Il murale dedicato a George Floyd, sul muro di Cup Foods a Minneapolis, nel Minnesota, al termine di una cerimonia commemorativa. Il murale è diventato un luogo popolare; in molti vi si recano per ammirarlo e usarlo come sfondo per una foto. Situato all’angolo tra la 38esima Strada e Chicago Avenue Sud a Minneapolis, il murale è opera degli artisti Xena Goldman, Cadex Herrera e Greta McLain. Il trio ha dapprima incominciato l’opera, per poi terminarla in 12 ore con l’aiuto degli artisti Niko Alexander e Pablo Hernandez. (Immagine di Lorie Shaull/flickr CC)

 

Di April M. Short

È periodo di dispute e ristrutturazioni in America. Le proteste di massa stanno portando alla luce le fondamenta problematiche e a lungo sepolte di una nazione eretta sulla tratta di esseri umani, sulla mercificazione e la riduzione in schiavitù delle popolazioni dell’Africa, sul genocidio e sui tentativi di cancellazione delle società indigene. Lungo tutto il paese, i manifestanti abbattono statue di profittatori e benefattori di tali atrocità, spronando la nazione a demolire le sue numerose false narrazioni e i suoi sistemi di potere. Questa ribellione chiede di riconoscere che le forze di polizia, in particolar modo, rappresentano un’estensione diretta di questa storia problematica, che ha diffamato e condannato gli americani dalla pelle nera e marrone in maniera sproporzionata fin dall’inizio. Sono in fase di ripensamento le modalità per far emergere equità e sicurezza vere.

Cosa rimarrà al posto di emblemi e istituzioni obsoleti e pericolosi? Che aspetto potrebbero e dovrebbero avere i nuovi sistemi? Con quali nuovi programmi e modelli di giustizia è possibile sostituire la polizia?

In una storia su Instagram, la deputata Alexandria Ocasio-Cortez ha recentemente risposto alla domanda “che aspetto avrebbe secondo te un’America in cui la polizia non riceve fondi?”. Secondo la deputata, “non serve molta immaginazione”, perché “l’aspetto sarebbe quello di un sobborgo [americano]”. Ha scritto:

“Le comunità bianche benestanti vivono già in un mondo in cui si sceglie di destinare più fondi alla gioventù, alla salute, all’edilizia abitativa, ecc. che alla polizia … Quando un adolescente o un preadolescente fa qualcosa di sbagliato in un sobborgo (e parlo di adolescenza [perché] spesso è quello il periodo in cui, nelle comunità afro e latinoamericane, inizia il ciclo di arresti e scarcerazioni lungo una vita intera), le comunità dei bianchi fanno di tutto per “proteggere il suo futuro”, per trovare alternative all’incarcerazione dei loro cari, come il servizio alla comunità o la riabilitazione o le condotte riparatorie”.

“Perché non trattiamo le popolazioni afro e latinoamericane allo stesso modo? Perché al sistema penale non interessa il futuro dei giovani di colore così come il futuro dei giovani bianchi? Perché i notiziari non usano foto di lauree o foto di famiglia per le storie di neri così come fanno per storie di bianchi che commettono crimini pericolosi (per esempio, Brock Turner)?”

La rivolta nazionale e internazionale contro il razzismo sistemico, gli omicidi e la brutalità della polizia ha ridisegnato il vecchio modello secondo il quale la possibilità di tagliare fondi alla polizia sarebbe un’idea estremista e praticamente impensabile negli Stati Uniti, dove il budget destinato alla polizia è in costante aumento dalla metà degli anni ’90. In tutta la nazione, varie città che avevano previsto un aumento del budget della polizia stanno adesso riducendo e riallocando i finanziamenti ad essa destinati a causa della crescente pressione pubblica generata dalle proteste.

