Conosco Marinella e Antonio da 30 anni: anarchici da sempre, sorridenti e coerenti. Marinella, ora in pensione, maestra di sostegno in Barona (quartiere alla periferia sud di Milano) di quelle che segnano la qualità del lavoro in una scuola, di quelle che si caricano in spalla una “commissione” e trasformano la scuola tanto che si sparge la voce e molte famiglie con figli in difficoltà scelgono “di mandarli là”. Di Antonio, seguii la fine della fabbrica dove lavorava come operaio, l’occupazione. Militante da sempre, da quando è in pensione dedica il suo tempo all’agitazione politica nella sede della Federazione Anarchica Milanese, una bellissima villetta in viale Monza 255, al primo piano hanno riordinato l’enorme “Archivio Internazionale Proletario”, mentre al piano terra fa spesso il cuoco. Conoscevo il loro piccolo Giulio. Scopro quest’anno che ha pubblicato un libro “Attitudine riottosa” sull’Anarcopunk nel Regno Unito. Scopro che vive ad Atene, si occupa di migranti e ha scritto vari ottimi articoli sulla rivista A. Riesco a contattarlo, leggo i suoi articoli d’un fiato, e decido di intervistarlo.
Parlaci della tua formazione
Sono nato a Milano nell’84, ho studiato Storia a Milano, Modena e poi in Galles per un dottorato sul movimento delle occupazioni e i centri sociali in Italia e nel Regno Unito; lì ho conosciuto la mia compagna, con la quale nel 2017 ci siamo trasferiti a vivere in Grecia, ad Atene, dove viviamo grazie a lavoretti, traduzioni, lezioni di lingua, pubblicazioni.
La tesi triennale la feci sulle tesi abolizioniste del carcere, sulle idee di tre criminologi nordeuropei, la tesi della magistrale fu sulla criminalità a Milano dagli anni ’50 agli anni ’80 e come si è trasformata insieme alla città. Il filo rosso che accompagna le mie ricerche è forse “la legalità” e la sua “relatività”, fino appunto alle occupazioni che compiono un atto illegale per renderlo legittimo. Il dottorato lo feci appunto sulle occupazioni a Londra, Bristol, Roma e Milano. In Inghilterra ci fu fin dagli anni ’60 un movimento di occupazioni delle case molto organizzato, in Italia fu meno diffuso. Le occupazioni invece degli spazi sociali sono state meno diffuse in Inghilterra perché vi erano più possibilità per i giovani di avere spazi legali. In Italia non c’erano quasi alternative. In Inghilterra occupare era un reato di tipo civile e non penale, non era un crimine, ma le occupazioni duravano anche molto meno, gli sgomberi erano più rapidi e decisi. Le occupazioni in Inghilterra sono durate molto meno o perché sgomberate o perché diventavano legali.
Nel gennaio 2017 vi siete trasferiti in Grecia
Si, prima la mia compagna; era già stata a Calais diverse volte col movimento No Border, nel 2016 andò a Lesbo per tre mesi a fare volontariato, poi si spostò ad Atene. Insieme ad altri amici aprirono Khora, un’associazione che è ancora forte e attiva. Io arrivai nei mesi successivi.
Spiegaci cosa hai capito di quello che era successo in Grecia nel periodo precedente
La crisi del 2008 qui è stata fortissima e ha generato un movimento gigantesco e molto variegato, con moltissime iniziative di autorganizzazione nelle città greche, dagli ambulatori popolari, alle scuole, alle mense popolari. Lo Stato era fallito, molte contraddizioni erano esplose, l’economia, ma anche la corruzione politica. La Grecia è andata in bancarotta, ma già prima che la sinistra di Tsipras e Syriza capitalizzassero la lotta e la riscossa, qua c’era già un movimento dal basso di occupazioni e autogestione. Nel 2013 uno dei canali della TV pubblica ERT era stato gestito dai lavoratori autonomamente, per circa cinque mesi. C’erano un forte movimento anarchico e dei sindacati ancora molto combattivi. Tante piccole e grandi cose che sommate davano davvero l’impressione che la Grecia fosse sull’orlo di una rivoluzione. Il movimento è durato diversi anni, perdendo slancio ed energie dal 2013-14.
