E adesso i pignoli interverranno con le loro saccenti precisazioni per insegnarmi la differenza tra il bue e il toro. Rispondo invece che tutto ciò che non è vacca è bue, e che tra bue e toro non c’è nessuna differenza. Nella cultura iberica, il toro è presenza fondamentale. La forza del mito lo trasforma in archetipo e il suo sacrificio nell’arena non è mai invano, garantisce la sopravvivenza dell’uomo malgrado la violenza della natura, il cieco arbitrio del destino. L’esibizione della sua morte è la certezza del sole che domani potrà rinascere, il tempo ciclico del raccolto, la vita che si autoalimenta, la finitudine e il rinnovamento. Il toro. Fino all’inizio del novecento, a Rio de Janeiro, la Praça de Touros, l’arena della corrida, era gremita. Le foto d’epoca mostrano quanta fosse la partecipazione a questo rito le cui origini si perdono nel labirinto di Cnosso. Nella tradizione popolare, soprattutto nel nord est, nell’interno del Brasil-profondo, il Bue (o Boi) ha soppiantato il toro. A volte solamente a livello semantico, boi-touro, altre volte invece come protagonista di rituali e feste. Toro e Bue diventavano la stessa cosa, lo stesso animale. Sono innumerevoli le feste popolari in cui il Bue è protagonista assoluto. Lo si rappresenta coloratissimo (un bue-uomo, un uomo vestito da bue, un minotauro brasiliano), lo si fa ballare al centro di un circolo umano in cui i ruoli di dominatore e dominato saranno sempre intercambiabili; oppure lo si lascia correre (un bue vero) per le strade, lo si tormenta, gli si lanciano pietre, gli si tira la coda fino a che non cada stremato. La tradizione canta la sua danza, compositori eruditi e musicisti girovaghi, hanno dedicato al Bue le loro più importanti composizioni. Nella città amazzonica di Parintins, ogni anno, due grandi gruppi ricreativi si contendono il primato di chi farà la festa più bella. Il Bue (falso) ballerà coloratissime coreografie accompagnato dalla massa popolare, la cui unica finalità è quella di stupire l’avversario. Da Creta all’Amazzonia, passando per la Penisola Iberica, approdando a Rio de Janeiro, il bue è protagonista assoluto del mito. La Praça de Touros di Rio venne demolita in nome del progresso, se i soldi dei prestiti impagabili sempre arrivavano dall’Inghilterra, le mode culturali erano tutte francesi. E a Parigi nessuno si azzarda a promuovere una corrida o a perseguitare un povero bue per i Champs-Élysées. A Parigi ci sono boulevards e palazzi, noi non possiamo più comportarci da selvaggi, lasciamo le corride agli spagnoli e comportiamoci da gente civile! L’arena venne demolita, e il grido di Olè, da allora in poi, lo si può ascoltare solo allo stadio, dopo un dribbling di Neymar.
Quando lo stato di Pernambuco e la città di Recife erano sotto il dominio olandese, il governatore decise di costruire un lungo ponte che unisse la città compresa tra le grandi isole che formano il delta del fiume Capiberibe. Venne edificato in pochi mesi, ma il deficit nelle casse dello stato era enorme. Si decise di organizzare una grande festa popolare nei giardini del palazzo. Il governatore in persona convocò tutta la città. Si sarebbe visto uno spettacolo straordinario, incredibile, da poterlo raccontare per generazioni, un bue sarebbe uscito dalle finestre e avrebbe attraversato il parco: volando. Il bue avrebbe volato sulle teste di tutti. Per arrivare ai giardini la gente avrebbe dovuto passare per forza sul nuovo ponte e pagare un pedaggio simbolico. Arrivarono a migliaia, decine di migliaia. Il grande Bue arrivò tra applausi e invocazioni, entrò nel palazzo e salì la scalinata. La gente però non sapeva che in precedenza un altro sfortunato bue era stato scuoiato e le sue pelli riempite di paglia. All’ora convenuta, di notte, tra la penombra, le luci delle fiaccole, alcuni specchi sapientemente collocati e un complicato sistema di carrucole, il Bue impagliato uscì dalla finestra e volò per tutto il giardino, tra le chiome degli alberi, le nuvole, e lo stupore popolare che gridava al miracolo. Il governatore mantenne la sua promessa, il popolo vide coi suoi occhi il volo del bue, pagò il pedaggio per attraversare il nuovo ponte e le casse dello Stato pareggiarono i conti. Lo spettacolo del volo bovino fu un tale successo di critica e pubblico che venne ripetuto per giorni. Ancora oggi a Recife, per rivivere l’emozione di quella sera, ogni anno organizzano il volo del super Bue, e tutti a naso in su per vederlo muggire felice nel cielo stellato.
Ricardo Salles, il ministro dell’ambiente, di cui in queste pagine è già stato spiegato il nefasto ruolo, e la sua collega Tereza Cristina Corrêa da Costa, ministro dell’agricoltura, responsabile per fomentare la politica latifondista del governo, visitano il Pantanal in fiamme. La distruzione totale di un bioma unico al mondo, regolato dal ciclo delle acque, tra foresta, savane e grandi fiumi è sotto attacco. Lo si vuole trasformare in terra coltivabile o in pascolo per buoi. I ministri dicono che moltiplicare la presenza del bue nel Pantanal sarebbe benefico assai. Le sue qualità di mangiatore vorace lo porterebbero a eliminare la boscaglia che oggi prende fuoco, e una volta estinto il sottobosco, mangiato, divorato, si eviterebbe la propagazione dell’incendio. Così facendo il nostro caro Bue si trasformerebbe in una specie di guardia forestale. Il ministro va oltre, dice che sarebbe un vero e proprio pompiere, o bombeiro do Pantanal, il pompiere del Pantanal e, visto che ci siamo, anche dell’Amazzonia. Boi-bombeiro, bue pompiere. I grandi proprietari, i fazendeiros, nelle parole ministeriali vedono cosí concretizzarsi i loro sogni. La presenza di milioni di capi di bestiame, diventa quindi la soluzione per la preservazione ambientale. Il bue pompiere, mangiatore di sterpaglia, eroe nazionale.
Ecco che il mito popolare, la tradizione antica di millenni, viene modernizzata dai ministri responsabili diretti del disastro. Il bue pompiere spegnerà gli incendi, garantirà la preservazione ambientale e condurrà il paese verso un futuro radioso. In due parole hanno trasformato per sempre il Bue del mito in un agente del capitale speculativo internazionale al servizio del latifondo. Dopo avergli demolito le arene, in nome della pubblica decenza, adesso gli hanno pure tagliato le ali. Il Boi Voador, il bue volante, oggi non vola più.