I lavori svolti fino ad oggi hanno creato circa 350.000 posti di lavoro, generando un indotto da 90 milioni di dollari.
Creare posti di lavoro, migliorare la rete infrastrutturale della regione del Sahel, rilanciare gli investimenti nella scuola, dando speranze ai giovani ed eliminando le cause profonde che alimentano gruppi armati e instabilità. Sono solo alcune delle ricadute della Grande Muraglia Verde, un progetto che entro il 2030 mira a sottrarre alla desertificazione 100 milioni di ettari tra il Senegal, all’estremità occidentale del Sahel, e Gibuti, nel Corno d’Africa.
A evidenziarle sono stati il 7 settembre i ministri degli 11 paesi fondatori dell’iniziativa e i rappresentanti di diverse organizzazioni coinvolte nel progetto, in occasione della presentazione del primo rapporto sullo stato dei lavori della Grande Muraglia.
Il progetto era stato approvato dalla Comunità degli Stati del Sahel e del Sahara (Cen-Sad) nel 2005 ed è partita due anni più tardi, nel 2007. Obiettivo: costituire una fascia di territorio rigenerato e fertile lunga 7.600 chilometri e larga almeno 15, che faccia da argine all’avanzare del deserto conseguenza di cambiamenti climatici e riscaldamento globale. Ma anche ripensare l’idea di sviluppo, in un’ottica olistica che tenga in conto la stretta connessione tra rischi ambientali e condizioni socio-economiche.
In 13 anni di lavoro, si legge nel rapporto, sono stati rigenerati circa 18 milioni di ettari di terra (13 milioni quelli agricoli utilizzati in Italia, secondo stime di Coldiretti, ndr).
I lavori di risanamento del suolo e la nuova vita donata agli ecosistemi coinvolti hanno creato circa 350.000 posti di lavoro, generando un indotto da 90 milioni di dollari.
Secondo Amina Mohammed, vicesegretaria generale delle Nazioni Unite intervenuta alla conferenza di presentazione del dossier, è però “troppo poco”. La dirigente dell’Onu, che al progetto partecipa con diverse agenzie, con capofila quella specializzata nella lotta alla desertificazione, Unccd, ha evidenziato che è necessario fare di più, soprattutto per le difficoltà aggiuntive causate dalla pandemia del nuovo coronavirus.
“Il Covid-19 ha cambiato le nostre vite” ha detto Mohammed. “Dobbiamo modificare le modalità di risposta alle crisi e trovare altri modi per raggiungere gli Obiettivi dell’Agenda 2030 dell’Onu sullo sviluppo sostenibile”.
Secondo lo studio, per raggiungere l’obiettivo previsto dalla Grande Muraglia sarà necessario rigenerare circa otto milioni di ettari di terreno l’anno per i prossimi dieci. Lo sforzo economico ancora previsto è stimato in circa quattro miliardi di dollari. Mohammed ha detto che e’ urgente “convogliare quanti più finanziamenti possibili” coinvolgendo anche banche di sviluppo e investitori privati.
Nonostante le sfide, non manca la fiducia. Il ministro dell’Ambiente della Nigeria, Mohammad Mahmood Abubakar, non ha dubbi: “L’unica strada possibile è quella di portare a termine il lavoro”. Secondo Abubakar, la contingenza della pandemia non è un ostacolo, anzi: “E’ proprio il momento giusto – ha detto – per investire ancora di più nel progetto dato che creerà molti posti di lavoro“.
Il contributo che il progetto della Grande Muraglia darà alla lotta alla siccità è stato sottolineato dal ministro dell’Ambiente etiope, Kebede Ymama Dawd, che lo ha definito “un aiuto per ritrovare la stabilità della regione, che è un importante corridoio migratorio” verso l’Europa.
Stabilità e benefici economici, quindi, ma anche qualcosa di più. Per il musicista senegalese Baaba Maal, ambasciatore della società civile scelto da Unccd, la Grande Muraglia è un’occasione “per dar vita a un’idea di sviluppo africana, che concretizzi le tante potenzialità che abbiamo”. Tra queste, milioni di giovani, in una delle regioni del mondo con l’età media più bassa in assoluto. “Sono pronti”, ha sottolineato Maal: “Vogliono giocare un ruolo decisivo”.