Il momento di svolta è stato il referendum: questo ha mostrato come i greci fossero disposti a rischiare TUTTO, non accettando i dettami della Troika e uscendo dall’euro. Invece, pochi giorni dopo il referendum Tsipras, che non se la sentiva di portare avanti questa linea, si è incontrato con la Merkel e altri e tutto è ripartito, come se niente fosse successo. Tsipras ne uscì sconfitto. Da lì in poi a mio avviso le cose sono andate di male in peggio: oggi in Grecia c’è un governo di destra e il linguaggio e i modi sono peggiorati, ma la direzione è iniziata allora, in quel post referendum, con la svendita dell’ultimo patrimonio pubblico, trasporti pubblici, telefonia, sanità, per pagare i debitori europei. Si dice che ci saranno debiti fino al 2060! A tutto ciò si è sommata la crisi dell’immigrazione.
Ora la situazione non è più quella del 2009-2010, quando ero venuto e le immagini erano davvero forti: entravi in un supermercato e metà degli scaffali erano vuoti. Rispetto a quel periodo certo c’è stata una ripresa, ma i salari sono la metà di quelli italiani e la vita costa poco meno. In questi ultimi anni molti greci hanno venduto casa, tanti stranieri stanno comprando casa qua, puoi comprare ad Atene un quadrilocale vicino al centro con 50-70mila euro. La popolazione che abita la città è cambiata parecchio: Atene è la città con più AirB&B per metro quadrato d’Europa, forse in lizza con Barcellona. Credo che i greci siano gli europei con la percentuale maggiore di emigranti. Vanno soprattutto in Inghilterra e Germania. Tantissimi partono per studiare, molti vi restano anche dopo. Anche per questo qui in Grecia gli under 40 parlano inglese molto bene.
L’ondata di mobilitazioni già da qualche anno è scemata e nell’ultimo anno ancora di più: tra nuovo governo, pandemia e una nuova legge che complica il diritto a manifestare, c’è sempre meno capacità di mobilitarsi. La generazione che ha fatto tanto negli ultimi 12 anni ora è davvero stanca. Anche le autorganizzazioni di mutuo aiuto si sono ridotte molto, anche se durante la pandemia sono state queste realtà a fare qualcosa. Le numerose occupazioni che sostenevano i migranti sono state in gran parte sgomberate, la gente è finita “sotto i ponti” o nei vari campi profughi sparsi per la Grecia.
C’è miseria attualmente ad Atene?
Si, e non solo da quest’ultimo anno. Sia tra i greci che tra gli immigrati. Qui vicino a casa mia c’è una piazza dove vivono, con una coperta a testa, almeno 150 persone, in gran parte immigrati.
L’associazione Khora è nata alla fine del 2016. All’inizio avevamo un unico edificio, molto grande, di otto piani, che avevamo preso in affitto: una mensa sociale, uno spazio caffè, uno spazio per i bimbi, per le donne, un’officina, tre classi dove fare lezioni di lingua, uno studio dentistico, uno spazio per il supporto legale, ecc. La nostra associazione aveva e ha la fortuna e il privilegio di essere sostenuta da un nutrito e vivace gruppo britannico, Thighs of steel (cosce di ferro), che ogni estate organizza una traversata da Londra ad Atene in bicicletta, in circa 10 settimane. La biciclettata è divisa in tratte di una settimana. Per ognuna di esse il gruppo raccoglie iscrizioni, chiedendo agli iscritti di raccogliere fondi da donare per progetti in Grecia. Dal 2016 hanno raccolto oltre 450.000 euro, di cui una parte va a Khora. Quest’anno la pandemia li ha costretti a organizzare una biciclettata virtuale, che ha avuto comunque. un grande successo.
Noi siamo tutti volontari, non abbiamo alcuna sovvenzione pubblica, solo donazioni da privati. Dopo un anno e mezzo il proprietario ha voluto indietro l’edificio per venderlo. Ci siamo trasferiti differenziando gli spazi: ora abbiamo un negozio, dove c’è un free-shop, soprattutto di vestiti, una casetta di due piani dove c’è lo spazio di supporto para-legale, una sartoria e un laboratorio artistico, uno spazio musica, uno spazio di co-working dove si appoggia Medical Volunteer International, un gruppo di dottori. Infine abbiamo un ex ristorante dove c’è la nostra cucina sociale e dove facciamo da mangiare tutti i giorni. Nel vecchio edificio offrivamo colazione, pranzo e panini per la cena; nel nuovo spazio, che abbiamo aperto nel dicembre 2019, facciamo solo il pranzo.
