Il referendum impone una scelta secca: o sì, o no. Non ci sono le mezze misure, i distinguo, le sfumature. La decisione cui siamo chiamati riguarda solo il numero, non la qualità, non le mansioni, non il modo di eleggere deputati e senatori. Se vuoi tagliarne circa un terzo, voti Sì; se vuoi mantenere il numero stabilito dalla Costituzione, voti No. O 945 parlamentari, o solo 600.
Noi abbiamo un’idea più complessa e articolata della politica, della rappresentanza, delle funzioni istituzionali, del rapporto tra elettori ed eletti. Ci piacerebbe discutere di questo nella campagna referendaria, ma la proposta di riforma costituzionale si è concentrata solo sul taglio lineare e numerico dei parlamentari, per ridurne i costi, per snellire le camere, per sveltire i processi legislativi. Una concessione ad un diffuso sentimento antipolitico “contro la casta”.
I principi costituzionali che riguardano l’ordinamento della Repubblica (articoli 55-69) a noi paiono ancora validi, anche nel rapporto numerico elettori-eletti stabilito. Sappiamo che la democrazia è sempre perfettibile, e che molti sono i limiti che vanno superati. Per orientarci in questo dibattito, ci piace richiamare le idee-cardine del pensiero nonviolento di Aldo Capitini sui temi della democrazia, del potere di tutti, dell’omnicrazia, che costituiscono ancor oggi un riferimento fondamentale, un orizzonte ampio di ispirazione.
La necessità di un rinnovamento era già presente in Capitini: “C’è un’esigenza reale e diffusa di una nuova strutturazione del potere, sul passaggio cioè del potere dalle mani di pochi, che oggi lo detengono, alle mani dei molti che oggi ne sono privi“. Questa tensione, naturalmente, porta ad una sensibilità estrema alla questione delle minoranze: “La democrazia attuale attribuisce alla maggioranza un potere che qualche volta è eccessivo rispetto ai diritti delle minoranze“.
Un allargamento del potere dai pochi ai molti, e poi a tutti, è decisivo nel pensiero capitiniano, nella sua idea di ampliare la democrazia, fino a trasformarla in omnicrazia, potere di tutti, appunto: “L’omnicrazia progredisce tutte le volte che il potere di uno si esplica strettamente connesso con il potere di ogni altro“. La riflessione di Capitini si è concentrata anche, e forse soprattutto, sugli strumenti di lavoro: “Per trasformare la democrazia in omnicrazia vi sono due elementi: le assemblee e l’opinione pubblica“. Ed è proprio sul tema dell’assemblea (dunque anche l’assemblea legislativa) che Capitini ha insistito molto: “Non sono d’accordo con i distruttori del sistema rappresentativo; bisogna essere vissuti sotto una dittatura per capire che il libero funzionamento della rappresentanza parlamentare è qualche cosa di positivo, pur con i suoi difetti (…). Considero utile il Parlamento, ma mi preme dire che esso ha bisogno di essere integrato da moltissimi centri sociali, assemblee deliberanti o consultive in tutte le periferie. Questa integrazione è dal basso“. Infatti “Il controllo dal basso può essere esercitato solo da organismi democratici eletti (…) “Il Parlamento viene dal basso, per la sua derivazione dall’elezione“.
C’è quindi la necessità di rinforzare il Parlamento, non di mutilarlo: “Nell’ipotesi migliore il centro formato da chi è persuaso dell’apertura nonviolenta si presenta come integrazione delle istituzioni”. Integrare, non tagliare. Non distruggere quel che c’è ma migliorarlo per il bene comune.
Con queste poche piste di lavoro non vogliamo far dire a Capitini quel che non ha detto. Vogliamo solo offrire alcuni spunti di riflessione, perché ognuno, in coscienza, possa farsi un’opinione da tradurre poi in una scelta, nella ricerca della verità.
P.S. Le citazioni di Aldo Capitini sono tratte dal libro Il potere di tutti (La Nuova Italia Ed., 1969)