Il 9 settembre sull’isola greca di Lesbo si è incendiato il campo rifugiati di Moria. Nel centro più grande d’Europa vivevano circa 13 mila persone. Serdar Degirmencioglu, professore turco in esilio, si trova da settimane sull’isola e ci racconta ciò ch’è avvenuto. Questo campo – ci dice – è il risultato dell’accordo sui migranti firmato tra UE e Ankara.
“In questo momento mi trovo nel nord-est dell’isola, in un paesino che si chiama Skalaskamia. L’incendio è avvenuto di notte e possiamo dire che è stato apocalittico e che tutto il campo è bruciato. Per quanto so io, finora non è morto nessuno“.
Secondo Degirmencioglu la motivazione dell’incendio non è molto chiara e non c’è nessuna spiegazione ufficiale. “Alcune fonti dicono che tutto è stato scatenato da una piccola rivolta generata dal fatto che i reclusi avevano paura di morire a causa della pandemia. Nelle settimane precedenti, infatti, erano stati identificati i primi casi. Quindi è possibile che siano stati gli stessi rifugiati a incendiare il campo. Altre fonti dicono invece che l’incendio è stato causato dai lacrimogeni sparati dalla polizia durante la stessa rivolta. Quindi sarebbero state le forze dell’ordine ad accendere il fuoco“.
Degirmencioglu sottolinea che la zona è blindata, quindi non è dato sapere se l’incendio sia stato fermato del tutto o meno, anche perché il giorno dopo si è verificato un secondo incendio. Inoltre racconta che i rifugiati sono scappati dal campo e sono sparpagliati sull’isola “Dormono sulle strade, nei parcheggi dei supermercati, nei parchi oppure sulle colline“.
La risposta degli apparati dello Stato sembra essere stata abbastanza disumana: “La polizia costruisce barricate per impedire ai rifugiati di raggiungere il centro dell’isola. Non cercavano di creare una zona sicura per accogliere i rifugiati ma di fermarli. Ovviamente questo è dovuto anche al fatto che gli elementi destroidi e fascisti dell’isola stiano diffondendo tra gli abitanti la paura che con l’arrivo dei rifugiati potrebbe diffondersi il virus“. Degirmencioglu racconta che le ONG presenti sull’isola hanno definito “inaccettabile” il comportamento del governo centrale, che invece di mandare degli aiuti manda i poliziotti. Nel frattempo Atene ha dichiarato a Lesbo lo stato di emergenza per 4 mesi. Pertanto la scelta principale di Atene non sembra essere quella di soccorrere i rifugiati bensì quella di trattarli come una minaccia per l’isola.
Non è la prima volta che l’isola finisce sui giornali. Questa piccola perla che si trova sulle acque dell’Egeo è diventata famosa, negli ultimi anni, grazie al suo gigantesco campo di rifugiati e alle sue condizioni estremamente precarie.
“La Grecia negli ultimi anni è stata trattata come un cestino dei rifiuti. L’Unione Europea, dopo il 2015, ha deciso che non tutti potevano attraversare i confini e quelli che ci riuscivano dovevano essere trattenuti nei campi più vicini al confine. Firmando l’accordo del 2016 con il governo presente in Turchia, l’UE ha deciso di affidare al regime di Erdogan la gestione dei rifugiati, dandogli milioni di Euro. Ovviamente in questi anni le persone hanno continuato a viaggiare e ad arrivare ai confini dell’Europa. Pertanto Lesbo è diventata un cestino in cui vengono raccolti i rifugiati. In origine il piccolo campo di Moria conteneva circa 3 mila persone, ora invece è diventato 4 volte più grande“.
Degirmencioglu specifica che il caso del campo di Moria è l’esempio del plateale fallimento delle politiche migratorie dell’Unione Europea. A suo giudizio questa situazione drammatica è senz’altro il risultato dell’accordo firmato tra il governo turco e l’UE.
“Le persone che vivono sull’isola inizialmente erano solidali con i rifugiati. Tuttavia, con il passare del tempo le cose sono cambiate. Prima di tutto queste persone non sono state ascoltate quando Atene ha deciso di aprire questo campo. Poi il modo in cui è stato gestito in tutti in questi anni e le infiltrazioni di elementi estremisti sull’isola hanno fatto sì che aumentasse l’ostilità nei confronti dei rifugiati. Oggi la pandemia colpisce fortemente anche l’economia dell’isola e diversi abitanti, erroneamente, danno colpa ai rifugiati“.
Secondo Degirmencioglu, sia all’interno dell’isola che nella capitale molti sperano che il campo non venga più ricostruito e che i rifugiati vengano trasferiti sulla terraferma per ricevere un trattamento migliore. “Penso che i maltrattamenti nel campo Moria fossero finalizzati anche a una politica che cercava consapevolmente di mettere paura ai rifugiati, tanto da spingerli a rinunciare all’idea di andare in Europa. Ora, con la distruzione del campo, sembra che anche questa politica di deterioramento si sia conclusa. L’attuale governo di destra non avrebbe mai creato soluzioni per mettere fine a questo disagio“.
Nelle prime ore dell’incendio circa 400 minori sono stati trasferiti ad Atene e, sempre secondo Degirmencioglu, il piano dei prossimi giorni è quello di trasferire via nave nel resto del paese tutti i rifugiati.