Uomini, donne, bambini, anziani e malati costretti sull’asfalto, sotto il sole per tutto il giorno, senza tende né coperte la notte e senza bagni chimici o accesso all’acqua potabile.
“Migliaia di persone da una settimana ormai continuano a vivere accampate lungo i tre chilometri di strada che separano il vecchio campo di Moria da Mitilene. E’ un disastro: uomini, donne, bambini, anziani e malati costretti sull’asfalto, sotto il sole per tutto il giorno, senza tende né coperte la notte e senza bagni chimici o accesso all’acqua potabile”. A parlare dall’isola dell’Egeo con l’agenzia Dire è Clotilde Scolamiero, operatrice per l’ong Intersos, a Lesbo per fornire assistenza dopo l’incendio hanno distrutto il campo profughi di Moria.
Come riporta la stampa ellenica, dopo i roghi che una settimana fa hanno distrutto la tendopoli più grande d’Europa, costringendo alla fuga i 12.500 residenti, le autorità locali si danno da fare per creare un nuovo campo: a Kara Tepe si punta a dare posto a 5.000 persone. I lavori procedono spediti e presto si potrebbe arrivare a 7.000 tende e da Atene fanno sapere che la procedura di richiesta d’asilo procederà a patto che si accetti il trasferimento a Kara Tepe. Ma i giornalisti sul campo riferiscono anche che la gente si rifiuta di entrare.
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“Temono di restare ‘rinchiusi’ come accaduto a Moria, perché a causa del lockdown per settimane nessuno è potuto entrare o uscire liberamente” conferma l’operatrice di Intersos, che continua: “Le persone con cui abbiamo parlato ci dicono che hanno paura per la loro sicurezza. Se scoppiasse un nuovo incendio stavolta potrebbero morire. Inoltre temono che continui il limbo a cui sono costretti a Lesbo. Vogliono essere trasferiti in altri paesi europei o sulla terraferma, in Grecia. Essere richiedenti asilo o rifugiati non è un crimine: è incomprensibile tenerli bloccati qui senza prospettive”. Ma lungo la provinciale che collega Moria a Mitilene, la situazione resta complessa.
“La polizia ha imposto blocchi ai punti d’accesso, nessuno entra o esce” dice Scolamiero osservando che da un punto di vista igienico-sanitario, in piena pandemia, “è un disastro”. L’operatrice denuncia: “Immaginatevi persone ammassate che da giorni non riescono ad avere accesso a bagni e docce. La polizia, paventando il rischio di contagi, impedisce l’accesso anche a noi operatori”. A distribuire cibo e acqua ci pensano i volontari e l’esercito mandato da Atene, ma “coordinarsi è complesso. Anche noi da domani cominceremo la distribuzione di cibo e kit igienici, ma farlo in queste condizioni senza creare disordini è un’impresa. E poi si farà tutto a piedi. Le macchine restano fuori“.
In questi giorni, chi vuole reperire cibo o medicine in autonomia “deve affidarsi a giovani che, attraversando le campagne, raggiungano la città” dice Scolamiero. “Molti ci dicono che però è rischioso: la polizia non ha modi gentili con chi viola il blocco“. Intersos ha identificato infine il rischio di abusi sessuali e violenze da quando la gente è costretta a pernottare in strada. “In queste condizioni cresce anche la preoccupazione per i malati psichiatrici” aggiunge Scolamiero. “Per non parlare delle sofferenze a cui sono costretti gli over 60 e i bambini”.