Buongiorno Jean. Dalla tua pagina Facebook hai documentato, con video e foto, le operazioni di sgombero del campo di via Germagnano per restituire una dimensione umana a quello che l’opinione comune considera solo un problema di ordine pubblico. Ci interessava un punto di vista vicino agli sgomberati, punto di vista totalmente assente nelle cronache di questi giorni.
Indicativamente, quante famiglie vivevano nel campo di via Germagnano ed in quanto tempo sono state sgomberate?
Il campo di via Germagnano si è riempito tantissimo dopo lo sgombero nel 2015 del campo di Lungo Stura Lazio perché le persone non sapevano dove andare. Nel 2016 ci saranno state lì 600 persone solo nella parte chiamata del secondo ponte. Successivamente hanno fatto il sequestro dell’area per sgomberarla e questa situazione si è protratta fino al 2020. In questo periodo gli abitanti del campo sono rimasti sempre sotto stress e molti si sono trovati da soli dei posti in campi più piccoli, invisibili. Si sono così formati dei campi più piccoli e invisibili perché la gente andava via per la paura di poter essere sgomberata da un giorno all’altro.
Per svuotare ulteriormente il campo, la polizia locale lo controllava molto spesso e se qualche baracca era vuota, anche solo temporaneamente, la sigillavano e la buttavano giù. Tanti sono ritornati al campo dopo un breve spostamento e sono rimasti senza baracca. Precisiamo che la gente si è spostata in campi più piccoli e non sono andati via da Torino, ma sono qui.
Alla fine, adesso ad agosto, c’erano ancora 43 famiglie nella zona del secondo ponte che sono state tutte buttate in strada con un contributo di 1000 euro e nessuna proposta abitativa; alcuni di loro sono in Italia da venti anni ed hanno figli nati in Italia e sono ancora senza carta di identità e tessera sanitaria.
Ricordo che chi nel 2015 è riuscito ad avere una casa con il progetto “La città possibile”[1] non ha mai ottenuto la residenza: però dovevano pagare gli affitti e le bollette e, dato che non avevano documenti né lavoro, dopo un po’ hanno perso la casa. In questo modo il Comune ha voluto dimostrare di nuovo ai cittadini di Torino che i rom non si possono integrare.
Le famiglie rimaste sono state sgomberate tutte in una settimana da venerdì 14 agosto fino al giorno 21 agosto. In particolare, hanno spaccato nei giorni 14, 18, 19, 20, 21.
Bisogna anche considerare che il decreto legge per l’emergenza Covid-19 del maggio scorso blocca tutti gli sgomberi e gli sfratti fino al 31 dicembre 2020 quindi lo sgombero di via Germagnano è una forzatura.
Alle famiglie che, di fatto, si sono trovate senza casa sono state proposte delle soluzioni abitative o qualche forma di indennizzo? Dove si sono sistemate dopo lo sgombero?
Le famiglie sono state costrette a prendere un indennizzo di 1000 euro senza che si spiegasse loro da dove arrivassero o chi li avesse proposti, ma la polizia diceva a tutti che tanto la baracca veniva spaccata lo stesso, che si accettasse[2] o meno l’indennizzo. A quelli che avevano rifiutato i soldi nel 2015 con il progetto “La città possibile” gli hanno dato di meno, 400 euro.
In via Germagnano il Comune ha voluto far credere ai cittadini torinesi che questo è un villaggio di persone inutili che devono sparire a causa della loro cultura rom. Questo è successo di nuovo in un periodo di campagna elettorale.
Queste persone sono in grado di adattarsi a tutti i modi di vita per continuare ad esistere, cercando per esempio nei bidoni materiali ferrosi, alluminio, pentole, oggetti che possono essere venduti nel mercato di cose usate di via Carcano. Così senza nessun aiuto riescono ad andare avanti. Non hanno mai chiesto soldi al Comune.
In compenso in molti hanno preso soldi sulla pelle di questa gente.
Nel 2015 Torino ha ricevuto 5 milioni di euro[3] per la “integrazione dei rom”, di questi quasi 2 milioni di euro erano solo per l’“integrazione” delle persone di Lungo Stura Lazio.
Ora le persone sono state sgomberate con 1000 euro per fare uno sgombero dolce, per giustificare che loro hanno dato qualcosa alle persone buttate in strada. Hanno obbligato a firmare dei fogli così da giustificare davanti a un eventuale processo che non hanno commesso violenza, che la gente ha accettato, tanto sono solo rom.
Nei fogli da firmare c’erano queste possibilità e queste condizioni:
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- Pagamento caparra e spese iniziali per ingresso autonomo in civile abitazione
- Sostegno economico al rientro in Romania: tale cifra copre i biglietti di viaggio o i costi con la vettura propria. Il restante risulta un supporto economico all’arrivo.
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Il dichiarante si impegna pertanto:
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- Ad abbandonare definitivamente il rifugio di fortuna n° —- ubicato del campo spontaneo denominato “Germagnano Abusivo” per consentire la demolizione contestualmente al ritiro dell’incentivo;
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- Ad abbandonare definitivamente l’area oggetto del decreto di sequestro preventivo ubicata in via Germagnano.
