Abbiamo recuperato la democrazia e la speranza. Il nostro impegno è governare per tutti i boliviani, un governo di unità nazionale, imparando e superando i nostri errori. Oggi è stato ‘per il popolo ciò che è del popolo’ ” [1]
Sono state queste le prime parole del presidente eletto della Bolivia, Luis Arce, dopo che la sondaggista CiesMori-Unitel ha reso noti i risultati degli exit poll, che davano una schiacciante vittoria al primo turno al candidato del Movimento al socialismo-Strumento politico per la sovranità dei popoli (Mas-Ipsp), con oltre 20 punti di distacco dall’ex presidente conservatore Carlos Mesa di Comunità cittadina.
Mentre si aspetta che le autorità elettorali finiscano il computo delle schede e ufficializzino il trionfo di Arce[2], la Bolivia si avvia a ricucire il filo costituzionale e democratico dopo il colpo di stato dell’anno scorso, che rovesciò il presidente eletto Evo Morales e instaurò un governo di fatto, fascista e razzista, con l’avallo e il patrocinio del trumpismo, dell’Organizzazione degli stati americani (Osa), dei governi fantoccio dell’impero statunitense e grazie anche all’inazione colpevole, il silenzio complice dell’Unione europea.
Sono stati undici mesi di persecuzione, repressione, incarceramento ed esilio per gli oppositori, di massacri come quelli di Sacaba e Senkata, di riduzione al silenzio dei media non allineati col governo di fatto. Sono stati undici mesi di ritorno al neoliberismo più retrogrado, di militarizzazione dei territori, di odio razzista e revanscismo fascista. Sono stati undici mesi d’inettitudine, corruzione e abbandono della popolazione in mezzo alla pandemia.
Il popolo ha provato sulla propria pelle ciò che significa il ritorno al potere dell’aristocrazia boliviana e delle forze politiche tradizionali sottomesse agli interessi di Washington. Ma il popolo non si è arreso, ha aspettato pazientemente il suo momento e, soltanto undici mesi dopo la rottura istituzionale, ha sconfitto i golpisti alle urne. Gli ha dato uno schiaffo tremendo e ha aperto la strada a nuovi scenari nel paese.
Di questo e molto altro parliamo col giovane giornalista e prossimo master in studi latinoamericani, Andrés Velasco Santi.
Ti aspettavi una vittoria così schiacciante del candidato del Mas?
Effettivamente è stata una sorpresa. Avevamo fatto una valutazione ponderata di tutti i sondaggi realizzati a partire da febbraio fino alla prima settimana d’ottobre. Negli ultimi sei, il candidato del Mas era tra il 42% e il 46%. Dalle urne è uscito però un altro verdetto e cioè una vittoria per maggioranza semplice (molto simile alla prima di Evo Morales nel 2005 ndr.) e un recupero inaspettato di una quantità importante di voti.
Oltre a un cambiamento di linea nell’articolazione politica, mi sembra che il Mas abbia trovato una gran coesione non tanto per la leadership di una persona, bensì per il progetto politico che ha stabilito per la Bolivia.
– Quali sono gli elementi che hanno portato a questo risultato?
– Ci sono vari fattori sorti l’anno scorso in seguito alla rottura dell’ordine istituzionale. La gestione economica e della pandemia, unitamente alle politiche di prestiti e indebitamento pubblico, è stata disastrosa. Ciò ha messo in evidenza che la gestione economica sotto la precedente direzione del Mas era la più efficace: non soltanto non danneggiava la sovranità economica, ma assicurava una distribuzione più equa della ricchezza.
Un altro punto nodale è la questione socioculturale e il ritorno del neoconservatorismo. Il colpo di stato ha provocato una decisa sterzata verso il nazionalismo più estremo, l’anti-sinistrismo, l’intolleranza, con una logica che è propria del neoliberismo selvaggio. Inoltre ha generato un’eccessiva militarizzazione della società, che si è sommata alla perdita assoluta di fiducia verso l’istituzione della polizia.
Analogamente, hanno tentato di rimuovere lo Stato plurinazionale, rimpiazzandolo col vecchio repubblicanesimo e negando una realtà incontrovertibile in cui i popoli indigeni sono parte integrate dello stato e del potere.
Nel corso degli ultimi 14 anni, il conservatorismo boliviano non è riuscito neppure a creare un progetto politico e una struttura sufficientemente forte da affrontare con successo un apparato tanto radicato com’è quello del Mas.
In tal senso la gestione di Jeanine Añez ha dimostrato chiaramente l’inettitudine di un blocco di potere senza progetto. Il tentativo di distruggere il Mas è fallito miseramente e la persecuzione ha finito per mostrare la logica autoritaria e tirannica di questo governo di fatto, soprattutto del ministro dell’Interno, Arturo Murillo.
Mio padre fu esiliato in sei occasioni, i miei zii anche. Mai avrei pensato di rivivere quelle epoche. L’80% dei miei amici è finito in esilio e cinque di loro sono accusati di sedizione e terrorismo per attivismo digitale. Il revanscismo è stato molto forte, sono persino arrivati a demonizzare e disarticolare la Scuola di comando antimperialista per ufficiali delle Forze armate [3].
