Il 7 settembre è il giorno in cui si commemora l’indipendenza Brasiliana. Il Presidente Lula attraverso le reti sociali e i canali di youtube parla alla Nazione. In un lungo discorso riassume la tragedia brasiliana contemporanea, accusa il governo Bolsonaro di alto tradimento e di usare il Coronavirus come arma di distruzione di massa. Prosegue ricordando gli anni dei suoi governi, in cui le politiche inclusive favorivano la mobilità sociale di milioni di persone. Ed infine convoca la sua gente a pensare alla riconstruzione del paese attraverso un nuovo patto sociale, fondato sulla solidarietà. Le parole finali invitano a tenere duro, a resistere per continuare a vivere.
Nel Brasile del 2020, rimanere vivi è diventata una dichiarazione di intenzioni, una piattaforma politica.
Mentre Bolsonaro, contro le raccomandazioni dei suoi stessi ministri, organizza una pantomima di sfilata militare nella quale – come l’Orco delle favole – chiama a sé i bambini presenti per fare un giretto sull’automobile di rappresentanza, il Presidente Lula si rivolge alla Nazione:
Cari amici e care amiche,
Negli ultimi mesi una tristezza infinita continua a tormentare il mio cuore. Il Brasile sta vivendo un dei periodi peggiori della sua storia. Con 130 mila morti e quattro milioni di persone contaminate, stiamo precipitando in una crisi sanitaria, sociale, economica e ambientale mai vista prima.
Più di duecento milioni di brasiliani si svegliano al mattino senza sapere se i loro parenti, amici o loro stessi riusciranno a sopravvivere. La stragrande maggioranza dei morti a causa del Coronavirus è di gente povera, neri, persone in situazione di vulnerabilità sociale che lo Stato ha abbandonato.
Secondo i dati delle autorità sanitarie, nella più grande e ricca città del paese, il numero di morti per il Covid-19, tra la popolazione nera della periferia è superiore al 60%. Ognuno di questi morti che il governo federale tratta con noncuranza, aveva nome cognome e indirizzo, aveva un padre, una madre, un fratello, un figlio, un marito, una moglie, degli amici. È molto triste sapere che decine di migliaia di Brasiliani non hanno potuto dare l’ultimo saluto ai loro cari. Io so cosa si prova.
Eppure, evitare tante morti, sarebbe stato possibile.
Siamo nelle mani di un governo che non dà valore alla vita umana e che banalizza la morte. Un governo insensibile, irresponsabile e incompetente che non ha rispettato le norme della OMS e ha trasformato il Coronavirus in un’arma di distruzione di massa.
I governi sorti dopo il golpe del 2016, hanno congelato i fondi per la spesa pubblica e ridotto il Sistema Unico di Salute, il SUS – ammirato dal mondo come modello per le nazioni in via di sviluppo – in rovina. E il collasso non è stato peggiore solo grazie agli eroi anonimi, i lavoratori del sistema di salute.
I fondi che avrebbero potuto essere stati stanziati per salvare vite umane, sono stati destinati a pagare gli interessi del sistema finanziario. Il Consiglio Monetario Nazionale annuncia che userà più di 300 miliardi di reais del fondo di riserva lasciato dai nostri governi.
Sarebbe comprensibile se questa somma fosse destinata al soccorso dei lavoratori disoccupati o a mantenere il sussidio di emergenza di 600 reais per tutta la durata della pandemia.
Ma ciò non fa parte dei piani economici del governo. Hanno annunciato che questi fondi saranno usati per pagare gli interessi del debito pubblico!
Nelle mani di questa gente il Sistema di Salute è smantellato sotto ogni aspetto. La sostituzione della direzione del Ministero della Sanità in favore di militari senza esperienza medica o sanitaria, è appena la punta dell’iceberg. L’avanzata autoritaria del governo, ha permesso di trasferire centinaia di militari nei posti chiave dell’amministrazione federale, facendoci ricordare i tempi bui della dittatura.
E il fatto più grave in tutto questo è che Bolsonaro approfitta della sofferenza collettiva per, in modo subdolo, commettere un crimine di tradimento. Un crimine che non prescrive, il più grande delitto che un governante può commettere contro il suo paese e il suo popolo: rinunciare alla sovranità nazionale.
