A volte è sorprendente constatare che non abbiamo memoria. Sta accadendo anche nel dibattito sul referendum costituzionale per la riduzione del numero dei parlamentari. Qual è il rapporto ideale tra deputati e abitanti? A questa domanda hanno già dato una risposta in Assemblea Costituente. È interessante rivedere come si è sviluppato il confronto e qual è stata la decisione finale.
Nella seduta di mercoledì 18 settembre 1946 la seconda Sottocommissione per la Costituzione, presieduta da Umberto Terracini (comunista), affronta la questione del numero dei deputati. Il relatore, Giovanni Conti (repubblicano), propone di eleggere un deputato ogni 150 mila abitanti. Giuseppe Cappi (democristiano) propone 1 deputato ogni 100 mila abitanti. A seguire interviene Giuseppe Fuschini (anch’esso democristiano), sostenendo che “un deputato non riuscirà mai a soddisfare le necessità di una massa di 150 mila abitanti; sarebbe quindi opportuno fissare un deputato per non più di 80 mila abitanti”. Nella Sottocommisione si apre un’ampia discussione e ci appresta a votare sulle varie proposte. A quel punto, interviene ancora il relatore Giovanni Conti, “disposto a ridurre la cifra da 150 a 125 mila”, ma non trovando alcun appoggio negli altri membri della Sottocommisione, alla fine “rinuncia anche alla proposta relativa all’elezione di un deputato ogni 125 mila abitanti”. Di conseguenza, il presidente Umberto Terracini mette ai voti soltanto le altre due proposte: prevale con 18 voti il rapporto di un deputato ogni 100 mila abitanti, mentre la proposta di uno ogni 80 mila raccoglie soltanto 8 voti.
Nella seduta di lunedì 27 gennaio 1947 si riunisce l’intera Commissione per la Costituzione, presieduta da Meuccio Riuni (indipendente), che deve votare la proposta emersa dalla Sottocommissione, con l’indicazione di eleggere 1 deputato ogni 100 mila abitanti. Giuseppe Fuschini ripropone di stabilire 1 deputato ogni 80 mila abitanti. Di conseguenza Giovanni Conti riesuma la proposta di 1 ogni 150 mila. A quel punto interviene Umberto Terracini, che appoggia la tesi di Giuseppe Fuschini e aggiunge: “le argomentazioni contrarie esposte dall’onorevole Conti in realtà sembra che riflettano certi sentimenti di ostilità, non preconcetta, ma abilmente suscitata fra le masse popolari contro gli organi rappresentativi nel corso delle esperienze che non risalgono soltanto al fascismo, ma assai prima, quando lo scopo fondamentale delle forze antiprogressiste era la esautorazione degli organi rappresentativi. Quanto alle spese, ancora oggi non v’è giornale conservatore o reazionario che non tratti questo argomento così debole e facilone. Anche se i rappresentanti eletti nelle varie Camere dovessero costare qualche centinaio di milioni di più, si tenga conto che di fronte ad un bilancio statale che è di centinaia di miliardi, l’inconveniente non sarebbe tale da rinunciare ai vantaggi della rappresentanza”. Infine, interviene Giuseppe Cappi, che nella Sottocommissione aveva proposto un deputato ogni 100 mila, proponendo un compromesso: un deputato ogni 90 mila abitanti. Il presidente Meuccio Ruini passa alle votazioni e la Commissione per Costituzione approva la modifica proposta da Giuseppe Fuschini: un deputato ogni 80 mila abitanti, come poi risulterà nel testo finale delle Costituzione, approvata il 22 dicembre e promulgata il 27 dicembre 1947.
Attualmente i deputati sono 630 con una popolazione superiore a 60 milioni di persone: un rapporto di un deputato ogni 96 mila abitanti. Il progetto di revisione costituzionale oggetto del referendum, ridurrebbe il numero dei deputati a 400, portando il rapporto a un deputato ogni 151 mila abitanti. Dalla cronaca delle sedute dell’Assemblea Costituente si può cogliere quanto l’attuale proposta si allontani dalle intenzioni di chi ha redatto il testo della Carta Costituzionale. Ovviamente, oggi il contesto è mutato e cambiare è legittimo. L’importante è essere consapevoli di quanto è avvenuto in passato e della direzione che si vuole intraprendere per il futuro.