Dal l’11 al 13 Settembre la sessione 2020 dell’Università Estiva di Attac Italia a Cecina Mare (LI).
Maggiori info: https://www.attac-italia.org/universita-estiva-2020-di-attac-italia/
Questa edizione dell’università estiva di Attac Italia, nel mezzo della prima pandemia davvero globale, può trarre in inganno. Potrebbe far pensare a un’edizione minore, messa insieme faticosamente per onorare una tradizione, senza particolari ambizioni. In attesa che la tempesta sia passata.
Non è così. La pandemia non segna una sorta di tregua, o di parentesi, da lasciar passare il più in fretta possibile in attesa di tempi migliori. Non riprenderemo come se nulla fosse stato dal punto in cui l’irrompere del Covid 19 ha prodotto un’interruzione. La pandemia ha portato grosse novità, accelerando processi già in atto e introducendo fatti nuovi.
L’università di quest’anno, lungi dall’essere un adempimento consuetudinario, è un passaggio molto ambizioso in un percorso che la nostra associazione ha intrapreso con decisione, dopo una gestazione interna di alcuni anni, con una serie di iniziative che oggi sfociano nell’indicazione della “società della cura” come orizzonte politico di lunga durata.
Sono passati 40 anni da quella “marcia dei 40.000” quadri e dipendenti della FIAT che in Italia, secondo molti commentatori, segnò la fine di un ciclo di lotte e di conquiste sociali e civili.
In contemporanea con l’arrivo del governo Thatcher in Gran Bretagna e l’elezione di Ronald Reagan negli Usa, l’Italia vedeva l’inizio di una nuova era, la riscossa dei ceti proprietari con la separazione tra Tesoro e Banca d’Italia, l’inizio della dissoluzione dei partiti di massa e della relativa autonomia dello Stato, il trionfo del verbo neoliberale, nel contesto di profonde trasformazioni strutturali che vanno sotto il nome, complessivamente, di globalizzazione guidata dalla finanza speculativa, ossia quella finanza che non è una funzione della produzione, ma serve unicamente a trasferire denaro da molte tasche a poche tasche.
Ebbene, dopo 40 anni i pregi (pochi) e i difetti (molti) della globalizzazione neoliberale sono evidenti, al punto che si può tranquillamente parlare di fallimento di quel modello, in cui siamo ancora immersi, ma con importanti aggiustamenti ancora solo agli inizi, poiché la realtà non segue i modelli, dato che essa è dinamica e creativa, mentre i modelli sono statici e ripetitivi.
Un fallimento reso evidente da due aspetti della crisi pesantemente irrisolti: la questione climatica, che richiede, per la prima volta nella storia, tempi rapidi di inversione di rotta e la questione sociale, che vede una forbice mai così ampia fra chi ha e chi non possiede nulla.
Se la globalizzazione neoliberale è fallita sotto molti punti di vista: economico, ambientale, sociale geopolitico -e proprio la pandemia l’ha reso ancora più evidente, soprattutto dopo il precedente della crisi del 2008- le tradizionali alternative sono fallite anch’esse: sia quella delle esperienze del cosiddetto socialismo reale, sia quella socialdemocratica, sia, infine, le esperienze latinoamericane del socialismo del XXI secolo, tuttora in corso, ma con pesanti problemi legati alla subalternità all’ideologia estrattivista nella relazione fra economia, società e natura.
E allora? I movimenti che si battono per ridurre i danni causati da questo modello che prospettive hanno? Le soluzioni puntualmente alternative proposte dai movimenti locali e tematici alla prova dei fatti sono solo apparentemente razionali, in realtà si tratta di una razionalità astratta, che suppone condizioni che non esistono.
La manutenzione invece delle grandi opere, la strategia rifiuti zero, lo stop al consumo di territorio, l’accoglienza dei migranti, la conversione delle fabbriche di armamenti, la conversione ecologica dell’economia, la decrescita felice, la rivalutazione del lavoro, la partecipazione dei cittadini ai processi decisionali…sono tutti programmi tanto necessari quanto inattuabili, almeno nella forma autentica e completa, perché distruttivi delle attuali condizioni di funzionamento delle società umane.