Non è certamente un caso che ho scelto di parlare a voi oggi, 7 settembre, il giorno dell’Indipendenza del Brasile, quando celebriamo la nascita del nostro paese come nazione sovrana.
Sovranità significa indipendenza, autonomia, libertà. Il suo contrario è dipendenza, servitù, sottomissione.
In tutta la mia vita ho sempre lottato per la libertà. Libertà di stampa, libertà di opinione, libertà di manifestare e di organizzazione, libertà sindacale, libertà di intraprendere.
È importante ricordare che non ci sarà libertà, se lo stesso paese non è libero.
Rinunciare alla sovranità significa subordinare il benessere e la sicurezza del nostro popolo agli interessi di altri paesi.
La garanzia della sovranità nazionale non si riduce all’importantissima missione di sorvegliare le nostre frontiere terrestri, marittime e il nostro spazio aereo, ma comprende la difesa del nostro popolo, le nostre ricchezze minerali, la nostra foresta, i fiumi, l’acqua.
In Amazzonia dobbiamo essere presenti con scienziati, antropologi e ricercatori dedicati allo studio della fauna e della flora; usare queste conoscenze nella farmacologia, nella nutrizione e i tutti i campi della scienza, nel pieno rispetto della cultura e dell’organizzazione sociale dei popoli indigeni.
Il governo attuale sottomette il Brasile agli interessi degli Stati Uniti in modo umiliante, e costringe il nostro corpo diplomatico a vivere situazioni vergognose. E, come se non bastasse, minaccia di lanciare il nostro paese in avventure militari contro i nostri vicini, in piena violazione della Costituzione, solo per accontentare gli interessi economici strategici e militari degli USA.
La sottomissione del Brasile agli interessi militari di Washington è stata rivelata e divulgata dallo stesso presidente quando ha messo a disposizione del Comando Militare degli USA un nostro generale delle Forze Armate agli ordini diretti di un ufficiale americano.
In un ulteriore attentato alla sovranità nazionale, l’attuale governo ha firmato con gli USA un accordo che colloca la Base Aerospaziale di Alcantara sotto il controllo di operatori nordamericani privando il Brasile dell’accesso alla tecnologia.
Chi volesse conoscere i veri obiettivi del governo non ha bisogno di consultare i manuali del Servizio Segreto o del Servizio di Informazioni dell’Esercito.
La risposta la si può trovare ogni giorno sul Diario Ufficiale, in ogni decisione in ogni iniziativa, in ogni gesto del presidente e dei suoi consiglieri, banchieri e speculatori che ha chiamato per dirigere la nostra economia.
Istituzioni centenarie come il Banco do Brasil, La Cassa di Risparmio, e la Banca per lo Sviluppo, responsabili della crescita economica del paese, vengono squarciate, stritolate, o semplicemente vendute per un piatto di lenticchie.
Le banche pubbliche non sono state create per arricchire le oligarchie. Esse sono uno strumento di progresso. Finanziano le case popolari, l’agricoltura familiare, le opere pubbliche, l’infrastruttura essenziale allo sviluppo.
Se volgiamo il nostro sguardo al settore energetico, vediamo una politica di terra bruciata.
Successivamente alla vendita per valori irrisori delle riserve petrolifere, il governo sta smantellando la Petrobras. Hanno venduto le sue istallazioni e i gasdotti. Le raffinerie vengono smontate. Quando resteranno solamente i cocci, arriveranno le multinazionali a raccogliere i resti di una impresa strategica per la sovranità nazionale come la Petrobras.
Una mezza dozzina di queste minacciano il frutto di centinaia di miliardi di reais di petrolio, una risorsa che ha costituito un fondo sovrano per finanziare una vera rivoluzione nel sistema educativo e scientifico.
La Embraer, il fiore all’occhiello del nostro sviluppo tecnologico, è sopravvissuta allo sfacelo in funzione delle difficoltà di acquisizione da parte della Boeing, un’impresa legata al complesso industrial-militare americano.
Ma lo smantellamento non finisce qui.