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Chi ha offerto questo incentivo sapeva chiaramente che chi lo riceveva non aveva né documenti né contratti di lavoro e che avrebbe cercato un nuovo campo abusivo non avendo nessun’altra alternativa. Quindi sarebbero stati obbligati ad usare questi soldi per comprare il necessario per costruire un’altra baracca. I campi a Torino esistono dagli anni ’70, siamo nel 2020 e i campi rom esistono ancora.
Ho fatto video per far vedere la verità della situazione di questa povera gente. Razzismo, poliziotti che insultano dicendo che avevano l’ordine di sgomberare, che a loro non interessa dove va la gente senza casa. Vorrei precisare che il campo di Lungo Stura Lazio è stato tra i più grandi campi d’Europa e aveva superato le 2200 persone. Lì ho iniziato a filmare tante situazioni difficili perché anche io ho vissuto lì per un periodo.
Questo si è ripetuto anche adesso, l’indifferenza nello sgombero è stata uguale. Nessuno del Comune ha cercato una soluzione o un’alternativa, hanno solo buttato in strada le persone.
Dopo lo sgombero di via Germagnano alcune famiglie si sono sistemate in un piccolo campo in via Reiss Romoli e altre sono andate in Piazza d’Armi ed in tutta Torino.
Piazza d’Armi l’hanno già sgomberata perché era troppo visibile, c’erano persone solo con le tende, non baracche, e li hanno mandati via subito. Loro vogliono che la gente rom sia invisibile.
Qualche giorno fa sono tornati i rappresentanti del Comune nell’accampamento di via Reiss Romoli: erano arrabbiati e ci hanno detto che non si doveva fare nessuna intervista dicendo che loro hanno dato 1000 euro per ricostruire un altro campo perché l’accordo firmato non diceva questo.
In questo piccolo campo è arrivata anche la polizia locale e hanno detto che sono obbligati a denunciare le persone presenti per evitare che vengano costruiti altri campi; il terreno di Reiss Romoli è abbandonato da almeno 25 anni e prima dell’arrivo delle persone sgomberate da via Germagnano vivevano lì 2 o 3 famiglie dal 2016. Non sono mai stati mandati via perché erano invisibili.
Altro tema, i minori in età scolare: c’erano nel campo minori in età scolare che frequentavano le scuole della zona? Potranno riprendere regolarmente le lezioni?
Sui bambini e la scuola bisogna dire che i genitori hanno molta paura e a volte li tengono nascosti perché a due o tre famiglie è successo che gli hanno tolto i bambini direttamente dalla scuola con diverse motivazioni, per questo hanno paura di lasciare i bambini alla scuola. Io penso che questo sia un altro modo per impedire ai bambini di studiare e avere un futuro migliore del nostro.
In questo momento quasi tutti i bambini sono stati lasciati con i nonni o con persone di fiducia per non dover assistere agli sgomberi forzati e perché i genitori non hanno la possibilità di stare in un posto civile e hanno paura che possano trovare dei motivi per togliergli i bambini. Questo è un altro modo che usano per dividere le famiglie.
Hai vissuto personalmente lo sgombero del campo di lungo Stura Lazio[4]: quali differenze hai notato in questi due sgomberi?
Io vedo solo brutalità e nessuna differenza tra i due sgomberi. In tutti e due gli sgomberi le persone sono state buttate in strada senza chiedere loro dove andranno e cosa faranno dopo 15, 20 anni di una vita crudele vissuta nel campo. Gli hanno tolto anche l’ultima speranza. Non sono mai ritornati in patria per loro volontà, sono stati obbligati con la forza, con i fogli di via, con le minacce di togliergli i bambini, inventando motivi per spaventare le persone. In questo modo sono riusciti a raggiungere il loro obiettivo.
Secondo te esiste un problema di convivenza tra persone Rom dei campi e i cittadini torinesi? Se sì perché?
Voglio precisare che le persone rom possono convivere insieme agli altri senza problemi. Per convivere con i cittadini torinesi prima di tutto si deve far capire che loro, i Rom ed i poveri, non hanno deciso da soli di fare questa vita e sono obbligati perché non hanno altra scelta. Ci sono tante persone che in Romania non hanno neanche una casa, un domicilio.
Vorrei proporre ai torinesi che non conoscono la vita di questa gente un cambio di residenza almeno per una settimana, propongo alla gente di Torino di vivere in un campo rom e alla gente rom di vivere in un appartamento. Faccio questo esempio per vedere se i torinesi si possono adattare a una vita del genere e poi voglio vedere se la pensano ancora allo stesso modo e se fanno gli stessi ragionamenti sulla cultura rom.
Vivere nei campi è difficile, ma come dici tu stesso, per chi ci vive i campi sono Casa. Cosa proporresti per superare realmente i campi rom ed in generale risolvere il problema abitativo per la parte più debole della popolazione?
