitazione costi a 20 miliardi), ma sviluppa un progetto proprio, il cui costo previsto è di 600 milioni di Euro.
Ovviamente (per onestà) il mio parere è opposto ai tanti che dominano in internet. In estrema sintesi, la fusione di nuclei leggeri è stata realizzata dal 1949 nelle bombe termonucleari (bomba H), a da 60 anni viene annunciata come vicina la fusione nucleare controllata, per usi civili, ma questa promessa si è regolarmente allontanata nel tempo.
Non voglio qui entrare nel merito, ma proviamo a fare la previsione più ottimistica. In modo molto grossolano ma comprensibile, supponiamo 10 anni per realizzare un processo di fusione che si autosostenga, altri 10 per progettare un reattore commerciale, altri 10 per costruire le prime centrali a fusione. Insomma, assai difficilmente potremmo pensare di produrre energia elettrica dalla fusione entro la metà del secolo, più realisticamente nella seconda metà. Non è comunque un tantino tardi per tamponare la crisi climatica che incalza? Mentre i progetti delle energie rinnovabili sono già oggi disponibili, in continuo progresso, e realizzabili in pochi anni; e sicuramente molto meno costosi. E il futuro non potrà che essere molto, molto meno energivoro.
Intanto ITER o altri progetti divorano per la loro realizzazione energia, e producono CO2! A me non sembra un buon affare (per la popolazione) e sostengo che sono soldi buttati.
Ma poi, la fusione sarebbe davvero priva di rischi, inconvenienti, o ricadute negative? Mi limito a segnalare un articolo: D. Jassby ha lavorato su esperimenti di fusione nucleare per 25 anni al Princeton Plasma Physics Lab, “Fusione nucleare: criticità e rischi di un progetto irrealizzabile”.
Last by not least, i militari – solita storia – lavorano da più di 10 anni alla National Ignition Facility (NIF) al Livermore Laboratory per la fusione nucleare con un metodo diverso (confinamento inerziale), “progettato per consentire esperimenti senza precedenti sulla fisica delle armi nucleari e consentire di conservare il deterrente nucleare degli USA senza ulteriori test sotterranei”: se sia anche per progettare armi nucleari innovative non viene ovviamente detto.
Articolo originale su La Città Invisibile