Non è la prima volta che negli Stati Uniti la gente chiede un rinnovamento del sistema o cerca di definanziare e sostituire la polizia. Un tempo, ad esempio, erano le forze dell’ordine a gestire i sistemi di ambulanza nella nazione. Poi, la popolazione chiese che a intervenire fosse del personale medico qualificato. Oggi, con il palesarsi di sistemi di giustizia sociale corrotti e frammentati, è tempo di guardare a programmi, movimenti ed esempi già esistenti ma per molto tempo ignorati o bollati come stravaganti, affinché servano da apripista. È tempo di guardare a leader e a movimenti afroamericani, di ascoltare le voci a lungo messe a tacere o diffamate e di reintegrare i veri investitori, ovvero la gente comune, nel dialogo per una revisione e un risanamento concreti dell’attuale sistema. 

Di fronte alle proteste, le quali continuano a sensibilizzare l’opinione pubblica sulle disuguaglianze e le atrocità degli attuali sistemi di polizia, i funzionari di tutto il paese hanno cominciato a rispondere. Diversi stati e città hanno già annunciato la decisione di definanziare e smantellare a vari livelli gli attuali apparati di polizia. Nel cercare esempi da seguire per guardare avanti e creare sistemi di sicurezza che vadano oltre la polizia, si è scoperta l’esistenza di diverse organizzazioni e programmi di comunità che già da anni lavorano per sostituire l’eccessiva sorveglianza con la sanità pubblica e con alternative basate sui servizi sociali.

Ridisegnare la sicurezza a Minneapolis

Lo scorso 7 giugno, in occasione di una manifestazione, i membri del consiglio comunale di Minneapolis, la città dove sono sorte le attuali proteste in seguito alla morte di George Floyd, avvenuta lo scorso 25 maggio mentre si trovava sotto custodia della polizia, hanno giurato con una maggioranza a prova di veto, di smantellare il proprio dipartimento di polizia e di sostituirlo con sistemi di sicurezza cittadina innovativi. Negli ultimi mesi, la città ha inoltre collaborato con il Dipartimento dei diritti umani del Minnesota per un’indagine ancora in corso sul Dipartimento di polizia di Minneapolis (MPD).

Il Minnesota è stato il primo stato della nazione a impegnarsi nel definanziamento e nello smantellamento del proprio corpo di polizia, e Jeremiah Ellison, membro del Consiglio comunale di Minneapolis, afferma che la città non è interessata ad operare migliorie nei dipartimenti e nei programmi già esistenti all’interno dell’attuale polizia poiché tale approccio, oltre ad essere già stato sperimentato in passato, è anche in gran parte fallito. Al contrario, afferma, la città vuole ripensare completamente la sua risposta a emergenze e conflitti.

“Penso proprio che ci ritroveremo in un territorio inesplorato, e penso che sia giusto così”, dice. “Vogliamo ripensare il DNA della pubblica sicurezza.”

Ellison rimanda alle fondamenta problematiche della polizia americana, originatasi dalle pattuglie schiaviste e dalle leggi Jim Crow che, di fatto, criminalizzavano i neri, i senzatetto e i sindacati, puntando alla repressione della classe operaia e degli americani poveri.

“Stiamo cercando di trasformare sul serio la nostra risposta alle emergenze. Punto”, afferma Ellison. “Il DNA dell’attuale polizia si basa sul profitto e sulla difesa della proprietà. Inoltre, è volto alla cattura di coloro i quali possiedono poco, in modo che questi non creino problemi a coloro i quali, invece, possiedono molto.”

Ellison sostiene inoltre che, nonostante il budget della polizia cittadina sia aumentato, questa non è stata in grado di trovare una soluzione praticabile per far fronte alle crescenti ondate di violenza in città.

“A mio avviso, ciò è la dimostrazione del fatto che c’è bisogno di un sistema diverso”, aggiunge Ellison. Il piano della città è quello di indirizzare i programmi di sicurezza per la collettività lontano dalle risposte punitive e passare a una risposta basata sul benessere della comunità, tenendo conto delle questioni di fondo che conducono alla violenza ed aumentando i servizi di sostegno. Secondo Ellison, il consiglio comunale starebbe prendendo in considerazione anche esempi esterni di servizi sociali e strategie di prevenzione della violenza basati sulla salute pubblica.