Tutto questo odio e questa campagna di discredito hanno logorato la gestione del governo transitorio.
Chi sono gli sconfitti di queste elezioni?
A livello nazionale sono le oligarchie regionali, gli aristocratici dell’oriente boliviano, coloro che hanno una visione estremamente anacronistica del nazionalismo, i segmenti asociali di quella classe medio-alta razzista che pensava di poter sottomettere i popoli indigeni per puro capriccio. Sono coloro che organizzarono il complotto dell’anno scorso sotto direttive brasiliane.
In definitiva, non sono riusciti a comprendere la politica su cui è fondato il nostro paese, ossia la diversità culturale, la parte nazionale popolare, che è stata completamente rimossa da tutte le proposte elettorali formulate dai movimenti conservatori per queste elezioni.
E a livello internazionale?
La ‘cricca’ del Gruppo di Lima, la logica imperialistica brasiliana che va a braccetto con quella statunitense. Ricordiamo che durante il colpo di stato si tennero varie riunioni per perfezionare la strategia golpista e i partecipanti furono: la chiesa cattolica, l’ambasciatore del Brasile, l’incaricato d’affari degli Stati Uniti e i partiti conservatori della Bolivia. Sono loro gli sconfitti e i bocciati di domenica scorsa.
Quali sono le principali sfide del nuovo governo del Mas?
Nella retorica del governo interino (de facto) vigeva la prassi di demonizzare il Mas e nel corso di quest’anno il razzismo è ricomparso nella società. In questo senso il tema dell’unità, dell’integrazione, della riconciliazione, di emendare errori, sarà l’asse centrale su cui Lucho (Luis Arce) sta articolando il suo discorso e sembra anticipare quella che sarà una riforma della linea politica del Mas.
Oltretutto le sfide saranno immense, a partire dalla crisi economica che affronta la Bolivia, tanto per la pandemia, quanto per l’enorme indebitamento contratto dal governo interino (de facto) con gli organismi finanziari internazionali. Per questo motivo il presidente eletto (che assumerà l’incarico prima del 15 novembre) ha già annunciato come prima misura l’assegnazione del bonus contro la fame.
I popoli indigeni sono stati molto colpiti dalla pandemia. Molti dei leader si sono ammalati e ci sarà un ricambio generazionale. I movimenti sociali si stanno riorganizzando in tal senso ed entreranno in una nuova fase, un nuovo sistema di consenso, un nuovo progetto di Stato, con nuovi temi e nuove richieste.
Senza dubbio sarà uno dei governi più difficili per il Mas.
Che ne sarà dei vertici delle Forze armate e della Polizia che hanno avuto un ruolo diretto nel colpo di stato?
È un tema molto delicato. Tutti quei militari che hanno responsabilità nei massacri dello scorso anno e in crimini di lesa umanità devono essere processati. Lo stesso si dovrà fare con chi è stato promosso di grado mediante decreto supremo, violando in questo modo la Costituzione che stabilisce debba esserci l’approvazione dell’Assemblea legislativa plurinazionale.
Infine abbiamo un corpo di polizia completamente screditato, che ha avuto un ruolo fondamentale nel colpo di stato e che la popolazione vede come un ente disposto a vendersi al miglior offerente. O si ristruttura totalmente a partire dai suoi vertici o si scioglie e si fonda una nuova polizia. Questo paese ha bisogno di riorganizzarsi e prendere slancio per affrontare la sfida più grande: un processo di riconciliazione in mezzo a una crisi post-pandemica.
Riconciliazione che non significa impunità…
Per nulla. Non ci sarà un atteggiamento revanscista, ma i colpevoli di reati verranno giudicati e condannati. Sarà un processo molto trasparente, in cui si potrà dimostrare chi ha partecipato al colpo di stato e quali crimini ha commesso.
E per finire, che impatto avrà in America latina la sconfitta del golpe in Bolivia ?
In America Latina è in atto una regressione dei processi anti-latinoamericanisti e del pensiero conservatore. Lo abbiamo visto con le elezioni in Argentina e Messico, con le proteste in Cile, dove si è riusciti a far vacillare lo schema conservatore più profondo che è la costituzione pinochetista. Il prossimo mese ci saranno elezioni municipali in Brasile e Venezuela, c’è il referendum in Cile e il prossimo anno ci sono elezioni generali in Ecuador[4]. Si sta puntando ad aprire un nuovo ciclo di governi progressisti nel continente e quanto è avvenuto domenica in Bolivia s’inquadra in questo processo graduale.
Note
[1] citazione della canzone di Piero ‘Para el pueblo lo que es del pueblo’
[2] con il 97% dei voti scrutinati, Arce ottiene il 54,6% e Mesa il 29%. Il MAS avrà anche la maggioranza nelle due Camere dell’Assemblea legislativa plurinazionale
[3] sorta nel 2015 ad opera del presidente Evo Morales aveva l’obiettivo di ristabilire il ruolo costituzionale, popolare e democratico delle Forze armate e di prepararle ideologicamente alla difesa della patria e la dignità nazionale.
[4] oltre a quelle citate, ci saranno elezioni generali in Cile, Honduras, Nicaragua e Perú, legislative/municipali in Argentina, El Salvador e statali in Messico
Traduzione: Adelina Bottero