Il furore che spinge il governo alle “privatizzazioni” pretende di vendere la Eletrobras, la più grande azienda di energia elettrica dell’America Latina, un gigante composta da 164 centrali delle quali due termonucleari, responsabile del 40% dell’energia prodotta in Brasile.
La demolizione del sistema universitario, dell’istruzione e lo smantellamento delle istituzioni di appoggio alla scienza e tecnologia sono una minaccia reale e concreta alla nostra sovranità.
Un paese che non produce conoscenza, che perseguita i professori e i ricercatori, che sospende le borse di studio, che nega l’accesso alle università alla maggioranza della sua popolazione, è condannato alla povertà e alla eterna sottomissione.
L’ossessione di questo governo nel distruggere il patrimonio nazionale ha posto la cultura del paese nella mani di un gruppo di avventurieri. Artisti e intellettuali reclamano per la salvezza della Casa Ruy Barbosa, della Funarte, dell’Ancine. La cineteca Brasiliana in cui è depositato un secolo di storia del cinema nazionale corre il serio rischio de avere lo stesso destino tragico del Museo Nazionale, distrutto da un incendio.
Care amiche e cari amici,
durante l’isolamento della quarantena ho riflettuto molto sul Brasile e su me stesso, sui miei errori e sui miei successi e sulla funzione che ancora posso esercitare nella lotta del nostro popolo per migliori condizioni di vita.
Ho deciso di concentrarmi insieme a voi per ricostruire il Brasile come una Nazione indipendente, con istituzioni democratiche senza privilegi e oligarchie autoritarie. Un vero Stato Democratico di Diritto, fondato sulla sovranità popolare. Una Nazione in favore dell’uguaglianza e del pluralismo. Una Nazione inserita in un nuovo ordine internazionale basato sul multilateralismo, sulla cooperazione e sulla democrazia; integrata all’America del Sud, solidale con le altre nazioni in via di sviluppo.
Il Brasile che voglio ricostruire con voi è un paese impegnato nella liberazione del nostro popolo, dei lavoratori e degli esclusi.
Tra un mese farò 75 anni.
Se guardo il passato devo ringraziare Dio per la sua generosità. Devo ringraziare mia madre per aver trasformato un emigrante senza un titolo di studio, in un lavoratore orgoglioso che un giorno sarebbe diventato presidente della repubblica. Per aver fatto di me un uomo senza rancore, incapace di odiare.
Io sono il bambino che ha scardinato la logica, che è uscito dai sotterranei ed è arrivato fino in cima senza chiedere il permesso a nessuno, solo al popolo. Non sono entrato dalla porta di servizio, ma dalla rampa principale. E questo i potenti non me lo hanno mai perdonato. Mi avevano riservato la parte del figurante, ma attraverso l’impegno dei lavoratori brasiliani, sono diventato un protagonista. Da governante ero disposto a dimostrare che il popolo poteva essere incluso nella economia nazionale. Anzi, ho provato che il popolo è uno straordinario patrimonio, una enorme ricchezza. Con il popolo il Brasile progredisce, si arricchisce, si fortifica, diventa un paese sovrano e giusto. Un paese in cui la ricchezza prodotta da tutti è distribuita a tutti, ma in primo luogo a chi sempre è stato sfruttato, oppresso, escluso.
Ogni nostro passo in avanti ha sofferto l’odiosa opposizione delle forze conservatrici, alleate agli interessi di altre potenze. Non si sono mai dati pace nel vedere il Brasile come un paese indipendente e solidale verso i suoi vicini latinoamericani e dei Caraibi, verso i paesi africani, verso le nazioni emergenti.
È nelle conquiste dei lavoratori, nel progresso dei poveri, è nella fine della sottomissione che si possono trovare le radici del golpe del 2016. È lì che risiedono le ragioni dei processi costruiti ad arte contro di me, del mio arresto illegale e della proibizione della mia candidatura alle elezioni del 2018. Ora tutto il mondo sa che questi processi hanno avuto la collaborazione segreta degli servizi di intelligence nordamericani.
Nel togliere 40 milioni di brasiliani dalla miseria, noi abbiamo realizzato una rivoluzione, una rivoluzione pacifica senza spari né violenza. Nel vedere che il processo di ascensione sociale dei poveri avrebbe continuato, che l’affermazione della nostra sovranità sarebbe proseguita, coloro che da sempre pensano di essere i padroni del Brasile, qui e all’estero, decisero di intervenire.
