Sono giorni tragici nel Mediterraneo centrale, gli ennesimi di una strage senza fine. Dall’OIM, l’agenzia dell’Onu per le Migrazioni, e da fonti giornalistiche arrivano notizie di almeno tre naufragi negli ultimi cinque giorni e di un bilancio che sfiora i 200 morti tra uomini, donne e bambini in fuga dalla Libia. Si parla di miliziani che sparano addosso ai gommoni dei naufraghi e di natanti lasciati in mare per giorni dalle autorità europee prima del naufragio.
Una situazione di drammatica disumanità. «Le navi delle Ong hanno svolto un ruolo cruciale nel salvare vite umane in mare nel mezzo della forte riduzione degli sforzi degli Stati europeo (..) L’imperativo umanitario di salvare vite umane non dovrebbe essere ostacolato», scrivono in una nota congiunta Unhcr-Acnur e Oim.
È per questo che è importante tornare in mare e farlo al più presto. Siamo quasi pronti per farlo. In questo momento è in mare solo SeaWatch4 in un’importante missione di soccorso insieme a Medici Senza Frontiere. Una sola nave in un mare sconfinato e senza altri soccorsi.
Siamo consapevoli che la Civil Fleet, cioè la flotta della società civile europea, può solo dare un aiuto parziale in una situazione di grande emergenza, su cui dovrebbero invece intervenire i governi europei organizzando corridoi umanitari per l’immediata evacuazione delle persone dalla Libia e riportando nel Mediterraneo centrale in missione di soccorso le navi delle guardie costiere e delle marine militari europee.
Noi intanto non possiamo sottrarci al nostro dovere: quello di essere in quel mare deserto, per far rispettare la legge del mare e quella dell’umanità.