Il periodo di lockdown ha avuto anche una funzione di “incubatrice”. Molti e molte di noi si sono fatti parecchie domande, hanno cercato ansiosamente risposte, hanno messo insieme pezzi di conoscenze, hanno maturato riflessioni e forse qualcuno ha anche fatto delle scelte.
Tutto ciò ha anche creato dei nuovi coaguli umani, dei nuclei di resistenza. Si sono creati nuovi gruppi, riunioni on line, dove non sapevi se quello che parlava viveva a 200 metri da casa tua o era bloccato a Nizza. Nuovi incroci, nuovi scambi.
Così si è formato un vivace gruppo composto prevalentemente da donne che hanno detto: “Ma vogliamo parlare di allevamenti intensivi?” Anzi, hanno detto: “Dobbiamo fare qualcosa contro questa vergogna!” Gli allevamenti intensivi sono parte integrante del problema, di quella realtà a cui non vogliamo tornare. Trattare esseri viventi con crudeltà inenarrabili, a scopo di profitto. Mangiare, noi, i frutti di una sofferenza bestiale.
E così le più esperte hanno passato materiale alle meno esperte, si sono documentate, hanno cercato contatti, scoprendo che tanti da anni si battono per questo, ma una voce in più può aiutare. Qui c’è una lotta contro il tempo, c’è da saltare sul piatto della bilancia con tutto il peso che si ha. Si tratta di mettere insieme, far circolare idee, immagini, far prendere coscienza e prima o poi passare all’azione, perché le parole sono importanti, ma non bastano. Anche questo gruppo è cosciente di far parte di un’onda che avrà urgente bisogno di raggiungere la massa critica perché, come dicono in Spagna, si riesca a voltare la tortilla.
Da qui la costruzione del sito www.ricetteperlaterra.org. Un nome che vogliono sia “inclusivo”. I numeri, le informazioni, i video, i contatti, li troverete lì dentro. Visitatelo, come si fa con le mamme e con i loro neonati, fatelo conoscere.