Torniamo ad occuparci di ILVA e lo facciamo esaminando il profilo economico e facendo, al contempo, un appello alla politica che in questi giorni si mobilita per le elezioni regionali.
PeaceLink in occasione delle elezioni regionali in Puglia fa appello a tutti i candidati perché si esprimano contro un intervento assistenziale che prolunghi l’agonia dell’ILVA di pochi mesi, bruciando centinaia di milioni di euro che sarebbero invece necessari per una riconversione del sistema economico nell’investimento strategico da più parti auspicato: l’investimento nei giovani e nella formazione del capitale umano. Un investimento che accompagni i processi di digitalizzazione e di acquisizione di competenze innovative necessarie per la riconversione ecosostenibile. Tutti gli economisti in questi giorni si stanno sforzando di spiegare che il Recovery Fund va usato per tre obiettivi: la formazione dei giovani, la digitalizzazione e l’economia green.
Ma per Taranto il Recovery Fund viene letto come ILVA.
Ricordiamo che oggi l’ILVA, in queste condizioni di mercato, perde cento milioni di euro al mese. E’ un’azienda fallita da anni che non si sorregge più. Anche ArcelorMittal ha gettato la spugna perché le speranze di rilancio si sono infrante contro ostacoli ritenuti insormontabili persino dal primo colosso mondiale dell’acciaio. Di fronte a questa evidenza bisognerebbe trarne le conseguenze e predisporre un piano B per salvare prima di tutto il lavoro di operai che non arriveranno mai in pensione con l’ILVA, questo è chiarissimo a tutti coloro che sono dotati di buon senso.
Un uso del Recovery Fund in chiave assistenziale sarebbe peraltro censurabile come aiuto di Stato ai sensi delle norme europea del TFUE.
Il Recovery Fund è una grande opportunità di riconvertire l’economia. Ma se si sprecheranno quei miliardi di euro per rallentare la fine di un sistema insostenibile, il drammatico risultato sarà solo quello di scaricare sulle generazioni future costi economici enormi. Perché il Recovery Fund non è gratis: lo pagheranno le generazioni future. Saranno infatti spalmati sul futuro oneri gravosi che si sommeranno al già elevato debito pubblico che, va ricordato, attualmente ammonta all’astronomica cifra di 2.530 miliardi di euro.
E se a beneficiare del Recovery Fund non saranno anche le generazioni future, si compie quello che si può definire un vero e proprio “furto di futuro”. La questione è di rilevante importanza per le scelte che si faranno per l’ILVA. Se verrà utilizzato il Recovery Fund per l’ILVA, si scaricheranno sulle generazioni future i costi di una scelta che semplicemente ritarda la fine di un sistema non sostenibile senza al contempo creare le condizioni perché a beneficiare di quelle scelte siano i giovani di domani. Il Recovery Fund deve essere un investimento per il futuro e non un sistema assistenziale per ritardare la fine di scelte economiche ed ecologiche sbagliate.
Infine la decarbonizzazione dell’ILVA – va detto chiaramente – rischia di essere un alibi per non affrontare il nodo di fondo: le costanti perdite di questo stabilimento. L’ILVA verrà chiusa dal mercato sotto il peso del suo gigantismo non più sostenibile. Se cento milioni di perdite al mese senza decarbonizzazione sono insostenibili oggi, ancor di più saranno insostenibili perdite di entità superiore con interventi di decarbonizzazione che richiedono nuovi investimenti. In altri termini la decarbonizzazione non scioglie il nodo di fondo di uno stabilimento fuori mercato e che non è più strategico. L’ILVA è uno stabilimento strategico a parole, ma in realtà non la vuole più nessuno. E’ uno stabilimento strategico solo per la classe politica ma non per l’economia. Non è più strategico per il mercato globale dell’acciaio, ormai saturo di vecchi stabilimenti che concorrono a formare quell’eccesso di capacità produttiva che determina la crisi che è sotto gli occhi di tutti. Gli impianti dell’ILVA si stanno fermando per mancanza di commesse. Ogni intervento di rilancio dell’ILVA con il Recovery Fund sarebbe un insensato spreco di risorse. Servirebbe a produrre acciaio che rimarebbe invenduto ad arrugginirsi. Sarebbe un vero e proprio furto alle generazioni future che oggi non votano. E sarebbe una ennesima dimostrazione di miopia ed egoismo delle generazioni presenti incapaci di pensare alle generazioni future.
Alessandro Marescotti
Presidente di PeaceLink