Siamo di ritorno da alcune località del dipartimento di M’bour nella regione di Dakar – Senegal, nell’ambito della campagna “Stop malaria” che Energia per i Diritti Umani conduce da più di un decennio per contribuire all’eradicazione della malaria.
Abitualmente lungo la strada, assistiamo a processioni di donne giovani e anziane che sfilano offrendo ai viaggiatori vari frutti o altri prodotti in un’atmosfera tragica e al contempo rilassata, a volte con delle mascherine sul viso, come se ne avessero viste di peggio e il Covid-19 fosse solo un’altra calamità da aggiungere.
Difficile non commuoversi alla vista di quei volti orgogliosi segnati dalla fatica di volerne uscire “facendo qualcosa”. È anche difficile abituarsi a queste diverse strategie di sopravvivenza. Prendiamo come pretesto ciò che proviamo alla vista di tutte queste donne di cui il posto delle più giovani non dovrebbe essere certo ai margini di questi marciapiedi, prede facili e innocenti di ogni tentazione, ma in un’aula come i nostri figli, nipoti o fratellini. La sezione “cronaca” di molti giornali racconta quotidianamente cose orribili su questo argomento. La vita delle donne in Senegal deve cambiare! Tutti in linea di principio sarebbero d’accordo.
Con questo in mente, Energia per i Diritti Umani (un’organizzazione composta da umanisti e volontari di diversa estrazione che condividono l’aspirazione a ridurre il dolore e la sofferenza attraverso vari progetti sociali) ha messo in moto esperienze originali tramite “Sostieni un bambino e il suo villaggio”, iniziato nel 2003 in Senegal, grazie al quale ha sostenuto circa 400 ragazzi e 280 ragazze nei loro studi , ha costruito sette asili nido, organizzato nei villaggi e nei quartieri visite mediche semestrali per la prevenzione contro le malattie; ha organizzato mense scolastiche, di cui beneficiano secondo le ultime statistiche il 40 % delle bambine e il 60 % dei bambini nelle scuole di Ndiadiane, Sossop, Tataguine, Pikine e Bandoulou, villaggi in cui si svolgono le attività. Senza dimenticare l’allevamento dei polli, la lavorazione dei prodotti cerealicoli e anche il microcredito, tutto ciò dimostra che Energia per i Diritti Umani contribuisce alla promozione e all’autonomia economica e sociale delle donne.
Tuttavia, noi di Energia per i Diritti Umani, crediamo che il cambiamento della situazione sociale, inclusa quella delle donne di cui è oggetto questo articolo, inviti a un cambiamento di sistema. Il sistema attuale infatti genera solo miseria e desolazione. Ciò che Energia per i Diritti Umani fa si basa proprio su questa osservazione.
Umanizzare la società contribuendo alla nascita di nuovi paradigmi più in linea con la grandezza e la dignità dell’essere umano, ponendola al centro di tutte le preoccupazioni; voltando le spalle agli attuali paradigmi del sistema: Potere e Dio-Denaro.
Chi può seriamente credere che le aspirazioni delle donne, come d’altronde quelle di tutti i segmenti della società possano essere superate e risolte nel quadro del sistema attuale?
Sappiamo che l’attuale Sistema sta marcendo le vite di tutti, uomini e donne.
Siamo tutti sulla stessa barca ma in scompartimenti diversi!
Gli uomini in alto, le donne in basso.
La solidarietà è la chiave per “uscire dalla crisi” e dirigerci verso una società davvero umana.
Formulare risposte di “uscita dalla crisi” richiede la diagnosi, il tentativo di autopsia del segmento più sfruttato, più vulnerabile e tuttavia che costituisce la maggioranza di noi, vale a dire le donne.
Questa è una grande domanda politica! ma purtroppo è ridotta al rango di questione politica e folcloristica dai sostenitori del sistema (si vedano i contenuti della maggior parte delle manifestazioni dell’8 marzo, giornata internazionale della donna). Tuttavia, questa giornata potrebbe aiutare a sollevare l’argomento in modo franco, udibile e radicale.
