Riportiamo di seguito l’intervista gentilmente rilasciata dal prof. Enzo Soresi, quale prezioso contributo al dibattito in corso sul grande tema del Covid 19 e delle sue terapie.
Il prof. Soresi, primario emerito di Pneumologia all’Ospedale di Niguarda a Milano, ci racconta la sua esperienza di medico, ammalatosi nei mesi scorsi proprio di Covid 19, da lui denominata “tempesta biologica”, condividendo con altri pazienti la difficile battaglia. E’ quindi per noi di grande interesse il suo punto di vista che mette in luce la necessità di una terapia adeguata sin dai primi sintomi della malattia.
Pneumologo, oncologo e studioso di neuroscienze ha vissuto sul campo il mistero della relazione mente – corpo – ambiente. Il Prof. Soresi è un convinto sostenitore dell’importanza della personalizzazione della cura e della riscoperta di una medicina integrata, da lui descritta in numerosi libri. Per approfondimenti: https://neurobioblog.com/about/
Ringraziamo il Prof. Soresi per averci dato molti spunti di riflessione e di confronto, obiettivi e appassionati, sul tema della cura al Covid19 e, più in generale, su come ristabilire un buon equilibrio tra malattia e processo di cura della persona vista nella sua globalità e individualità.
Ci parli della sua esperienza di medico malato di Covid?
Il 26 marzo mentre mi trovavo nella casa di campagna vicino a Como, con mia moglie, in pieno benessere, sono stato assalito da brividi intensi con febbre a 39 gradi. Nei giorni precedenti avevo trattato con il protocollo del prof. Didier Raoult, basato su idrossiclorochina (HCQ) 200 mg tre volte al giorno per 7 giorni più azitromicina (AZ) 600 mg al giorno per tre giorni consecutivi, alcuni pazienti di età tra i 60 e i 70 anni, tutti sfebbrati entro 4-6 giorni dall’inizio della terapia. Forte di questi successi clinici iniziai subito ad assumere HCQ ed AZ alle dosi previste, associando già dal secondo giorno calcieparina 4.000 unità sottocute nell’addome. Poiché dopo 7 giorni la febbre non regrediva, se non dopo l’assunzione di 500 mg di paracetamolo (Tachipirina), decisi il ricovero presso l’Ospedale San Gerardo di Monza. Al P.S. risultai positivo al tampone nasale per il Covid 19 e con una radiografia del torace si evidenziò una iniziale infiammazione polmonare. Fui ricoverato in geriatria dove rimasi per 48 ore senza alcuna terapia salvo il paracetamolo e l’ossigeno. Trasferito presso il reparto di malattie infettive dello stesso ospedale, iniziai, in decima giornata dall’esordio di malattia, il cortisone endovena alle dosi di 40 mg di metilprednisolone al giorno. Il senso di guarigione fu pressoché immediato con febbre in remissione e sensazione di benessere come non avevo dall’inizio della malattia. Il cortisone in vena fu progressivamente ridotto alle dosi di 20 mg al giorno, così come l’ossigeno che mi veniva somministrato con la maschera Venturi passò da 4 a 2 litri al minuto. Fui quindi dimesso il giorno di Pasqua con prescrizione di prednisone 25 mg al giorno per una settimana e quindi 12,5 mg al giorno per un’altra settimana. Rientrato al domicilio mi resi conto di come in 15 giorni di malattia avessi perso così tanta massa muscolare da riuscire a fatica a salire il gradino di una scala. Iniziai allora una alimentazione ricca di proteine animali e vegetali. Nell’arco di due settimane avevo recuperato 3 kg dei 6 persi riuscendo a fare senza fatica 2 piani di scale.1
Ritengo che sono potuto uscire indenne da questa brutta avventura , pur avendo compiuto quest’anno 82 anni, perché ho ridotto al minimo nel mio organismo l’infiammazione sistemica in questi ultimi 10 anni, periodo in cui ho modificato alimentazione e stile di vita alzando il livello di benessere psico-fisico.
