“È un’invenzione femminista che ambisce a giustificare l’ideologia omosessuale”: così il ministro della Giustizia polacco, Zbigniew Ziobro, aveva descritto nel 2014 la Convenzione di Istanbul. Promossa dal Consiglio d’Europa per definire un livello minimo di tutela contro la violenza sulle donne e la violenza domestica, la Convenzione di Istanbul è stata ratificata da Varsavia nel 2015 sotto il mandato governativo di Piattaforma Civica (PO). Fin dalla propria vittoria elettorale, il partito Diritto e Giustizia (PiS) – attualmente al governo – si è sempre espresso contro l’adesione alla Convenzione, senza mai avviare una procedura formale di recesso.
Il contenuto della Convenzione
Adottata nel 2011, la Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne è uno strumento di diritto internazionale che annovera per gli Stati aderenti un nucleo inderogabile di strumenti per la prevenzione della violenza sulle donne. In particolare, la Convenzione introduce a livello internazionale i crimini di stalking, matrimonio forzato, mutilazioni genitali femminili, sterilizzazione forzata e aborto imposto. Impone la creazione di un sistema di case rifugio per accogliere le vittime di violenza domestica e l’eliminazione dei delitti d’onore; gli sconti di pena previsti nel caso in cui il crimine sia motivato dalla tutela del proprio “onore” (come nel caso di adulterio) non possano essere addotti come scusa per giustificare tali atti.
In tema di violenza sessuale, l’accordo definisce lo stupro come atto sessuale compiuto in assenza di consenso, inteso come “libera manifestazione della volontà della persona, valutato tenendo conto della situazione e del contesto” (Articolo 36). La nozione di stupro è quindi più ampia di quanto previsto dal diritto polacco, che richiede la dimostrazione di una coercizione fisica per poter considerare un atto come violenza sessuale.
Dalle parole ai fatti
Il 25 luglio scorso il ministro della Giustizia Ziobro ha inviato una formale richiesta di recesso della Polonia dalla Convenzione. Il trattato definisce la violenza sulle donne come una forma di violenza motivata dal genere della vittima, inteso come un costrutto socio-culturale distinto dal sesso biologico. Ed è proprio l’adozione della nozione di genere ad essere finita al centro delle accuse avanzate del PiS e del movimento ultra-conservatore Ordo Iuris, che hanno accusato il testo di “promuovere l’ideologia LGBT“.
L’assemblea dei vescovi polacchi, in un proprio comunicato stampa, ha accolto la decisione del ministro. Oltre a introdurre una definizione legale di “genere” come costrutto socio-culturale, la Convenzione invita gli Stati aderenti a promuovere un’educazione che porti ad eliminare “pregiudizi, costumi, tradizioni e qualsiasi altra pratica basata sull’idea dell’inferiorità della donna o su modelli stereotipati dei ruoli delle donne e degli uomini” (articolo 12), vista come un’aperta accusa nei confronti della famiglia tradizionale e della religione cattolica.
Verso una nuova alleanza internazionale?
Pur essendo firmato da tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa – a esclusione di Russia e Azerbaigian – l’accordo non è stato ratificato e quindi non è (ancora) vincolante per alcuni paesi dell’Europa centro-orientale tra cui Repubblica Ceca, Lituania, Slovacchia e Ungheria. Di questi, alcuni paesi probabilmente non arriveranno mai a ratificarlo: lo scorso febbraio il parlamento della Slovacchia ha votato contro l’adesione alla Convenzione, e lo stesso è avvenuto nel caso dell’Ungheria di Viktor Orban.
Il primo ministro Morawiecki ha trasmesso la richiesta formale alla Corte costituzionale, chiamata a decidere sulla costituzionalità del recesso da parte della Polonia dall’accordo internazionale.
Come altre iniziative del guardasigilli Ziobro, si tratta di una scelta dal chiaro risvolto in ambito di politica estera. Il sotto-segretario del ministero degli Esteri, infatti, ha annunciato su Twitter la volontà di stipulare un nuovo trattato internazionale sui diritti della famiglia per sostituire la Convenzione di Istanbul e formalizzare l’alleanza regionale con altri paesi dell’Europa centro-orientale. Con tale accordo, potrebbe crearsi un sistema di difesa dei diritti fondamentali alternativo alla cornice definita dal Consiglio d’Europa e anche dal Parlamento europeo, che ha definito l’adesione alla Convenzione di Istanbul “una priorità per l’UE”.
Se formalizzato, il recesso della Polonia finirebbe per creare un solido precedente per la costruzione di un’Europa “a due velocità” in materia di diritti. Un doppio binario in cui la Polonia cerca di trovare un ruolo internazionale come “guardiana” della famiglia tradizionale in Europa.