Ellison afferma che i membri del consiglio comunale hanno coinvolto gruppi di comunità preesistenti, che da anni sensibilizzano sulle carenze della polizia e richiedono di investire in strategie guidate dalla comunità. Ellison afferma inoltre che il consiglio comunale è giunto alla decisione di smantellare la polizia dopo anni di discussioni e lamentele da parte della comunità e, in particolare, da parte di organizzazioni di attivisti di base come Reclaim the Block e Black Visions Collective. Entrambe le organizzazioni sostengono da anni la necessità di una completa trasformazione/abolizione del Dipartimento di polizia di Minneapolis (MPD) e hanno esercitato una pressione determinante, durante le recenti proteste, affinché la città operasse dei cambiamenti nelle forze dell’ordine.

Reclaim the Block e Black Visions Collective hanno entrambe ospitato la manifestazione che ha visto la promessa della maggioranza del consiglio comunale di sciogliere il Dipartimento nonché “creare un nuovo modello di trasformazione per coltivare la sicurezza”, come affermato nella risoluzione ufficiale del consiglio comunale.

Al pari di Reclaim the Block e Black Visions Collective, l’iniziativa fondata sulla comunità chiamata MPD150 – composta da organizzatori, attivisti, artisti e ricercatori locali – ha sollecitato la città a smantellare e ristrutturare il violento Dipartimento di Polizia a favore di programmi orientati alla comunità. Il gruppo cura i dati storici e le narrazioni che illustrano la storia dei 150 anni del MPD, una storia per gran parte violenta.

La comunità dei nativi americani della città, che ammonta a circa 150.000 residenti, lavora attivamente, dagli anni ’60, contro la violenza della polizia. Come scrive Delilah Friedler in un recente articolo apparso su Mother Jone:

“Un’analisi della CNN dei dati dei Centri per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie ha rilevato che, tra il 1999 e il 2015, i nativi americani avevano una probabilità leggermente maggiore rispetto ai neri di morire per mano delle forze dell’ordine, nonostante il rapporto fosse spesso di 1:1 e profondamente intrecciato.”

In risposta alla dilagante brutalità della polizia, i gruppi indigeni della città hanno lanciato nel 1968 a Minneapolis l’American Indian Movement (AIM). Da allora, l’AIM è diventata un’organizzazione nazionale per i diritti civili.

In merito ad AIM, Friedler scrive:

“Fin dall’inizio, i membri di AIM si sono offerti volontari per pattugliare i quartieri allo scopo di documentare la dilagante violenza del Dipartimento di polizia di Minneapolis contro i nativi; violenza che presumibilmente comprendeva anche omicidi a sangue freddo e stupri”.

L’AIM Patrol lavora attivamente da allora all’interno della città e in tutto il paese per ridurre la violenza della polizia e fornire un sostegno sul campo alla comunità. Come sottolinea l’articolo di Friedler, a seguito della decisione del consiglio comunale di sciogliere il MPD, Reclaim the Block e Black Visions Collective hanno rimarcato l’importanza degli sforzi di AIM nel contesto del movimento più ampio in un comunicato stampa di giugno affermando che l’attuale movimento è stato “costruito fianco a fianco alla presenza e all’eredità” di AIM Patrol.

L’opera di AIM mira a “scoraggiare sia la violenza della polizia che quella intracomunitaria, intervenendo o semplicemente testimoniando allo scopo di individuarne i responsabili”, scrive Friedler. Donne, anziani e chiunque altro si senta insicuro può chiedere ai membri di AIM di essere scortato. Talvolta, questi ultimi offrono anche cibo e altre risorse ai senzatetto della città. Inoltre, hanno discusso sulle possibili modalità di sostituzione dei poliziotti come primi soccorritori durante le crisi psichiatriche. 

Curare la violenza

Il modello di Cure Violence, programma attualmente operativo a New York, adotta un approccio di sanità pubblica alla prevenzione della violenza. Sviluppato dall’epidemiologo Gary Slutkin, Cure Violence affronta il crimine e la violenza nello stesso modo in cui gli operatori sanitari affrontano il contenimento delle epidemie: identificando la fonte della diffusione e bloccandola alla fonte. I suoi addetti alla divulgazione e alla sensibilizzazione vengono specificatamente formati allo scopo di mitigare i conflitti sul campo. Il programma impiega inoltre degli addetti cosiddetti “interruttori di violenza” ovvero messaggeri credibili o membri fidati delle comunità in cui lavorano, per risolvere i conflitti sul campo con i membri delle bande o altri individui che potrebbero verosimilmente prendere parte alla violenza di rappresaglia.