Nel mio ultimo libro “Come ringiovanire invecchiando“, edito nel dicembre 2019 da UTET, spiego come all’età di 73 anni, grazie ad un esame particolare sugli AGEs (advanced glication and products), mi resi conto di avere una sindrome metabolica, ossia una condizione di prediabete dovuta ad una non corretta alimentazione ed al sovrappeso. Mentre i valori della glicemia basale e dell’emoglobina glicata erano nella norma, il dosaggio della insulinemia era ai range massimi. In questi 10 anni ho quindi seguito una alimentazione antinfiammatoria (dieta mediterranea in cui ho sostituito parte dei carboidrati con i cereali integrali) e ho potenziato l’attività fisica con almeno trenta minuti di camminata al giorno. L’esito è stato un rientro del valore della insulinemia ai range minimi, una scomparsa dei dolori articolari, un sonno più riposato e una migliore concentrazione mentale.
Questo assetto biologico, con l’infiammazione sistemica ridotta al minimo, mi ha consentito di non esplodere con la miccia infiammatoria indotta dal Covid 19.
La sua scelta di assumere Idrossiclorochina nei primi giorni non è stata vincente. Da cosa dipendeva, secondo lei? Ci voleva anche il cortisone?
I motivi per cui io non abbia risposto alla terapia con idrossiclorochina ritengo siano legati all’alta carica virale di cui poco si è parlato in questa epidemia. Solo da pochi giorni si sta cercando di capire, attraverso il tampone nasale, la carica virale dei contagiati al fine di meglio comprendere la loro capacità di diffusione della malattia. Personalmente, come pneumologo ospedaliero, i casi di polmonite virale che ho trattato li ho sempre affrontati con il cortisone a dosi elevate ottenendo buoni risultati per cui, nel mio caso, la somministrazione di cortisone al domicilio al sesto giorno di malattia avrebbe potuto molto probabilmente evitarmi il ricovero.
In generale, cosa pensa della terapia con Idrossiclorochina e Azitromicina ed Eparina nella prima fase di malattia?
Come clinico fin dagli anni ’70 ho visitato pazienti a cui il reumatologo aveva prescritto, a scopo antinfiammatorio nella artrite reumatoide, idrossiclorochina in terapia cronica al dosaggio di 200 o 400 mg al giorno associato o meno al cortisone ed in nessun caso ho notato problematiche cardiache né intolleranze. Nella infezione da Covid 19 ritengo molto utile la prescrizione di HCQ nei primi 6 giorni di malattia, come ho fatto con alcuni pazienti con successo. E’ comunque importante eseguire un esame ECG in terza o quarta giornata potendo il virus stesso essere responsabile di sofferenza cardiaca.
Quali sono per lei le giuste misure di protezione e distanziamento fra le persone?
Ritengo corretto verso questa pandemia mantenere l’uso della mascherina sui mezzi pubblici e nei luoghi chiusi ed un distanziamento sociale adeguato fino a che non sarà chiaro se veramente questa riduzione di malattia nei contagiati verrà confermata dopo la ripresa della scuola e della vita sociale.
Voci autorevoli nel campo della infettivologia stanno minimizzando il rischio di malattia in questi ultimi mesi e anche la quota di pazienti in rianimazione è ridotta al minimo.
Cosa si sarebbe dovuto fare appena si scoprì che era in corso una vera epidemia?
Nel 1968 quando, come assistente in anatomia patologica, affrontai l’epidemia di influenza di Hong Kong ci furono in pochi mesi in Italia 22.000 morti, non ci fu alcuna lamentela in quanto tutti i pazienti venivano regolarmente ricoverati e le morti in prevalenza erano causate da polmoniti batteriche e colpivano pazienti diabetici, cardiopatici e immunodepressi.
Non c’è stata attenzione all’allarme di metà febbraio che nessuno ha preso in considerazione, per cui tutto è scattato in maniera tardiva.
Nel caso del Covid 19 è mancata completamente l’assistenza e la terapia domiciliare nonché la tempestività del ricovero in ambito ospedaliero dei pazienti a rischio che non sfebbravano entro pochi giorni. Questo ha portato ad un eccesso di ricoveri in terapia intensiva di pazienti già con avanzati danni polmonari sia per cause infiammatorie che emboliche. A tutto questo va aggiunta l’impossibilità da parte dei parenti di potere assistere i propri cari.
Inoltre non sono state date le corrette indicazioni ai medici di base per affrontare adeguatamente i primi giorni di malattia con un opportuno protocollo terapeutico.
Cosa pensa delle autopsie che sono state ritardate?