Poi è arrivato il Covid e tutto è cambiato. Il cibo è fondamentale, ma è anche una scusa per stare insieme, conoscersi, ascoltarsi. Può arrivare chiunque, non chiediamo nulla a nessuno e infatti ci sono anche alcuni Greci. In teoria possiamo far sedere fino a 80 persone. Col Covid ci siamo dovuti inventare altri sistemi, abbiamo fatto “asporto” e dato molte più “ceste” di alimenti, a volte portandoli a casa, coordinandoci con altri gruppi che facevano un lavoro simile, e scoprendo da dove venivano i nostri utenti – alcuni da molto lontano! Da quando è iniziato il lockdown, abbiamo creato l’Athens Food Collective, una rete che mette insieme cucine sociale e gruppi affini con cui collaboriamo. Al collettivo partecipano: Steps, un gruppo che cucina e distribuisce pasti per i senzatetto di Atene e che cucinava all’aperto, attività ora vietata; SGYF (Forum della gioventù Greco-Siriana), un’associazione di migranti siriani che si sono stabiliti ad Atene negli ultimi anni; Pampiraiki, un’associazione che gestisce donazioni di cibo e prodotti di prima necessità e consegna pacchi a diverse famiglie e spazi occupati. Dall’inizio del lockdown cuciniamo circa 1.000 pasti al giorno Ogni giorno in cucina lavorano circa 15 persone, in tutto saremo una cinquantina, dei quali forse dieci Greci, dei rimanenti metà “internazionali”, metà sono “immigrati,” che beneficiavano del nostro servizio e ora collaborano attivamente. Molti afghani, iraniani, siriani, pakistani e molti africani.
Nelle nostre aule insegnavamo greco, inglese, tedesco e francese e per un periodo anche arabo. Inglese e tedesco erano le più gettonate.
Nessuno arriva in Grecia per fermarsi qui, o proseguono via mare o lungo la rotta dei Balcani, ma è diventato sempre più difficile negli ultimi anni, specialmente dal 2016 in poi, da quando c’è stato l’accordo con la Turchia. Poi, con gli accordi di Dublino, in tanti vengono ‘rispediti’ in Grecia da altri paesi europei. In Grecia ci sono circa 186mila richiedenti asilo (dati UNHCR). Tanti sono sulle isole, bloccati, perché c’è una normativa che dice che se arrivi in una di queste famose 5 isole dove ci sono gli hotspot (Lesbo, Chios, Samos, Leros e Kos), devi rimanere là fino a che non ti viene dato un permesso, o la tua domanda non viene rifiutata. Ci vogliono dai due ai tre anni. Prima erano più veloci, adesso sempre più lenti: ora ci sono persone che avranno la loro prima intervista nel 2022! Gli hotspot sulle isole sono cresciuti esponenzialmente, alcuni fino a ospitare 10 volte il numero di persone per cui erano pensati. Fino a prima del lockdown, erano campi di accoglienza aperti, da cui era possibile uscire e muoversi liberamente all’interno dell’isola. Col Covid gli hotspot sono stati messi in lockdown, diventando dei centri ‘chiusi’. Questo vuol dire che da questi centri non si può uscire senza un permesso. Erano già dei ghetti, ora sono dei centri di detenzione. Il lockdown che qui in Grecia è stato tolto a metà maggio, nei 5 hotspot nelle isole e nei due hotspot in terra ferma è stato prorogato di due settimane in due settimane, fino ad ora e chissà fino a quando. E’ difficile sapere cosa succede dentro questi campi, perché le associazioni che prima potevano entrare ora non possono o fanno molta più fatica. A Moria erano arrivati ad essere 20.000 persone in un campo costruito per 3.000. Ora dopo l’incendio, chissà!?
La pandemia ha “permesso” di chiuderli e ora rimangono tali. Può uscire un membro per famiglia, con tutti i permessi, una volta alla settimana, per andare a fare la spesa. Lesbo è grande 7 volte l’Elba e ha 90.000 abitanti di suo. Il campo è a 10 km da un paese, era una vecchia base militare, più tanti container, il tutto circondato da filo spinato e intorno, nei vari campi, tende, anche grosse. A Moria un tot di persone è registrato, ma tantissime sono “extra” e devono procurarsi da mangiare ogni giorno.
Queste cinque isole vicino alla Turchia sono sature e questo si è trasformato negli ultimi mesi in un forte sentimento anti immigrati e anti ONG, con gente picchiata, manifestazioni fuori dal campo, dipendenti o volontari ai quali è stata bruciata l’auto.
C’era dietro anche il partito di estrema destra Alba Dorata?