Il programma è stato inizialmente attuato sotto il nome di CeaseFire nelle zone ad alta criminalità di Chicago. La valutazione triennale del programma, pubblicata nel 2009 dal Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, ha evidenziato riduzioni significative della criminalità. Il rapporto afferma verso la fine che “[L]a valutazione ha mostrato che il programma ha reso i quartieri più sicuri. CeaseFire ha ridotto le sparatorie e le uccisioni”.

Da allora il programma si è allargato a diverse città statunitensi. Uno studio indipendente del 2012 sul programma partner di Cure Violence Safe Streets in Baltimore, commissionato dai Centri per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie e condotto dalla Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health, ha attribuito al programma il merito di aver ridotto significativamente il crimine violento.

A New York sono al momento attivi 25 programmi di Cure Violence operativi per tutta la città. Il John Jay College of Criminal Justice ha condotto una valutazione approfondita di due di questi programmi: il Man Up! Inc. nell’East New York a Brooklyn, e il Save Our Streets South Bronx. La valutazione, pubblicata nel 2017, ha messo a confronto ciascuno dei due quartieri in cui operavano i programmi di Cure Violence con quartieri che presentano tendenze demografiche e criminali simili ma privi dei programmi di Cure Violence.

Sheyla Delgado, vicedirettrice per l’analisi presso il John Jay College e ricercatrice per la valutazione di Cure Violence, afferma che i confronti offrono prove promettenti a favore dell’approccio di sanità pubblica del programma nella riduzione della violenza. Secondo Delgado, ciò che sembrerebbe differenziare Cure Violence da altri programmi simili, che pure operano in favore della riduzione della violenza, è il suo umanizzare tutti i suoi partecipanti.

“Cure Violence non ritiene che le persone siano cattive; le ritiene malate e ritiene che il programma sia la loro possibilità di cura”, afferma.

Il Centro per la ricerca e la valutazione del John Jay College of Criminal Justice ha avviato la sua valutazione di Cure Violence nel 2012. I ricercatori si sono recati in visita nei siti del programma, hanno intervistato il personale in merito a Cure Violence e raccolto dati dal Dipartimento di Polizia di New York (NYPD) e dal Dipartimento della Sanità dello Stato sugli episodi di violenza cittadina. Tra il 2012 e il 2016, i ricercatori hanno inoltre condotto sondaggi annuali tra giovani uomini in 12 quartieri di New York, di cui alcuni serviti da programmi Cure Violence e altri meno.

Delgado sostiene che la scelta di operare un approccio alla ricerca orientato verso le persone, così come la decisione di utilizzare quartieri equiparabili, rendono l’approccio alla ricerca particolarmente forte. Secondo Delgado, tutto ciò contribuisce inoltre a fornire un quadro forse più sfaccettato del reale funzionamento del programma Cure Violence a livello umano.

“Ciò che abbiamo scoperto e pubblicato in merito ai risultati di Cure Violence è stato finora davvero positivo”, aggiunge. “Nei quartieri di New York City che attuano Cure Violence abbiamo osservato un netto calo della violenza armata e dell’espressione di norme sociali pro-violenza, elementi che misuriamo nelle nostre analisi”.

Ciò che Delgado ritiene rilevante in merito all’approccio di Cure Violence è che il programma mantiene un rigoroso anonimato riguardo alle interazioni tra lavoratori e membri della comunità, il che sembra rafforzare la credibilità del programma nelle comunità in cui viene realizzato.

Delgado fa presente che il metodo di ricerca tradizionale consisterebbe nel monitorare la gente nel tempo proprio grazie a programmi come Cure Violence ma, per via dell’anonimato del programma, ciò non è possibile. Nondimeno, ritiene che questo sia in realtà un aspetto positivo.

“In nome della ricerca non dobbiamo incoraggiare programmi come questo a violare i propri principi fondamentali, allo scopo di renderci più agevole la valutazione della loro efficacia”, afferma Delgado sottolineando che parte del motivo per cui si interessa alla valutazione dei programmi correlati alla violenza e alla sicurezza è la necessità di ottimizzare i sistemi di sicurezza negli Stati Uniti.