E qui che nasce l’appoggio dato dalle élites conservatrici a Bolsonaro.
Hanno accettato come normale il suo rifiuto a partecipare ai dibattiti della campagna elettorale. Hanno versato fiumi di denaro nell’industria delle fake news. Hanno chiuso gli occhi davanti alla sua storia, al suo passato spaventoso. Hanno fatto finta di ignorare il suo discorso in difesa della tortura e l’apologia pubblica dello stupro.
Le elezioni del 2018 hanno gettato il Brasile in un incubo che sembra non avere fine.
Con l’ascensione di Bolsonaro, miliziani, affaristi, assassini a pagamento, hanno abbandonato le pagine di cronaca nera per occupare le notizie di politica interna.
Come in un film di terrore le oligarchie brasiliane hanno partorito un mostro che ora non riescono più a controllare, ma che continuano a sostenere fino a quando possano garantire i loro interessi.
Un dato scandaloso illustra questa convivenza: nei primi quattro mesi della pandemia, quaranta milionari brasiliani hanno aumentato il loro patrimonio di 170 miliardi di Reais.
Contemporaneamente, la massa salariale dei lavoratori si è ridotta del 15% , il crollo più grande di ogni tempo. Per impedire che i lavoratori possano difendersi da questo saccheggio, il governo soffoca i sindacati e minaccia di chiudere definitivamente le porte del Tribunale del Lavoro. Vogliono spezzare la spina dorsale del movimento sindacale, una cosa che neanche la dittatura riuscì a fare. Hanno violentato la Costituzione del 1988. Hanno ripudiato ogni pratica democratica. Hanno impiantato un autoritarismo oscurantista che ha distrutto le conquiste sociali raggiunte in decenni di lotte. Hanno abbandonato una politica estera orgogliosa e attiva, in favore di una sottomissione vergognosa e umiliante.
Questo è il vero ritratto del Brasile di oggi.
Una simile calamità dovrà essere affrontata con un nuovo contratto sociale che difenda i diritti e il reddito dei lavoratori.
Care amiche e cari amici,
la mia lunga vita, compresi i quasi due anni passati in prigione ingiustamente e illegalmente, mi ha insegnato molto. Ma la storia di tutto quello che ho realizzato e che ho imparato potrebbe ridursi a un grano di sabbia se la mia esperienza non fosse collocata a servizio dei lavoratori.
È inaccettabile che il 10% viva a costo della miseria del 90% del popolo.
Non sarà mai possibile la crescita e la pace sociale nel nostro paese fino a quando la ricchezza prodotta da tutti vada a finire nel conto bancario di mezza dozzina di privilegiati.
Non esisterà crescita, né pace sociale, fino a che le politiche pubbliche e le istituzioni non trattino con equità tutti i brasiliani.
È inaccettabile che il lavoratori continuino a soffrire l’impatto perverso della disuguaglianza sociale. Non possiamo ammettere che la nostra gioventù negra abbia la sua vita marchiata da una violenza ai limiti del genocidio.
Da quando ho visto quel terribile video, gli otto minuti e 43 secondi di agonia di George Floyd, non smetto di domandarmi: quanti George Floyd ci sono in Brasile? Quanti brasiliani perdono la vita per non essere bianchi? Sì: Vite Nere Importano. E questo deve valere in tutto il mondo, negli Stati Uniti e in Brasile.
È intollerabile che le nazioni indigene abbiano la loro terra invasa e saccheggiata, la loro cultura distrutta. Il Brasile che vogliamo è quello del Marechal Rondon, dei Fratelli Villas-Boas, non quello degli invasori di terra e dei devastatori della foresta.
Abbiamo un governo che vuole uccidere le più belle virtù della nostra gente, la sua generosità, l’amore alla pace e la tolleranza. Il popolo non vuole comprare armi, né pallottole. Il popolo ha fame.