La prima cosa che voglio dire è che dopo 20 anni di residenza ed anche più possiamo dire che Torino è anche la nostra città.
Per i campi rom e per la parte debole della popolazione senza casa proporrei di fare dei campi autorizzati più piccoli dove la gente è tranquilla e sa che è regolare così che anche loro possano pagare le piccole utenze. Ma questi posti non devono essere militarizzati e le persone che ci vivono non devono essere trattate e controllate come in una galera, militarizzate e controllate tutti i giorni. Se devono controllare qualcosa o qualcuno deve esserci un motivo giustificato, non per razzismo e non per il fatto di essere rom.
Se ci fossero questi piccoli campi il Comune a quel punto dovrebbe mettere in regola le persone con i documenti, la tessera sanitaria e la residenza così non siamo più obbligati a vivere nei ghetti abusivi e invisibili perché tutti quanti stiamo qui, a Torino.
Sono pochi quelli che sono partiti per altri paesi o sono andati in Romania e la città di Torino deve capire che i rom rimangono sempre qui perché dopo tanti anni questa è la loro città come per tutti gli altri.
Quello che penso io per l’integrazione è che vogliamo anche noi una casa ma sappiamo che non è possibile, per esempio sappiamo che le case popolari sono pochissime e le domande tantissime di tutta la popolazione in generale e noi non ci sogniamo neanche di poter avere accesso ad una casa popolare con delle spese piccole.
Voglio ancora aggiungere che io sono romeno e ho sposato una ragazza rom e abbiamo avuto un bambino insieme. Prima pensavo che la maggior parte delle persone rom fossero delinquenti, maleducati, solo per quello che sentivo in giro o per quello che veniva scritto su di loro nei giornali. Io penso che in questo modo vogliano allontanare i cittadini torinesi dai rom perché non sempre viene scritta la verità.
Dopo averli conosciuti veramente, aver vissuto insieme a loro, ho cambiato il mio pensiero. Sono molto generosi anche se sono poveri, quello che hanno lo dividono con te. Io che non sono rom in mezzo a loro mi sento molto rispettato. Per tanti motivi ho deciso di difendere le persone e far vedere con foto e filmati gli abusi perché la loro parola non conta, ma grazie ad una prova filmata o fotografata possiamo far vedere la verità.
Jean Diaconescu è nato in qualche luogo della Romania.
E’ stato pugile professionista, rivoluzionario, autista privato e camionista. Ha fatto molti altri lavori e ha un grande talento nel realizzare, con il suo telefono, reportage e filmati in qualsiasi contesto.
Da molti anni vive a Torino e ha vissuto nel campo di Lungo Stura Lazio e in quello “non autorizzato” di via Germagnano.
In questo lungo periodo non ha mai smesso di documentare con il suo telefono come vengono trattate le persone che vivono nei campi e quello che accade nel corso di sgomberi, controlli e operazioni di polizia. Una parte fondamentale della documentazione riguarda il progetto “La città possibile” che ha portato allo sgombero e alla distruzione definitiva del Platz alla fine del 2015.
“La versione di Jean” è la storia di un grande archivio audiovisuale e fotografico composto dai tanti materiali registrati da Jean, da altri abitanti del campo di Lungo Stura Lazio e da persone legate a quel luogo e ai suoi abitanti da vincoli di affetto e solidarietà.
La narrazione ufficiale sullo sgombero forzato e la distruzione di un campo rom è nota da sempre.
È rimasta invece inascoltata e inaccessibile la versione di Jean e delle altre persone che hanno vissuto e resistito in quel luogo per tanto tempo.
[1] Il progetto “Città possibile” del 2015 era legato allo sgombero del campo di Lungo Stura Lazio
[2] Si tratta di fondi messi a disposizione dalla Compagnia di San Paolo
[3] Fondi del Ministero degli Interni, all’epoca Maroni, stanziati nel decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri emanato il 21 maggio 2008 nel quale si dichiara “Lo stato di emergenza in relazione agli insediamenti delle comunità nomadi in Campania, Lombardia e Lazio” e l’anno successivo Piemonte e Veneto. Nel decreto si conferiscono poteri straordinari ai funzionari dello Stato e degli organi locali. Si paventano il monitoraggio, l’identificazione dei campi nomadi, l’eventuale sgombero degli stessi, nonché la creazione di nuovi. Si procede rapidamente alla schedatura e alla raccolta di dati biometrici degli abitanti delle baraccopoli rom, dunque sulla base di una discriminazione razziale. La cd. “Emergenza Nomadi” verrà poi dichiarata illegittima tramite sentenza del Consiglio di Stato del 16 novembre 2011. Contro di essa il 15 febbraio 2012 il Governo italiano ha presentato ricorso presso la Corte Suprema di Cassazione. Il 30 aprile 2012 la Corte di Cassazione ha rigettato definitivamente il ricorso.
[4] Per approfondimenti sullo sgombero del campo di lungo Stura Lazio Intervista a Jean – Codici