“Per me è sempre stato un mistero perché gli uomini si sentano onorati quando impongono delle umiliazioni a propri simili.” (Mahatma Gandhi).
Ho sempre pensato che la gente non sia cattiva, ma che non sappia cosa accada nell’inferno delle nostre “Patrie Galere”, o come funzioni la giustizia in Italia.
Questo spiega perché molti fanno spesso queste affermazioni: “Devono marcire in carcere”; “Buttate via la chiave”; “Occhio per occhio, dente per dente” (in questo modo si rischia di diventare ciechi e senza denti); “E alle vittime dei reati chi ci pensa?”; “Se l’è cercata”; “Ci dovevano pensare prima”, ecc… Con queste convinzioni molte persone dormono sonni tranquilli e beati, fin quando in carcere magari ci finiscono loro, o qualche loro parente. Io invece penso che sia importante che le persone sappiano e s’interessino di quello che accade e di come funzionino i loro ospedali, le loro scuole e le loro carceri, anche per sapere come vengono spesi i loro soldi. Si sa, i dati ufficiali lo confermano, che le nostre “Patrie Galere” producono il 70% di delinquenza e recidiva, ma nessuno interviene per chiudere le carceri che non funzionano o per migliorarle. Se questo accadesse per un ospedale o per una scuola, di sicuro qualcuno farebbe qualcosa, invece molte persone sembrano quasi contente che il carcere sia solo un luogo di sofferenza. Non si rendono conto però che molti prigionieri prima o poi usciranno e usciranno più cattivi di quando sono entrati.
In passato hanno provato in tutti i modi a sconfiggere la criminalità: con la tortura, con la pena di morte, con la ghigliottina, ma nessuna di queste cose ha mai funzionato, perché la sofferenza non è mai un deterrente. Il male produce altro male, dovremmo almeno imparare dalla storia. Penso, o mi piace pensare, che i morti perdonino, sono piuttosto i vivi che chiedono giustizia ma in realtà vogliono vendetta. E che vendetta sia, se fa bene ai vivi e ai morti.
Ecco una testimonianza di chi ha subito la mafia della giustizia vendicativa:
“Ciao Carmelo, ho letto il tuo ultimo post. Ad aprile dell’anno scorso è morto mio nonno, ergastolano in attesa di sentenza di secondo grado, vittima di un processo senza fondamenta. È morto a due settimane dalla concessione dei domiciliari e dopo un anno di sofferenze atroci a causa di un cancro non curato nelle mura carcerarie. Dopo oltre 8 mesi di dolore e malattia in cui non ha ricevuto cure e in cui il suo malessere non è stato preso sul serio, gli è stato amputato il pene e diagnosticato un tumore in fase terminale. Neanche a quel punto lo hanno lasciato tornare dalla sua famiglia e dai suoi cari, sono passati altri due mesi prima di poterlo riavere con noi, ma non era più lui: un fantasma, depresso, stremato, magrissimo (lui che per tutta la vita è stato obeso), incapace di comunicare e di capire. È morto due settimane dopo il ricovero in ospedale, reparto malati terminali. Non c’era ormai più nulla da fare. Ed è proprio questo nulla da fare, questa impotenza di fronte ad un sistema carcerario e giudiziario disumano, che da mesi attanaglia me e la mia famiglia, che continua a tenerci prigionieri di sentimenti di rabbia e di dolore che non possono, e credo non debbano, essere cancellati prima di avere giustizia. Ti scrivo questo perché vorrei ringraziarti per quello che scrivi, per le informazioni che diffondi e per gli ideali che cerchi di portare avanti. La tua (ma anche la nostra in piccolo) è una battaglia di umanità, la grande assente di un sistema carcerario che non rieduca, ma che sicuramente uccide, incattivisce, non rispetta la dignità delle persone, che punisce, priva di libertà e affetti.”