Dobbiamo combattere con fermezza la violenza contro le donne. Non possiamo accettare che un essere umano venga stigmatizzato per questioni di genere. Ripudiamo il disprezzo pubblico contro le comunità Quilombolas. Condanniamo i pregiudizi che stigmatizzano i poveri delle periferie delle grandi città come esseri inferiori. Fino a quando conviveremo con tanta discriminazione, tanta intolleranza, tanto odio?
Cari amici e care amiche,
Per ricostruire il Brasile post-pandemia abbiamo bisogno di un nuovo contratto sociale tra tutti i brasiliani. Un contratto sociale che garantisca a tutti il diritto di vivere in pace e armonia, affinché tutti abbiano le stesse possibilità di crescere, in cui la nostra economia non sia al servizio di una piccola minoranza. E nel quale siano rispettati i nostri tesori naturali.
La pietra angolare di questo contratto sociale deve essere il simbolo e la base del regime democratico: il voto. È attraverso l’esercizio del voto, libero dalle manipolazioni e fake news, che devono formarsi i governi e le grandi scelte fondamentali della società.
Attraverso questa ricostruzione, basata sul voto, avremo un Brasile democratico, sovrano, che rispetti i diritti umani e le differenze di opinioni, protettore dell’ambiente, delle minoranze, difensore della sua sovranità. Un Brasile di tutti e per tutti.
Se saremo uniti su questi punti potremo superare questo momento drammatico.
L’essenziale oggi è vincere la pandemia, difendere la vita e la salute del popolo. È essenziale farla finita con questo governo per abolire il tetto della spesa pubblica, capace di lasciare lo Stato in ginocchio davanti al capitale finanziario nazionale e internazionale.
In questa ardua impresa io mi metto a disposizione dei brasiliani, specialmente del lavoratori e degli esclusi.
Care amiche e cari amici,
vogliamo un Brasile in cui esista lavoro per tutti. Vogliamo costruire uno Stato di welfare che promuova l’uguaglianza di diritti, in cui la ricchezza, prodotto del lavoro collettivo, sia restituita alla popolazione secondo le necessità di ciascuno. Uno Stato giusto, egualitario e indipendente, che dia opportunità ai lavoratori, ai più poveri, agli esclusi.
Il Brasile dei nostri sogni può essere molto più vicino di quello che sembra.
Perfino i profeti di Wall Street e della City di Londra hanno decretato che il capitalismo così com’è, ha i giorni contati. Ci hanno messo dei secoli per scoprire una verità incontestabile, ma che i poveri conoscono fin dalla nascita: chi sostiene il capitalismo non è il capitale. Chi sostiene il capitalismo siamo noi, i lavoratori.
È in momenti come questi che mi torna in mente una frase di Victor Hugo scritta un secolo e mezzo fa e che ogni lavoratore dovrebbe tenere con sé, scritta in un pezzettino di carta per non dimenticarla mai: “È dell’inferno dei poveri che è fatto il paradiso dei ricchi…”
Nessuna soluzione sarà significativa se i lavoratori non ne saranno protagonisti. Come la maggioranza dei brasiliani, anch’io non credo e non accetto i cosiddetti patti “dall’alto” con le élites. Chi vive del suo lavoro non vuole pagare il conto delle trattative politiche dei piani alti.
Per questo voglio riaffermare alcune certezze personali: non appoggio, non accetto e non sottoscrivo qualunque soluzione che non preveda la partecipazione effettiva dei lavoratori. Non contate su di me per accordi in cui il popolo sia solo un coadiuvante.
Sono sempre più convinto che la lotta per l’uguaglianza sociale debba comprendere un processo in cui i ricchi siano obbligati a pagare imposte proporzionali al loro reddito e al loro patrimonio.
E questo Brasile, care amiche e cari amici, è alla portata delle nostre mani.
Posso affermarlo guardando negli occhi ciascuno di voi. Noi abbiamo provato al mondo che il sogno di un paese giusto e sovrano può davvero diventare realtà. Io so – voi lo sapete – che possiamo ancora una volta, fare del Brasile il paese dei nostri sogni.
Lo dico dal profondo del cuore: io sono qui. Ricostruiamo insieme il Brasile. Abbiamo davanti un lungo cammino. Continuiamo a resistere, perché insieme ce la faremo.
Vivremo e vinceremo.