“Desidero realmente migliorare in modo tangibile la sicurezza pubblica per tutti, e non soltanto per coloro i quali detengono una maggiore visibilità politica”, dice. Delgado osserva che in fatto di indagini sulla criminalità, vi è una sfida significativa, intrinseca del processo stesso, in quanto la maggior parte dei dati disponibili proviene dai dipartimenti di polizia e, spesso, può trattarsi di dati fallaci.

“Decidere quali quartieri o persone prenderanno parte al nostro studio, scegliere quali risultati monitorare o per quali crimini raccogliere e ordinare dati, sono tutte operazioni che intraprendiamo all’inizio di un progetto e sono molto impegnative e determinanti per la creazione di possibili bias nei risultati”, afferma. “Negli ultimi otto anni, ho lavorato a stretto contatto con i dati sulla criminalità forniti dal Dipartimento di polizia di New York (NYPD) e oggi sono convinta più che mai del fatto che quei verbali siano solo un riflesso dell’attività della polizia e di ciò che le viene chiesto di registrare”. Secondo Delgado, i dati del NYPD “non rispecchiano i livelli di criminalità della comunità né della città in generale”.

“I problemi riscontrati in quei rapporti sono molti, così come molti sono i rapporti a cui non abbiamo tuttora accesso”, afferma. “Per me è molto importante far sapere al mondo che i dati della polizia sono solo un riflesso della sua attività. Non rispecchiano la reale sicurezza pubblica di una data comunità”.

Advance Peace, fondato nel 2009 in California, è un altro programma degno di nota. Il suo approccio è simile a quello di Cure Violence. Advance Peace “stabilisce strategie reattive e orientate alla comunità che ottengono risultati ad alto impatto per coloro che sono coinvolti nel ciclo della violenza armata urbana”.

Il programma Advance Peace fu fondato dopo che il dipartimento di polizia di Richmond, in California, dichiarò nel 2009 che meno di 30 uomini erano responsabili del 70% dei reati commessi con armi da fuoco nella zona. Il programma venne lanciato l’anno successivo, con l’istituzione della “Peacemaker Fellowship”, una borsa di studio che fornisce ai giovani uomini coinvolti in reati letali con armi da fuoco una “opportunità di trasformazione”.

Comunità in sicurezza a Newark, nel New Jersey

Negli ultimi sei anni, la città di Newark, nel New Jersey, è riuscita a ridurre il suo tasso globale di criminalità grazie a uno sforzo coordinato a livello cittadino che combina l’approccio anti-criminalità di programmi come Cure Violence e Advance Peace, con la partecipazione della collettività attraverso servizi di supporto a livello di comunità e iniziative che rientrano nella sfera di competenza del cosiddetto Newark Community Street Team (NCST).

Il sindaco della città, Ras Baraka, ha lavorato con Aqeela Sherrills, organizzatore di lunga data, alla creazione di un approccio su tre fronti alla riduzione della violenza della comunità. Sherrills, al timone dello storico trattato di pace tra i Bloods e i Crips a Watts, Los Angeles, nel 1992, è consulente senior dell’Alliance for Safety and Justice (ASJ), organizzazione che lavora con diversi stati per sostituire la sovra-incarcerazione con programmi di prevenzione della criminalità, sanità nella comunità, riabilitazione e sostegno ai sopravvissuti alla criminalità. Aqeela Sherrills è inoltre co-fondatore di Crime Survivors for Safety and Justice (CSSJ).

Il primo polo del modello di riduzione della violenza di Newark è l’intervento, simile alle strategie di “interruzione” operate da Cure Violence.