In generale, molti analisti autoproclamatisi tali o “esperti” non fanno altro che accettare cliché banali, trasmessi da strutture statali o falsamente alternative influenzate dalle attuali tesi riformiste-liberali provenienti dalle raccomandazioni della Banca Mondiale.
Le donne devono essere in primo piano per rivendicare i loro diritti. Riconoscere questo è già vantaggioso in relazione alle loro aspirazioni di liberazione.
Per il momento, è in spazi relativamente piccoli che le donne confessano di essere stufe. Giornali, reti sociali, associazioni ecc. Da un po’ di tempo le giovani donne sono impegnate in discorsi “duri” contro il patriarcato. È anche sui social network che il collettivo “Doyna! »[1], contro la violenza sulle donne, si fa più ascoltare. È questo il preludio a un impegno per l’attivismo sociale e politico? Tuttavia, il discorso di emancipazione che portano è necessario. Permette di ideologizzare, di conflittualizzare le relazioni di genere. Di renderle visibili e politiche.
I vari media sono anche un formidabile ricettacolo per la società, ricettacolo di valori, credenze e dei suoi tormenti. Non abbiamo ogni giorno testimonianze di donne che denunciano le continue molestie o abusi sessuali subiti durante la loro infanzia. La verità è che ognuno di noi conosce storie vere di stupro. Sappiamo anche che le donne nel nostro paese sono considerate come oggetti. Oggetti del desiderio, oggetti sessuali o semplici oggetti per la procreazione. Lo sguardo dell’uomo senegalese sulla donna è quasi sempre quello di un predatore o di un oppressore. Bisogna ascoltare i propositi moralizzatori sui compiti della donna, rispetto alla propria famiglia, del marito, dei figli. Purtroppo c’è tutta una semantica alienante: la donna deve accettare, subire. Loro vengono costantemente sminuite. Le relazioni sociali tra uomini e donne sono infatti di parte.
L’inferiorità delle donne è profondamente radicata nel nostro sistema di valori. La produzione sociale vuole che le donne rimangano sotto il potere dagli uomini. Tutti possono verificarlo alla luce della propria esperienza personale. Ragazzi e ragazze non hanno gli stessi strumenti iniziali per il successo nella vita. Le ragazze hanno più obblighi e più compiti da svolgere. C’è una maggiore richiesta per loro. Devono prepararsi per uno spietato universo sociale, nei loro confronti. I ragazzi hanno sempre più libertà. Migliore accesso allo sviluppo personale, meno obblighi contrattuali nel campo della moralità sociale. La società senegalese prepara i ragazzi ad essere conquistatori e dominatori di donne. Riguardo a queste ultime, la loro utilità sociale risponde a due ingiunzioni: soddisfare i desideri degli uomini e dare loro prole. Le donne senegalesi soffrono di una terribile mancanza di considerazione. Sono precarie, molestate sessualmente e psicologicamente, maltrattate. E tutto questo è ormai un fenomeno strutturale.
Foto : Francesca Noemi Marconi / @ffrauss / https://unsplash.com/photos/NJE5Muz1gSo
Uno sguardo lucido vedrà facilmente la relazione tra la miseria endemica nelle società africane postcoloniali e il posto attribuito alle donne. Lo status sociale delle donne, così come le rappresentazioni feudali a cui sono sottoposte, giustificano in gran parte i nostri problemi economici, politici e mentali. Una comunità che impedisce la mobilità sociale e lo sviluppo di tutti i suoi membri è destinata a un vicolo cieco, a una violenza multiforme. Il coinvolgimento e il rispetto per l’integrità delle donne sarà il passo decisivo verso la salvezza per tutti i cittadini senegalesi. Questo è l’unico modo per tenere conto dell’interesse generale, e per uscire dalla nostra crisi culturale definitiva. Thomas Sankara, nel suo discorso di orientamento politico dell’ottobre 1983, ha sottolineato: “Il peso delle tradizioni secolari della nostra società rilega la donna al rango di bestia da soma. Tutti i flagelli della società… la donna li subisce doppiamente: in primo luogo, conosce le stesse sofferenze dell’uomo; secondo, subisce altre sofferenze da parte dell’uomo”.