Alba Dorata non è più forte come prima. Il processo iniziato nel 2013, con l’arresto di gran parte dei dirigenti e parlamentari del partito, si sta avviando verso le fasi finali. Gli arrestati sono accusati di far parte di un’organizzazione criminale e di essere i mandanti dell’omicidio del rapper antifascista Pavlos Fyssas. Ottennero il loro miglior risultato nelle elezioni parlamentari dell’anno successivo. Nelle ultime elezioni del 2019 non hanno raggiunto lo sbarramento del 4% e anche la sede atenese è stata dissolta. Oltre a loro, esistono gruppi populisti, razzisti, anche locali. Soprattutto sulle isole dell’Egeo orientale le cose si mescolano: proteste contro il governo e contro i migranti e le ONG sono a volte difficili da distinguere. Le isole sono state lasciate a se stesse dal governo di Tsipras prima e ora da quello di Mitsotakis per indicazione dell’Unione Europea. Le hanno sacrificate per creare un cuscinetto tra la Turchia e l’Europa che conta.
Rimane il fatto che Lesbo è una polveriera e l’incendio di settembre, così prevedibile ed evitabile, ne è un esempio. Lesbo nel 2015 era l’isola simbolo dell’accoglienza. Lì si erano creati gruppi spontanei di cittadini che scrutavano il mare ogni notte per aiutare le imbarcazioni in arrivo, vari gruppi di supporto e solidarietà. Al contempo, su queste isole, il turismo che le sorreggeva è crollato, con la pandemia a dare il colpo finale.
La guardia costiera greca presidia le coste di queste isole e spesso raccoglie le persone che arrivano in piccole imbarcazioni, le carica sulle proprie navi e le riporta verso la Turchia. A volte succede quando le persone sono già sbarcate sulle isole! Il governo greco la chiama ‘propaganda turca’, ma ci sono video che lo mostrano: gente incappucciata coi mitra, a bordo delle imbarcazioni della guardia costiera greca, colpi sparati verso barche alla deriva. I migranti sono diventati delle pedine da usare nel conflitto tra Grecia e Turchia, e nelle negoziazioni tra i due paesi e l’Unione Europea. Anche il governo turco usa i migranti come arma: quando Erdogan dichiara di “aprire i confini” via terra tra Turchia e Grecia, i migranti trovano una zona super-militarizzata, guardie armate greche pronte a respingerli. E’ un territorio ostile, è un gioco folle. Inchieste giornalistiche indipendenti hanno dimostrato l’esistenza di gruppi paramilitari che vanno a ‘caccia’ di migranti sul confine, e hanno provato l’omicidio di almeno due persone da parte di forze di confine greche.
Tanti dalla Grecia invece cercano di raggiungere l’Europa; ci provano in aereo con documenti falsi, ci provano su imbarcazioni che arrivano sulle sponde di Puglia o Calabria, ci provano via terra, spesso in mano a trafficanti con pochi scrupoli. La polizia macedone o albanese fa di tutto per non lasciarli passare e riportarli in Grecia. Ma anche superati questi territori bisogna arrivare in Croazia, Ungheria o Romania per essere “in Europa”. Attualmente per esempio la Bosnia sta diventando uno snodo difficile e duro per molti. Le modalità con cui il governo bosniaco sta affrontando la questione sono allucinanti, e quelle della polizia di confine croata brutali e crudeli. Molte sono state le denunce. Il confine tra Bosnia e Croazia è sorvegliatissimo.
Come concluderesti?
La Grecia rappresenta un punto cruciale per l’Europa contemporanea. Il modello di gestione greca delle migrazioni si sta avvicinando ad un vero e proprio arcipelago concentrazionario. Le esperienze di lotta e resistenza hanno attratto qui militanti, attivisti e volontari da tutto il mondo. Quando ho iniziato a partecipare alle attività di Khora nel 2017 eravamo un gruppo grande e misto: dagli anarchici del nord Europa, ai cristiani delle isole Hawaii, ai musulmani del Nordafrica e del Medio Oriente.
L’approccio verso le migrazioni è paradigmatico. Tocca nervi scoperti dell’identità europea e occidentale, come il razzismo e la decolonizzazione e allo stesso tempo mette in gioco i concetti di confine e sovranità, le politiche del lavoro e di cittadinanza, il modo in cui ci rapportiamo all’altro e viviamo lo spazio urbano. Le politiche governative e comunitarie, indipendentemente dal colore, vanno in una direzione, noi continuiamo ad andare in quella ostinata e contraria.