“Il nostro team di intervento ad alto rischio opera in conflitti individuali e di gruppo, sia presenti che passati”, afferma Sherrills in un’intervista rilasciata lo scorso giugno all’Independent Media Institute. “Manteniamo un rapporto diretto con i nostri ospedali. Il nostro primo piano d’intervento contro la violenza si basa sull’ospedale cittadino, di cui i nostri operatori assistenziali sono parte integrante. In questo modo, quando le persone della comunità vengono ferite e si recano in ospedale per ricevere assistenza, sviluppiamo un piano di sicurezza. Non ci si può limitare a incerottare la gente, fornirle un servizio psicosociale e poi rispedirla nella comunità. È necessario impostare un piano di sicurezza in modo che quando [qualcuno] torna a casa, su quel conflitto si è già intervenuto e mediato, così che quel qualcuno non torni [a casa] semplicemente per essere colpito nuovamente e poi ritornare subito [in ospedale].”

Il secondo polo è il programma cittadino Safe Passage, che utilizza messaggeri credibili, rispettati nelle comunità in cui lavorano, per scortare i bambini da e verso la scuola.

“Il nostro studio, condotto con il dipartimento della sanità, ha evidenziato come la violenza avvenga dentro e intorno alle scuole più spesso che in qualsiasi altro luogo”, afferma Sherrills. “Qualcosa accade in un campus scolastico il venerdì e si espande [nella] comunità durante il fine settimana. Durante il fine settimana, si scatena un conflitto nella comunità e questo si riversa nel campus il lunedì successivo. Così, abbiamo lanciato Safe Passage, un programma basato sulla testimonianza… Il nostro staff [è composto da] ex membri di gang, ex detenuti e altri messaggeri credibili del quartiere. Il novantotto per cento del nostro personale risiede nella comunità in cui serve. Quando la gente li incontra per strada, l’immagine di questi individui cambia da predatori del vicinato a portatori di soluzioni e risolutori di problemi, dissuadendo così dal conflitto e dalla violenza.”

Il terzo polo, che Sherrills chiama la “teoria del cambiamento” della città, si concentra sul sostegno alle vittime attraverso un accesso migliorato ai servizi per le vittime, compreso il supporto per i traumi.

“Abbiamo accesso ai fondi statali del Victims of Crime Act“, aggiunge Sherrills. “Abbiamo un avvocato a tempo pieno che aiuta le persone a compilare il modulo di richiesta per le vittime di reati. Mettiamo in contatto la gente con i servizi legali pro-bono dei nostri partner alla Rutgers University. Forniamo tutoraggio attraverso un modello di gestione dei casi. Nove dei nostri operatori assistenziali si occupano anche di tutoraggio attraverso un modello di gestione dei casi”.

L’NCST ha inoltre creato una linea telefonica gratuita che offre ai residenti che vivono o assistono a un problema domestico o un conflitto la possibilità di chiamare i membri della comunità per mediare la situazione, anziché la polizia.

“Potete chiamarci direttamente”, assicura Sherrills. “E metteremo a vostra disposizione una persona della comunità addestrata alla risoluzione dei conflitti e alla mediazione, che conosca le pratiche focalizzate sul trauma, in modo da poter far fronte alla vostra situazione e aiutarvi a mediare verso un esito pacifico”.

Sherrills osserva che tutti e tre i programmi lavorano insieme per creare una struttura di sicurezza completa. Inoltre, la città gestisce un forum sulla politica di comunità chiamato Tavola rotonda sulla sicurezza pubblica. Lì i residenti, tra cui funzionari eletti, forze dell’ordine, organizzazioni basate sulla comunità e gruppi religiosi, si incontrano due volte al mese per affermare la propria responsabilità reciproca sui servizi che intendono fornire.

“È un approccio olistico”, aggiunge Sherrills. “Quando parliamo di intervento di comunità, alcuni pensano che l’unico compito sia interrompere lo scontro, come fa la polizia. E io rispondo che non è così. Interveniamo, sì, ma poi ci occupiamo anche della ritorsione, teniamo sotto controllo le voci che corrono, mettiamo la gente in contatto con i servizi per le vittime e, dopo, con molti altri servizi per supportarle nella loro guarigione”.