Nel nostro Paese lo Stato spinge per la partecipazione politica delle donne (anche grazie alle mobilitazioni interne e al contesto internazionale), e cerca di dare loro un posto nel sistema educativo e accademico. Così, nel 2015 in Senegal, il tasso di iscrizione lordo delle ragazze era del 63,3%, contro il 56,6% di quello dei ragazzi. A livello istituzionale, la legge sulla parità ha consentito alle donne di occupare 70 posti nell’Assemblea nazionale, ovvero un tasso di rappresentanza del 42%. Ma la loro inclusione nel sistema sociale è ostacolata. Nel 2014, l’indice di disuguaglianza di genere, che calcola la differenza tra i sessi in un paese, colloca il Senegal al 125° posto su 162 paesi. Allo stesso tempo, l’indice di sviluppo umano, che misura lo sviluppo umano di un paese sulla base del prodotto interno lordo, della speranza di vita e del livello di istruzione degli abitanti, fissa il Senegal al 166 ° posto su 189 paesi. Si tratta di questo: siamo poveri perché non rispettiamo le donne. Non è necessario avere la coscienza di un Buddha per capirlo!
Una società diventa più umana quando non scende a compromessi sull’uguaglianza e sul rispetto dell’integrità umana. Devi essere stupido o avere un’inclinazione perversa e sadica a non vederlo. In Senegal il sistema sociale e morale è ancora dominato dagli uomini. Conservatori, falsamente puritani e insensibili ai diritti delle donne. Tutto ciò è mascolinità dannosa. Pertanto, l’intero processo di trasformazione economica, politica e sociale viene bloccato e perpetuato dall’elemento maschile. Spetta alle donne organizzare la loro rivoluzione contro le mentalità feudali rifiutando l’assegnazione della schiavitù. Nelle famiglie, nelle case, negli spazi pubblici e sociali. Il disprezzo per le donne senegalesi non può più durare. Diciamolo chiaramente: la fallocrazia va messa apertamente in discussione, perché è un’aberrazione. Nient’altro che una delle tante forme di decadenza culturale.
L’avanguardia che compone il nascente movimento femminista è ancora elitaria perché la maggior parte delle donne nelle periferie, nei quartieri popolari e nelle aree rurali deve combattere con l’esistenza già difficile. Perchè il femminismo guadagni terreno e si affermi in Senegal in modo duraturo, è necessario stabilire un legame tra tutte le donne. Questa lotta è quella delle donne ma non solo. Devono poter fare affidamento su degli alleati maschi. Si tratta, per gli uomini, di difendere i diritti delle loro madri, delle loro sorelle e partner. Di rinunciare ad alcuni privilegi individuali. Non si può inventare una convivialità politica, economica e spirituale se le donne non sono emancipate, o se la loro piena partecipazione al lavoro comunitario è soggetta al veto maschile. L’emancipazione delle donne sarà decisiva per il rinnovamento spirituale personale e sociale! Fondamentalmente, per noi, questo è un importante problema di igiene mentale.
È in questo periodo doloroso e tragico della nostra storia umana che il coordinamento della diversità ai fini della creazione di una Nazione Umana Universale si fa necessario, e così crediamo ci sia il bisogno di meditare su questa Grande Promessa di Silo:
“Come dovrebbe essere il nostro rapporto con le persone? Fatto di amore genuino, anche nella lotta contro di loro (coloro che esercitano la violenza), perché la lotta non è per farli sparire ma per abbattere le barriere. Non è una lotta contro le persone, è la lotta contro le credenze. Non possiamo naturalizzare il nemico come se non avesse la possibilità di cambiare.” Silo 1997.
[1] “Doyna” in Woloff significa “Adesso basta”
Traduzione a cura di Energia per i Diritti Umani