Nell’influenza di Hong Kong avevamo fatto le autopsie su tutti pazienti deceduti, scoprendo fin da subito le reali cause di morte. Anche in questa epidemia, con le dovute precauzioni, sarebbe stato estremamente utile mettere a fuoco i vari fattori eziologici responsabili della morte dei pazienti. Queste informazioni precoci sarebbero state estremamente utili per un approccio terapeutico più adeguato e tempestivo.
Quanto può aver inciso la paura della malattia e l’isolamento sul buon funzionamento del nostro sistema immunitario?
E’ noto come lo stress psichico sia di per sé fonte di guai per il nostro organismo. Nel mio libro “Il cervello anarchico“ pubblicato con UTET nel 2006 racconto alcuni casi clinici che spiegano la relazione fra stress e sistema immunitario.
Come clinico, in oltre 50 anni di professione, ho trattato molti casi e, da qualche anno, quando mi trovo di fronte a pazienti stressati, suggerisco metodiche di rilassamento quale mindfullness o autoipnosi o, se giovani, li invito a fare sport. Si conferma quindi l’importanza dello stile di vita per controllare adeguatamente il nostro Io biologico, difficilmente gestibile con il nostro Io neurale cioè il nostro stato cosciente, quando siamo sotto stress. Alimentazione anti infiammatoria, attività fisica moderata, controllo dello stress sono i cardini per rimanere in buona salute. Partendo da questi presupposti saremo in grado di affrontare con maggiore serenità anche malattie subdole come quella che ha colpito la popolazione mondiale in questi ultimi mesi.
Oltre ai farmaci della prima e seconda fase, quanto può essere utile assumere Vitamina C e D o altri integratori?
Da sempre suggerisco ai miei pazienti di bere al mattino, durante la prima colazione, una spremuta di arance rosse, ricche di vitamina C e polifenoli. E’ la migliore terapia antiossidante che si possa seguire a conferma di quanto il cibo possa essere fondamentale per rimanere in buona salute.2
Per quanto riguarda la vitamina D, a fronte del successo nel caso di osteopenia di un familiare trattato e curato con le dosi di colicalciferolo (VIT.D3) secondo il protocollo anglosassone, mantengo tutti i miei pazienti in un range ematico superiore ai 50 microgrammi di vitamina D. Quanto questo possa essere utile a livello immunitario è confermato da numerose ricerche fra cui la più importante quella riportata dalla Università di Copenhagen (Nature Immunology 2012) riferita al potenziamento con la vitamina D dei linfociti T, cellule determinanti per le nostre difese contro virus e batteri.
Qualcuno sostiene (sul suo blog: https://neurobioblog.com/2020/03/31/mio-parere-sul-plasma-da-guariti-nei-malati-covid-19/) che il plasma iperimmune non è ancora stato del tutto validato nelle fasi avanzate della malattia da Covid 19, mentre si ipotizza un suo uso preventivo per i sanitari che vengono a contatto con pazienti Covid. Cosa ne pensa?
Nel caso del Covid 19 si tratta di sfruttare anticorpi prodotti da pazienti ammalati e guariti per infonderli in pazienti malati in stadi da definire. Vi è uno studio in corso che coinvolge circa 60 centri in Italia e che prevede il trattamento in malati abbastanza gravi. Personalmente lo vedrei anche come un buon trattamento di prevenzione per tutti i sanitari esposti al rischio Covid 19 in quanto privo di rischi, economico ed attuabile in ambito ospedaliero con tempestività. I centri AVIS in tutta Italia si sono già messi a disposizione per la raccolta del plasma dei pazienti guariti, di età non superiore ai 65 anni, per far fronte a una eventuale nuova ondata.
Questa è davvero una notizia!
Grazie Prof. Soresi per il suo contributo.
Dott.ssa Maria Antonietta Bàlzola (medico) – Alessandra Curreli
(Movimento IppocrateOrg)
1 Il libro di Soresi Mitocondrio mon amour con Pierangelo Garzia, UTET 2015, sviluppa il tema dell’importanza di fare attività fisica per il benessere mitocondriale e personalmente, in questa drammatica occasione, sottolinea l’autore, “ho avuto la conferma di ciò che avevo scritto allora”.
2 Per approfondire: Ristoceutica di Vincenzo Lionetti, medico anestesista, edito da Mondadori. Scoprirete come, mangiando un particolare tipo di pasta potrete migliorare la vostra circolazione coronarica oppure mangiando uova prodotte da galline nutrite con determinati mangimi potrete assumere omega-3 utili al vostro cervello.