Uno sguardo sull’Oregon e a CAHOOTS

A vari livelli, diverse città statunitensi si sono unite a Minneapolis giurando anch’esse di smantellare e riorganizzare i loro sistemi di polizia in nuovi sistemi orientati ai servizi. San Francisco e Los Angeles, ad esempio, si sono entrambe impegnate a riassegnare tutte le chiamate non violente a servizi esterni alla polizia. San Francisco, Los Angeles e Denver hanno specificamente indicato il programma CAHOOTS (Crisis Assistance Helping Out On The Streets) di Eugene, nell’Oregon, come modello da seguire per indirizzare con successo, lontano dalla polizia, le risposte non emergenziali e, in particolare, quelle relative alle crisi mentali. Il personale di CAHOOTS non è composto da agenti delle forze dell’ordine e non è armato; fa affidamento sulla formazione e su un approccio basato sulla risoluzione nonviolenta dei conflitti. 

Da 31 anni, il programma CAHOOTS offre servizi di sicurezza pubblica basati sulla comunità, nella città di Eugene e nella vicina Springfield. Lanciato nel 1989 dal Dipartimento di Polizia di Eugene e dalla White Bird Clinic come servizio di “polizia di comunità”, il programma rappresenta un servizio di primo intervento di salute mentale per crisi relative a malattie mentali, mancanza di fissa dimora e dipendenze. Come altri servizi di emergenza quali vigili del fuoco e la polizia, CAHOOTS è un programma di intervento in situazioni di crisi attivo 24 ore su 24, 7 giorni su 7. I dipendenti di CAHOOTS vengono inviati sul posto tramite il centralino di emergenza di Eugene che comprende anche polizia, vigili del fuoco e ambulanza. Il team inviato sul posto sarà composto da personale medico – un infermiere o un soccorritore – e un operatore in situazione di crisi con molti anni di esperienza nel campo della salute mentale.

L’innovativa partnership tra polizia e servizi sociali proposta dal programma CAHOOTS è diventata un faro nazionale sul modo di ripensare, possibilmente e con successo, gli interventi non emergenziali. Uno studio pubblicato sull’American Journal of Preventive Medicine nel 2016 ha stimato che dal 25 a oltre il 50% degli incontri con le forze dell’ordine rivelatisi mortali, hanno coinvolto un individuo affetto da malattia mentale. CAHOOTS ha permesso alla città di Eugene di evitare la maggior parte degli incontri tra la polizia e individui affetti da problemi mentali. Secondo dati interni, nel 2019 i rinforzi della polizia sarebbero stati richiesti soltanto 150 volte “su un totale di circa 24.000 chiamate CAHOOTS”.

Sul sito web del programma, CAHOOTS risponde alle chiamate e offre servizi di sostegno relativi, tra gli altri, a:

• Consulenza in circostanze di crisi

• Prevenzione, valutazione e intervento in situazioni di tentato suicidio

• Risoluzione dei conflitti e mediazione

• Lutto e altre perdite

• Abuso di sostanze

• Crisi abitativa

• Pronto soccorso e cure mediche non urgenti

• Servizi di collocamento e referenze

• Trasporto nei luoghi dei servizi

Oltre a fornire ai residenti un’alternativa alla chiamata alla polizia, il programma CAHOOTS permette alla città di risparmiare denaro. Il budget del programma ammonta a circa 2,1 milioni di dollari l’anno, mentre i bilanci annuali combinati dei Dipartimenti di polizia di Eugene e Springfield ammontano a 90 milioni di dollari. Secondo CAHOOTS, nel 2017 le squadre del programma hanno risposto “al 17% del volume complessivo delle chiamate giunte al Dipartimento di polizia di Eugene” e il programma farebbe “risparmiare alla città di Eugene una spesa stimata di 8,5 milioni di dollari all’anno”.

Heather Sielicki, coordinatrice delle operazioni del programma, afferma che il successo di CAHOOTS si basa sulla necessità di un “vicinato che aiuta i vicini ad avvicinarsi”.

“Spesso la gente della comunità chiama e richiede il nostro aiuto perché sa di poter fare affidamento su di noi per contribuire a trovare una soluzione di natura non punitiva ai bisogni umani”, afferma. “CAHOOTS non è interessata a imporre l’impossibile, ma a lavorare affinché si trovino delle possibilità in circostanze difficili e per alleviare le crisi nell’immediato”.

L’articolo è stato realizzato da Local Peace Economy, un progetto dell’Indipendent Media Institute

Traduzione dall’inglese di Lavinia Messina. Revisione di Ilaria Cuppone