“La più profonda aspirazione del popolo della Costa d’Avorio è avere elezioni inclusive, democratiche e credibili; oggi non ci sono le condizioni affinchè questo avvenga”. A parlare con l’agenzia Dire è padre Donald Zagore, raggiunto al telefono nella capitale economica Abdijan. Cittadino ivoriano, è il responsabile della comunicazione dell’ufficio regionale della Società delle missioni africane (Sma).
L’intervista si tiene a pochi giorni dalle elezioni presidenziali, in programma sabato. Il clima nel Paese è teso: le opposizioni portano avanti da settimane una campagna di boicottaggio, mentre in scontri tra manifestanti antigovernativi e forze dell’ordine hanno già perso la vita decine di persone. Padre Zagore, che sta per concludere un master in filosofia politica e ha scritto articoli sulla situazione politica della Costa d’Avorio, premette che il nodo più critico è rappresentato dalla candidatura per un terzo mandato del presidente uscente Alassane Ouattara.
“Il fatto che il capo di Stato abbia utilizzato tutte le risorse a sua disposizione per garantirsi la rielezione e rendere vani gli sforzi degli avversari più scomodi è un grosso problema” denuncia il missionario. Convinto che gli aspetti controversi siano più d’uno: “Nonostante quanto abbia stabilito la Corte costituzionale a settembre, la nostra Costituzione in vigore dal 2016 non gli permetterebbe di ricandidarsi, dato che stabilisce all’articolo 55 che il presidente dispone di massimo due mandati”.
Padre Zagore aggiunge: “Quattro anni fa, in occasione del referendum con il quale fu approvata la nuova Carta fondamentale, il partito di governo, il Rassemblement des houphouetistes pour la democratie et la paix, aveva promesso che le consultazioni non erano un modo per far partecipare Ouattara a una terza elezione”. Secondo il missionario, era stata proprio questa assicurazione “a spingere in tanti ad andare alle urne”. Secondo padre Zagore, Ouattara non avrebbe mantenuto la parola anche altre volte. “Già a marzo aveva detto che non si sarebbe ricandidato” ricorda il missionario. Ouattara è tornato sui suoi passi dopo la morte del candidato che era stato designato dal Rassemblement des houphouetistes pour la democratie et la paix (Rhdp), l’ex primo ministro Amadou Gon Coulibaly. Il missionario dice che “questo fatto è stato usato come una scusa” visto che “Coulibaly aveva sicuramente uno staff di persone in grado di sostituirlo”.
In questi giorni i due candidati dell’opposizione, l’ex capo di Stato Henri Konan Bediè, per il Parti Democratique de la Cote d’Ivoire (Pdci), e Pascal Affi N’Guessan, per il Front Populaire Ivoirien (Fpi), stanno invitando i loro sostenitori alla disobbedienza civile e al boicottaggio del processo elettorale. Secondo padre Zagore, la protesta “non è solo delle opposizioni, ma accoglie istanze di tutta la popolazione”.
Spiegandone i punti salienti, il missionario cita i dati dei candidati alla presidenza non ammessi: “Su 44 ne sono stati accettati quattro. Ben 40 sono stati respinti. E tra questi ci sono l’ex presidente Laurent Gbagbo e l’ex premier Guillaume Soro, entrambi costretti all’esilio all’estero da procedimenti giudiziari a loro carico”. L’altro numero cui fa riferimento padre Zagore è il 529: “E’ il numero dei membri dell’Rhdp che fanno parte della Commissione elettorale, beninteso su un totale di 549. Dovrebbe essere un organismo indipendente: mi pare chiaro che non lo sia affatto”. Secondo il missionario, “la Commissione va riformata prima del voto, come peraltro stabilito a luglio dalla Corte africana per i diritti dei popoli con sede ad Arusha, in Tanzania”.
Difficile allora immaginare una distensione post-elettorale, dice padre Zagore: “Sarebbe meglio si riuscissero a creare le condizioni per un dialogo prima di sabato, altrimenti il Paese rischierebbe di finire in una crisi abbastanza grave”.