Dopo anni di dibattiti sulla possibilità o meno di abbandonare il dollaro americano, la Russia e la Cina lo stanno facendo davvero. Nel primo trimestre del 2020, la quota del dollaro nel commercio tra questi paesi è scesa, per la prima volta, sotto il 50%.
La Goldman Sachs ha lanciato un monito sul rischio del dollaro di perdere il proprio status di valuta di riserva mondiale. Così, la Goldman Sachs Group Inc. ha puntato i riflettori sull’improvvisa e crescente preoccupazione per l’inflazione negli Stati Uniti.
Mentre il Congresso degli Stati Uniti tenta di concretizzare un altro ciclo di incentivi fiscali per sostenere l’economia, devastata dalla pandemia, e mentre la Federal Reserve (Fed) quest’anno ha già gonfiato il suo bilancio di circa 2,8 trilioni di dollari, gli strateghi della Goldman hanno avvertito che la politica degli Stati Uniti sta innescando “timori di deprezzamento della valuta”, che potrebbero porre fine al regno del dollaro come forza dominante nei mercati valutari globali.
Anche se, nella maggior parte degli ambienti finanziari, questa opinione è nettamente minoritaria, e nonostante gli analisti della Goldman affermino che ciò non accadrà necessariamente, questo mese un senso di agitazione aleggia nel mercato: gli investitori, preoccupati che una tale stampa di cartamoneta possa innescare l’inflazione negli anni a venire, hanno lasciato il dollaro e si sono tuffati furiosamente nell’oro.
L’oro è la valuta di ultima istanza
“L’oro è la valuta di ultima istanza, soprattutto in un ambiente come quello attuale, in cui i governi stanno svalutando le loro monete fiat e spingendo i tassi di interesse reali ai minimi storici”, hanno scritto gli analisti della Goldman, tra cui Jeffrey Currie. Ci sono ora, hanno detto, “preoccupazioni reali sulla longevità del dollaro come valuta di riserva”.
Secondo la relazione della Goldman, la riluttanza iniziale di Wall Street a lanciare l’allarme sull’inflazione a inizio pandemia sta svanendo. Dopo essere stati duramente scossi dalle infauste previsioni su un rialzo improvviso dei prezzi, a seguito di incentivi monetari e fiscali successivi alla crisi finanziaria del 2008, molti analisti hanno esitato a rinnovare tali appelli ora, soprattutto con l’economia che sta affondando in una grave recessione.
Ma con l’oro che impenna a livelli record e le previsioni degli obbligazionisti sull’inflazione, il cui numero aumenta quasi giornalmente, anche se in modo molto esiguo, il dibattito sugli effetti a lungo termine degli incentivi si è fatto più acceso.
Il tasso di inflazione di pareggio a 10 anni, ovvero il divario tra i rendimenti del debito nominale e quelli legati all’inflazione, è salito a circa l’1,51%, contro lo 0,47% di marzo. Questo ha visto i rendimenti reali, che eliminano l’impatto dell’inflazione, scendere ulteriormente sotto lo zero, a circa 0,93% sulle obbligazioni di analoga scadenza.
“I bilanci allargati che ne derivano e la creazione di moneta in vaste proporzioni alimentano i timori della svalutazione”, hanno scritto gli analisti della Goldman. Hanno anche affermato che questo crea “una maggiore probabilità che, quando l’attività economica si sarà normalizzata in futuro, ci saranno incentivi per le banche centrali e i governi, che consentiranno all’inflazione di impennare al fine di ridurre l’onere del debito accumulato”.
La febbre dell’oro evidenzia la crescente preoccupazione per l’economia mondiale.
La Goldman ha rivisto le proprie previsioni annuali e ha valutato maggiormente l’oro, passando agli iniziali 2000 dollari l’oncia a 2300 dollari l’oncia. Al momento, l’oro ha un valore di circa 1950 dollari all’oncia. La banca vede i tassi di interesse reali statunitensi continuare a scendere, aumentando, così, il valore dell’oro.
Il Bloomberg Dollar Spot Index è sulla buona strada per il peggior luglio degli ultimi dieci anni. Il calo è dovuto ai nuovi appelli sulla svalutazione del dollaro a seguito del pacchetto di salvataggio dall’Unione Europea che ha cambiato le carte in tavola, stimolato la crescita dell’euro, e che porterà all’emissione congiunta di debiti.
Secondo l’ultima indagine triennale della Banca dei Regolamenti Internazionali, il dollaro statunitense è utilizzato nell’88% di tutti gli scambi di valuta; secondo i dati dell’FMI, rappresenta ancora circa il 62% delle riserve mondiali di valuta estera, nonostante sia in calo rispetto a un picco di oltre l’85% negli anni Settanta.
Una montagna di debiti sempre più alta
Per la Goldman, il crescente livello del debito negli Stati Uniti (il quale attualmente supera l’80% del prodotto interno lordo della nazione) e altrove, aumenta il rischio che le banche centrali e i governi possano permettere un’accelerazione dell’inflazione.
