Sicilia, terra di false emergenze, scontate profezie e ignota bellezza (per tacer del Geotrogus)
7 maggio 2020
Accadrà quest’estate in Sicilia una grande emergenza. Le fiamme schiariranno la notte, nuvole di fumo oscureranno i cieli, campi e boschi saranno arsi dal fuoco. Animali e piante saranno spazzate vie in un gigantesco rogo. Rimarrà solo cenere e lunghe distese di terra bruciata laddove prima regnava la bellezza. Non so dove né il giorno ma accadrà. E allora l’indignazione serpeggerà di bocca in bocca, di post in post, di foto in foto. I social network tutti saranno semi di indignazione. Dai pulpiti i politici urleranno allo scempio minacciando vendetta e rimedio. Una grande sommossa popolare al culmine della quale non cambierà un cazzo, come sempre accade in Sicilia.
(inciso) La storia di un coleottero
Nell’autunno del 2014 il medico palermitano Ignazio Sparacio, grande esperto di coleotteri siciliani, fece una breve escursione sulla sella che precede la lunga salita che porta alla sommità di Monte Cofano. Si tratta di un ameno anfratto di natura posto nella costa settentrionale del trapanese fra la ben nota Erice e i monti che circondano San Vito Lo Capo, un angolo di paradiso con un piccolo laghetto naturale circondato da palme nane su cui placidamente pascolano numerose vacche. In una delle vasche usate per abbeverare il bestiame l’entomologo trovò annegati alcuni scarabeidi del gruppo dei Geotrogus, coleotteri di circa 2 cm color nocciola che si nutrono di radici e la cui biologia è poco nota.
Lì osservò con attenzione sotto il microscopio e, con grande sorpresa, scoprì che appartenevano a una specie nuova, non ancora descritta che dedicò al suo amico Michele Bellavista e pubblicò su una rivista scientifica. Ricordo ancora con quale emozione ne mostrò al sottoscritto gli esemplari raccontando della sua scoperta con la stessa passione con cui si narrano le ultime imprese del figlio. Il Geotrogus michaelis che si sappia è noto esclusivamente per l’area in cui è stato ritrovato, quei pochi ettari di pascolo e gariga nel cuore della Riserva naturale di Monte Cofano. Di questa specie non si sa praticamente nulla se non il nome. Sconosciuta è la sua vita, sconosciuta finanche la femmina (tutti gli esemplari ritrovati sono maschi).
L’uomo è tale perché ha sete di conoscenza, parafrasando le parole del Sommo Poeta messe nella bocca di Ulisse ed è questa sete spinge i naturalisti a esplorare il territorio, sorprendersi per una meraviglia quando per i più è solo un banale mollusco, una semplice piantina se non un inutile “scarafaggio”. ma anche loro, dal più piccolo dei coleotteri alla più vistosa delle orchidee, sono “bellezza”, piccoli frammenti di quell’enorme puzzle che è la Biodiversità è che in Sicilia, in luoghi come monte Cofano, raggiunge dei picchi impressionanti. Bellezza più nobile, se vogliamo, di quella ascosa nei Musei o che svetta in una piazza. Perché una specie per essere tale è stata scolpita da centinaia di migliaia se non milioni di anni di evoluzione. Il Geotrogus michaelis presumibilmente già esisteva quando la specie umana fece i primi vagiti, quando le sue navi raggiunsero tutte le coste della Terra, quando costruì aerei per dominare i cieli satelliti lo spazio. Quando nel 1600 Caravaggio dipingeva a Palermo la natività il Geotrogus era già a Monte Cofano da Millenni. E con lui altre specie la cui distribuzione è limitata ai pochi ettari di questo promontorio come la bellissima Erica sicula, l’elegante Limonium cophanense, il minuto Phagnalon metlesicsii
La banalità dell’emergenza
29 luglio 2020
“In fiamme la riserva di Monte Cofano”
Sono forse un veggente, un sensitivo, un cartomante? No. È la storia di ogni anno, di ogni estate, di ogni volta che la canicola inonda la Sicilia. L’”emergenza incendi” è di una banalità sconcertante, il titolo più scontato di agosto.
Che siano le Madonie o i Nebrodi, gli Iblei o i Peloritani la solfa è sempre la stessa, bruciano come una sigaretta appena appicciata. Eppure non sono fatti di carta né solcati da ruscelli di benzina. Tutto quello che a questo punto potrei aggiungere saranno le solite tristi parole di un siciliano amante della natura incazzato e impotente.
Non so né mai si saprà chi sia stato il responsabile né il motivo (pastori che ripuliscono il terreno per preparalo ai nuovi pascoli? Forestali stagionali che appiccano il fuoco così da giustificare la loro esistenza e costringere l’ente pubblico a rinnovare il contratto?) chi ci guadagna dagli incendi (quanto costano i canadair e chi ne intasca i soldi?), se ci sono responsabilità politiche (quanto è grande il bacino elettorale dei Forestali stagionali?) o amministrative (chi controlla il territorio? Perché non si riesce a intervenire in tempo?) quello che so è che un pugno di specie sono forse scomparse. Per sempre. Estinte insomma. Ma forse la vita è più forte di un incendio, forse in qualche angolo risparmiato dalle fiamme hanno trovato rifugio. Forse. Ma non esiste cosa più disarmante e triste di un funerale senza estremo saluto.
Delle fiamme di Notre Dame si parlerà nei secoli, chi si ricorderà mai del piccolo Geotrogus michaleis di cui nessuno saprà mai com’era fatta la femmina?