Oggi la condizione di ogni produzione è un’adeguata remunerazione del capitale investito, in una contabilità dove contano solo i valori di mercato e non l’utilità effettiva di ciò che viene prodotto.
E’ evidente che la negazione di tale condizione, assolutamente necessaria per una società sostenibile ambientalmente e socialmente, è invece letale per il sistema, con fuga di capitali, impoverimento, disoccupazione, fughe di massa ecc.
Oggi ci troviamo sempre più spesso davanti alla scelta tra la politica che gestisce il presente (sempre più malamente) con un vago richiamo ai valori costituzionali, da una parte, e la politica identitaria, razzista e fascistoide dall’altra, dalla nostra Italia fino agli USA.
Perciò abbiamo sviluppato progressivamente una discussione su questi temi, finché non ci siamo persuasi dell’assoluta necessità, per l’affermazione degli obiettivi che uniscono trasversalmente e potenzialmente definiscono l’area politica e valoriale a cui sentiamo di appartenere, di renderne espliciti i contenuti e di organizzarli in un progetto politico coerente, ancorché flessibile e plurale.
La discussione si è sviluppata in Attac Italia piuttosto faticosamente, date la difficoltà incontrate, perfino nella semplice definizione del problema. Le insidie sono numerose. I trabocchetti ben dissimulati.
Il rischio di una discussione “teologica”, dogma contro dogma, o, al contrario, soggettività contro soggettività, lacerante, inconcludente, in definitiva frustrante e distruttiva, sono altissimi.
Due sono state alla fine le scelte che finora si sono rivelate utili e produttive: procedere con gradualità, senza mai staccarsi dall’analisi dei fatti concreti e coinvolgere il più possibile l’intera associazione (e non solo) con modalità che diano la parola a tutti, nella convinzione che le esperienze e il vissuto di ciascuno siano importanti, degni di ascolto e considerazione quanto le più raffinate analisi teoriche.
La prima prova di questo percorso l’abbiamo avuta con l’assemblea nazionale del dicembre 2018 a Bologna. In quella sede sono state presentate 4 relazioni e si è consolidata l’indicazione del tema nella formula “la società che vogliamo”.
I partecipanti sono stati divisi in 4 gruppi, ognuno dei quali ha discusso una delle 4 relazioni,
Questa modalità ha incontrato il favore dei presenti e ha dato interessanti risultati, che hanno spinto a organizzare in modo simile l’università estiva dell’anno scorso. Il successo si è ripetuto e, a quel punto, è divenuto maturo il passaggio a una formulazione più avanzata della ricerca che come Attac Italia stiamo compiendo. La formulazione completa è “uscire dall’economia del profitto, costruire la società della cura”.
Abbiamo inoltre definito due tipi di approccio, che abbiamo chiamato il “cosa” e il “come”, ossia da un lato l’identificazione dei tratti caratteristici della società della cura (“cosa”), dall’altro le modalità organizzative e il percorso politico che possa condurre a quei risultati (il “come”).
Il percorso che stiamo portando avanti non è solo una discussione interna ad Attac Italia.
Esso si sostanzia di azioni politiche coerenti, come il progetto di due leggi di iniziativa popolare in tema di finanza locale (e non solo locale), e la lettera aperta che ha suscitato un’ampia convergenza di realtà associative e di movimenti, oggi appena agli inizi, ma già molto promettente.
Ovviamente, come sempre, Attac Italia non è interessata a piantare bandierine, né ad attribuirsi alcun ruolo preferenziale.
Diamo perciò inizio a questa università con l’ambizione di compiere qui ancora un tratto di cammino, con l’aiuto delle relatrici e dei relatori e il contributo di ciascuno di noi.
Senza ansia da prestazione, ma con l’atteggiamento di chi si sente, già qui, immerso nella “società della cura” che vogliamo costruire per garantire la continuità della vita della specie umana, una vita degna e bella, per quanto possibile.
La cura non va intesa come assistenza, come qualcuno che dà e qualcuno che riceve. Essa è una relazione sociale, è un modo di intendere la vita e il senso dell’esistenza. Richiederà condizioni “economiche” e cornici istituzionali, legali, procedurali, ma soprattutto vivrà nella coscienza delle persone, nelle strutture profonde dell’affettività di ognuno verso ogni creatura vivente.