Proprio sull’inflazione, gli investitori sono pronti a saperne di più sul punto di vista della Fed e sulle ultime politiche decisionali. “Finché non riusciremo a raggiungere la Fed, il dollaro potrebbe rafforzarsi man mano che gli investitori bloccano i profitti”, ha affermato in una nota Edward Moya, analista di mercato.
La Goldman Sachs ha associato la corsa del metallo a una “potenziale inclinazione nella Fed verso un pregiudizio inflazionistico in un contesto di crescenti tensioni geopolitiche, di elevata incertezza politica e sociale interna degli Stati Uniti e di una seconda ondata di infezioni legate al Covid-19”.
“L’oro è la valuta di ultima istanza, soprattutto in un contesto come quello attuale, in cui i governi stanno svalutando le loro monete legali e spingendo i tassi di interesse reali ai minimi storici”, ha detto la banca. “Con un ulteriore calo previsto dei tassi di interesse reali statunitensi, da marzo stiamo ancora una volta ribadendo la nostra lunga raccomandazione sull’oro”.
Di anno in anno, l’oro ha guadagnato più del 27% ed è attualmente scambiato a circa 1.940 dollari l’oncia.
La Fed affronta la minaccia valutaria
Le previsioni sulla caduta del potente dollaro americano, dal suo status attuale a ultima misura di valuta, non sono certo una novità.
I “Gold bug” (termine un po’ scortese per riferirsi a chi è convinto che il metallo giallo sia l’unico investimento veramente sicuro) lanciano, ogni paio d’anni, attacchi contro la sicurezza del dollaro.
L’euro è stato un aspirante candidato, ma ha avuto molti problemi di per sé. Paesi che non vanno d’accordo con gli Stati Uniti, tra cui l’Iran, hanno condannato l’assurdità di dover vendere il loro petrolio a paesi terzi in dollari.
Dopo il crollo finanziario globale del 2008, l’allora banchiere centrale cinese Zhou Xiaochuan ha criticato l’uso della moneta di un singolo paese come standard mondiale, definendolo un’anomalia storica.
“La crisi richiede, ancora una volta, una riforma innovativa del sistema monetario internazionale esistente verso una valuta di riserva internazionale che abbia un valore stabile, un’emissione basata su regole e un’offerta gestibile”, ha scritto Zhou.
Ma i commenti dei banchieri newyorkesi della Goldman Sachs, proprio mentre l’oro sta toccando nuovi massimi e “i verdoni” nuovi minimi, sono ben diversi dalle lamentele di chi vorrebbe prendere il posto del dollaro statunitense.
I commenti della Goldman fungono da monito su ciò che potrebbe accadere se la valuta statunitense venisse alla fine svalutata a causa di una spesa pubblica eccessiva e di un indebitamento esorbitante a tassi di interesse vicini allo zero.
Il dollaro canadese è aumentato di due centesimi rispetto alla valuta statunitense nell’ultimo mese. Ma anche questo dato è ingannevole. Poiché la maggior parte dei nostri scambi commerciali avvengono con gli Stati Uniti, il dollaro canadese tende a salire e a scendere insieme al dollaro statunitense. La valuta canadese continua, quindi, a essere nel commercio in misura minore rispetto all’euro.
La relazione della Goldman Sachs sta facendo parecchia notizia e offre un po’ di brivido a chi è alla ricerca di un esito ancora più buio dell’attuale pandemia. Ma l’oro aumenta regolarmente il suo valore in tempi di incertezza finanziaria, e tende a diminuire poco dopo.
Russia e Cina accelerano il processo di de-dollarizzazione
Dopo anni di dibattiti sulla possibilità di abbandonare o meno il dollaro americano, la Russia e la Cina lo stanno facendo davvero. Nel primo trimestre del 2020, la quota del dollaro nel commercio tra questi paesi è scesa, per la prima volta, sotto il 50%.
Appena quattro anni fa, il dollaro rappresentava oltre il 90% delle transazioni valutarie di questi paesi.
Secondo il quotidiano moscovita Izvestia, nel 2018 la quota è scesa dal 75% al 46%. Il 54% del commercio non in dollari è composto dallo yuan cinese (17%), dall’euro (30%) e dal rublo russo (7%).
La progressiva riduzione del ruolo del dollaro, all’interno del commercio internazionale, può essere attribuita principalmente all’attuale guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina.
A gennaio, il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha spiegato che Mosca sta continuando “la sua politica volta alla graduale de-dollarizzazione” e, ove possibile, sta cercando di fare affari in valuta locale.
Lavrov ha definito l’allontanamento dal dollaro americano come “una risposta concreta all’imprevedibilità della politica economica statunitense e all’abuso totale da parte di Washington dello status del dollaro come valuta di riserva mondiale”.
Tale allontanamento è visibile anche negli scambi commerciali della Russia con altre parti del mondo, come l’Unione Europea. Dal 2016, il commercio tra Mosca e il blocco europeo è avvenuto principalmente in euro, con una quota russa attuale del 46%.
Di Counterarguments Collective
Traduzione dall’inglese a cura di Giulia Paola Pattavina. Revisione: Maria Fiorella Suozzo